Page 83 - Emilio Zanoni - 1955 - Saggo storico
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Nei paesi la massa dei contadini, anche se pagata con salari di fame, riusciva
quasi sempre a sbarcare il lunario.
Nei borghi e nelle città gli operai ed i ceti medi erano ridotti alla fame.
Il tesseramento stabilito per legge concedeva alimenti in quantità e qualità tali da
determinare, se rigidamente osservato, lo stato di denutrizione di intere categorie:
un etto di carne alla settimana, pochi decilitri di olio al mese.
La fame, come in una città assediata, faceva strage in una provincia agricola e
così ricca di prodotti come la zona cremonese.
Ciò ebbe per effetto di far sorgere quel fenomeno, già accennato, nato sotto il
nominativo di “borsa nera”.
Il mercato nero dei generi di prima necessità: farina, olio, burro, zucchero, sale...
L’ evidente sproporzione tra offerta e domanda, determinò il crescente
impoverimento dei ceti che vivevano di salario o stIpendio o con piccoli redditi e
il conseguente graduale formarsi di una categoria nuova di arricchiti a spese della
generalità.
Le restrizioni di ogni genere (alimentazione, vestiario, riscaldamento, merci più
propriamente voluttuarie) gravarono sulla massa del popolo.
Di fronte ad esso, stridente spettacolo frutto della contraddizione del sistema, i
ceti ricchi e la gerarchia fascista non risentivano per nulla del rigoristico sistema
introdotto.
Dopo il 25 luglio nelle ben fornite cantine della alta gerarchia si rinvennero, e
furono date ai poveri, quantità ingenti di vettovaglie e di prodotti.
Ai vuoti arrecati dalla guerra nelle file della gioventù cremonese si aggiungevano
quelli determinati dall’invio in Germania di mano d’opera specializzata e non.
L’industria cremonese, anche se completata con qualche impresa di produzione
bellica (Armaguerra) non aveva la possibilità di assorbire la mano d’opera
esistente sulla piazza. L’industria cremasca assorbiva soprattutto mano d’opera
del circondario.
Gli operai cremonesi in parte si indirizzavano ai complessi industriali di Milano.
Una parte della massa disponibile, o per lusinga di maggior guadagno o perché,
non essendo specializzata, non poteva trovare sistemazione in loco, veniva
avviata attraverso l’organizzazione sindacale fascista in Germania.
Questa diventava il sostituto del mitico “impero” come valvola dell’esuberanza
italiana demografica e di lavoro.
Anche qui, perciò, fallimento totale dei piani del regime che, in antecedenza,
aveva sbandierato il programma di dare lavoro a tutti gli Italiani, anche a quelli
già impiegati all’estero.
Per fortuna ben pochi di questi, convinti della illusorietà di un loro reimpiego in
Italia, non accolsero che in minima parte le sollecitazioni della stampa e delle
rappresentanze diplomatiche fasciste all’estero.
Correlativamente alla più che depressa situazione economica lo stato d’animo, il
morale, della popolazione, calava quotidianamente sulla base delle notizie della
guerra.
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