Page 71 - Emilio Zanoni - 1955 - Saggo storico
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combattuto in grigioverde a fianco della divisione italiana sul Piave, recò il colpo
di grazia al fascismo nell’animo di tutti coloro che, ancora in buona fede, lo
ritenevano una continuità storica degli ideali risorgimentali.
Esso rivelava ora invece la sua essenza e la sua vera natura.
Non movimento patriottico, non continuazione dell’ideale risorgimentale, ma
espressione di una forza estranea al grande moto italiano, una forza di reazione
trasferita ora anche nel campo internazionale.
La dura esperienza fatta nel ventennio dai democratici italiani trovava ora pieno
riscontro.
Non un governo pensoso delle sorti e dell’avvenire della nazione, non una classe
dirigente interprete dei bisogni e delle aspirazioni del popolo, non una dottrina
politica e una tattica conseguente e consentanea alla evoluzione verso una società
moderna, ma invece una banda di irresponsabili incapaci ed inetti, pronti per le
loro ambizioni e per gli interessi che rappresentavano a precipitare l’Italia nella
guerra.
Il destino, la nemesi storica, l’ironia della sorte (si chiami come si vuole
quell’insegnamento che viene dai fatti) dovevano portare il fascismo a
movimento nazionale imperialistico che abdicava a tutte le sue istanze colla
capitolazione al tedesco, provocando l'invasione del territorio nazionale, nello
sfacelo di tutti i miti eretti sulla sabbia.
Da questo momento in avanti il fascismo è completamente slegato dal paese e
dalla pubblica opinione. Agisce perché il popolo, non ancora cosciente delle sue
forze e della possibilità di mutare indirizzo, sopporta il gioco con inerzia
abitudinaria. (… Le classi dominanti superano...)
i dubbi del momento, confidano che si riuscirà ad infilare, ancora una volta, il
rotto della cuffia. Da ciò derivano le gravi responsabilità della corona, dei ceti
capitalistici, della cultura laureata, dei poteri dello Stato per l’inserimento
dell’Italia nell'Asse tripartito e per la conseguente entrata in guerra.
Naturalmente non è a credere che questo virtuale distacco del paese reale dalla
gerarchia si dimostrasse per chiari segni o per aperte manifestazioni.
Durava il regime burocratico poliziesco. Il partito controllava il popolo colle
organizzazioni capillarmente distribuite nei fabbricati, nelle fabbriche negli uffici
nelle scuole e nei rioni.
Qualche segno aperto di insofferenza, tosto soffocato veniva dalle organizzazioni
giovanili studentesche; qualche voce e qualche atto di malcontento venivano
dalle fabbriche.
Nella realtà il distacco era vivo e reale.
La stampa e la radio (quest’ultima nelle note giornaliere di Appelius, di Ansaldo
e di altri virtuosi della propaganda) segnavano una nota di entusiasmo fittizio che
era in assoluto contrasto colla realtà dei fatti e della vita.
La gerarchia agiva come se il popolo fosse strettamente legato ad essa ed
animato dalle sue stesse intenzioni.
I dirigenti operavano nella irrealtà astratta del loro mondo chiuso appoggiandosi

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