Page 89 - Emilio Zanoni - 1955 - Saggo storico
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Ripetutamente abbiamo accennato come, durante il ventennio, Cremona che,
superficialmente agli osservatori sprovveduti, sembrava la città fascistissima, la
“città di Farinacci”, la città ligia all’appellativo di “fedelissima” che i cortigiani
dei dominatori stranieri le affibbiarono nelle età oscure, mantenesse nelle sue
intime latebre l’attaccamento agli ideali democratici e sociali.
Che ciò costituisca un dato di fatto assoluto lo si può ricavare dagli eventi del 25
luglio, quando Cremona, al pari di qualsiasi città italiana, si spogliò
immediatamente delle sopra-strutture e delle superfetazioni fasciste per assumere
la chiara e limpida fisionomia di città libera e italiana.
A parte però questa osservazione di carattere generale, si può affermare che
anche durante il ventennio a Cremona operarono gruppi organizzati di
antifascisti democratici che mantennero salda la fede negli ideali e si opposero al
prepotere della dittatura.
Non parliamo qui dei singoli cittadini che, per delazione di vilissimi soggetti,
furono durante il ventennio sottoposti a violenze o a misure di polizia. Una
parola male interpretata, un sorriso davanti a una sfilata, l’odio personale di
qualche gerarca, potevano portare, come avvenne, onesti e intemerati cittadini
nelle sedi dei fasci a subire bastonature ad parte di gruppi di forsennati o davanti
alle prefettizie commissioni per essere inviati al confino.
In modo speciale furono i ceti operai cremonesi che, durante il ventennio,
manifestarono ed agirono contro il regime.
Naturalmente dato il sistema complesso di vigilanza e di repressione, le
manifestazioni furono modeste e di ampiezza limitata. Ma significative come
forma e come indice di uno stato d’animo più generale furono episodi come la
partecipazione ai funerali di compagni di partito, funerali che talvolta
terminavano con aggressioni fasciste come avvenne alla morte dell’assessore
Masuello; o come le celebrazioni clandestine della festa del lavoro, la diffusione
di volantini nelle vicinanze delle fabbriche cittadine.
Dopo il 1926, con le leggi eccezionali e con lo scioglimento dei partiti politici,
l’atmosfera si era fatta irrespirabile. Il partito comunista nazionalmente, aveva
mantenuto una rete organizzativa clandestina di indubbia attività.
Già a Milano nel 1926 fra gli arrestati del processo contro gli organi direzionali
del partito (processo Gramsci, Terracini, Robotti ed altri) era compreso il
cremonese Rosolino Ferragni, dirigente dell’ufficio giuridico del partito. In quel
processo, svoltosi il 29 giugno 1928 davanti al tribunale speciale di Roma, egli
era stato condannato a 16 anni e 4 mesi di carcere per reati che avrebbero,
secondo la nuova legge, comportato la pena di morte: in questo caso non
applicata solo perchè i fatti erano precedenti alla legge ed essa non era estesa
retroattivamente.
A Cremona l’organizzazione si era mantenuta nel capoluogo con diramazione in
qualche paese della provincia (San Giovanni Croce, Piadena, Casalmaggiore...).
Il gruppo di Cremona città si riuniva saltuariamente in locali pubblici a Porta Po
o a Porta Venezia, preferibilmente all’osteria “della busa”, dove aveva avuto

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