Page 93 - Emilio Zanoni - 1955 - Saggo storico
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la situazione. Questo il ragionamento logico ed immediato che occupò l’animo
di tutti gli italiani dalle Alpi alla Sicilia.
Lo straniero invadeva il territorio della Patria, ma il miracolo di Vittorio Veneto
non si ripeteva a favore della oligarchia.
Il suo frasario patriottico, suonava falso, sentimentale e dolciastro agli italiani,
convinti ormai della iniquità della causa e della ineluttabilità della catastrofe
fascista.
Nei mesi dal marzo al luglio 43 la situazione generale provinciale era andata
ulteriormente peggiorando.
Le restrizioni economiche si aggravavano per il rincaro dei prezzi e la
rarefazione delle merci; già da tempo anche nella “media gerarchia”, allo spirito
di resistenza si andava sostituendo un senso di apatia e di abbandonata inerzia.
Il nuovo segretario del PNF aveva diramato circolari alle organizzazioni
dipendenti per cercare di galvanizzare il morale della popolazione, che
finalmente veniva definito come depresso.
Erano previste grandi adunate dei popolo (che poi non si ebbe tempo di tenere) in
cui avrebbero parlato i più noti microfoni della eloquenza littoria.
Sul giornale di Farinacci erano ricomparse le vecchie velleità squadristiche, sotto
l’insegna di “rispolvereremo i manganelli”.
Gli squadristi però (segretari di fascio, fiduciari, ufficiali e gregari della milizia)
avevano messo pancia e, d’altra parte, annusavano il vento infido che non era
più propizio come ai vecchi tempi. Anche perchè le forze del colpo di stato ora si
muovevano in un senso del tutto opposto a quello che li favorì nel 1922.
La Corona, la burocrazia, l’alta banca, il grande capitale, tutte le forze oscure
che nel 1922 avevano appoggiato e dato il colpo decisivo di spalla per il
fascismo, ora comprendevano chiaramente che esso era ormai finito.
Urgeva seppellire il morto per potersi creare un alibi davanti al mondo libero e al
popolo italiano, scindendo all’ultimo momento le responsabilità
Mussolini aveva intravisto la manovra dei complici che volevano sacrificarlo per
sopravvivere. Cercò all’ultimo momento di liberarsi della responsabilità che gli
incombeva come supremo comandante delle forze armate.
D’altro canto le forze del colpo di stato contavano sullo stesso organo supremo
del partito: il Gran Consiglio, in cui accanto a gerarchi di second’ordine legati a
Mussolini e a qualche facinoroso direttamente vincolato al verbo nazista,
esisteva una maggioranza ligia ad esse per provenienza e per interesse personale.
Dal giorno degli sbarchi in Sicilia e del bombardamento di Roma, le forze del
colpo di stato studiano e preparano l’azione da svolgere.
Esse dovevano tenere conto di quattro fattori: la resistenza della gerarchia; il
probabile intervento nazista; i problemi sorgenti dalla guerra; una probabile presa
di posizione popolare che avrebbe potuto soverchiare le stesse forze del colpo di
stato.
Tre di questi potenziali fattori di difficoltà nell’azione delle forze del colpo di
stato esistevano anche a Cremona.

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