Page 73 - Emilio Zanoni - 1955 - Saggo storico
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posto di lavoro. Tutto ciò creava un ambiente di sospetto e non proclive alla
confidenza tra le persone.
Si dubitava veramente, del vicino di casa, dell’amico, del collega di lavoro.
Si fingevano sentimenti non veri, si pronunciavano frasi di cui, da soli, ci si
doveva vergognare.
Il regime della “elevazione della nazione” rendeva gli italiani l’un verso l’altro
sospetti e operava dissensi là dove sarebbero stati essenziali la concordia e la
fraternità.
Questa generale atmosfera era ancor più grave e opprimente a Cremona dove
esisteva la diarchia consistente nei poteri vessatori dello stato e in quelli
borbonici della locale gerarchia.
Qui anche ciò che andava bene per il resto dello stato abbisognava di una
seconda sanzione da parte del locale capo del fascismo.
Egli s’identificava addirittura colle sorti dello stesso movimento cremonese. Con
lui in disgrazia, ai tempi delle nuove vertenze con “Arnaldo”, tutto il fascismo
cremonese era alla dissidenza.
Il fenomeno rassistico, più o meno altrove terminato colla giubilazione o colla
promozione dei capi, qui persisteva nelle sue forme di arbitrio di prepotenza e di
camorra del rosso palazzotto eretto fra Piazza della Pace e Piazza Marconi.
Edificio che ospitava il modernissimo impianto tipografico di “Cremona Nuova”
(di cui ancora oggi è in corso il procedimento da parte dello Stato sui profitti del
regime) e dal quale si diramavano gli ordini e le disposizioni in base alle quali
ogni mutamento e ogni azione in qualsiasi campo veniva a subire la volontà del
capo. Non è a dire che sempre questa volontà portasse al mal fare o alla
corruzione. In taluni casi anche in lui prevaleva il buon senso e affiorava talvolta
quella aspirazione al bene che è in tutti gli uomini, anche il più traviato. In questi
casi la sua volontà trovava la via per risolvere situazioni che altrimenti nel
malcostume generale non si sarebbero risolte. Governo ad ogni modo arbitrario e
perciò controproducente. Si è detto precedentemente della graduale evoluzione in
provincia dello spirito di fronda che andava catalizzandosi in stati d’animo che si
traducevano a poco a poco in fattori determinanti per la costituzione di una reale
e fattiva opposizione al regime. E' un nuovo antifascismo che si alimenta negli
anfratti, negli avvallamenti della gran duna sabbiosa del fascismo. Da una parte
ci sono i “mai iscritti” coloro cioè che per dedizione all’idea (e son pochi) non
piegarono. Dall’altra parte giovani che per ragioni di studio o di lavoro, per le
esigenze della vita insomma, erano costretti a iscriversi al PNF.. I primi isolati
non potevano certamente far giungere la loro parola là dove non si recavano. I
secondi però, antifascisti, per cultura e per sentimento di ribellione, erano là dove
era più utile che fossero e cioè nell’antro stesso avversario. Il sabotaggio al
regime si operava perciò nelle sue stesse sedi e fra gli iscritti del partito. Del
resto dall’entourage del capo stesso, dal giornale e simili ambienti, partivano i
motti contro gli altri gerarchi, i giudizi spietati sulla politica del Capo del
Governo e del suo Ministro degli Esteri. La balorda impostazione totalitaria del

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