Page 79 - Emilio Zanoni - 1955 - Saggo storico
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Cominciarono, però, a circolare fra le case dei nostri paesi padani e della città gli
stereotipati annunci di morte nel campo.
Al disastro militare in Grecia e al duro colpo recato dall’aviazione britannica alla
marina italiana nel porto di Taranto, si aggiunsero ben presto i disastri africani di
Bardia e di Tobruk.
Il Generale Graziani veniva ricacciato oltre le posizioni di partenza e centinaia di
migliaia di soldati venivano fatti prigionieri.
Sotto i duri colpi della disfatta, che erano altrettanti colpi al prestigio della
dittatura, chè questa mai può mantenersi a lungo nella sconfitta, crollano i
capisaldi della propaganda fascista, cominciano a sfaldarsi, anche nei cervelli più
creduli, i miti per tanti anni ritenuti degni di fede: otto milioni di baionette,
spazio vitale, mistica del fascismo, compattezza del popolo, prestigio all’estero,
invincibilità delle armate fasciste, un popolo, un capo e via... via tutto.

La dittatura, fin dal primo insorgere della sconfitta, rivelava la sua inconsistenza
tanto dottrinaria quanto di struttura.
L’inconsistenza dottrinaria era data dal fatto che precipitata la Nazione nella
guerra, l’unità nazionale, compatta alla superficie, rivelava le sue prime profonde
crepe.
Il fascismo non era riuscito, né lo poteva, a penetrare nel fondo dell’anima
italiana, ad identificarsi con essa e a far sì che nel momento della crisi l’uno
potesse rispondere dell’altra e viceversa.
L’inconsistenza della struttura si rivelava nel vuoto assoluto che la dittatura
aveva fatto attorno a sé e nella tabula rasa del potenziale economico industriale,
delle riserve e delle ricchezze e di tutto ciò che potesse essere trasformato in
forza bellica e gettato nella fornace della battaglia.
L’Italia democratica era sì, nel 1915, entrata in guerra impreparata, senza
materiale pesante, senza strumenti bellici e risorse potenti. Era però riuscita,
mettendo a frutto e trasformando la ricchezza nazionale esistente, a mettere
insieme il potente esercito di Vittorio Veneto che aveva raggiunto la vittoria
finale.
Nulla di tutto questo nell’età imperiale. Mussolini con la sua dichiarazione degli
otto milioni di baionette si era comportato come il maresciallo Leboeuf, ministro
della guerra di Napoleone III, il quale pochi giorni prima di Sedan aveva
dichiarato che l’esercito francese era pronto “fino all’ultimo bottone delle uose”.
Vuoti i depositi di materiale, con pezzi di artiglieria dell’altra guerra, fucili 91,
equipaggiamento personale dei soldati difettoso e inadatto alle intemperie della
stagione.
Si aggiunga che le migliori unità dell’Esercito erano dislocate in Libia e
nell’Impero e che le più efficienti squadriglie di aerei erano state spedite sulla
Manica a dare una mano agli Unni volanti che bombardavano le isole
britanniche.
L’insipienza governativa, o l’organizzato brigantaggio economico dei ceti

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