Page 63 - Emilio Zanoni - 1955 - Saggo storico
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italiana e, finché non si presentava una seria crisi, gli espedienti governativi
potevano servire a procedere avanti alla meno peggio.
La soluzione “ufficiale” della questione romana, già risolta nella coscienza e
nella prassi italiana, l’impostazione e corporativa dei rapporti economici, la
continuità degli scambi con gli Stati stranieri, lo stabilizzarsi della crisi
economica a un livello sopportabile per le masse, erano fatti che influivano sulla
stabilizzazione del regime.
L’organatura, spionisticamente capillare, del partito totalitario colle sue
diramazioni poliziesche e burocratiche in tutti i campi e in tutti gli ambienti,
faceva il resto.
E l'Italia fascistizzata, nella grottesca diarchia dei poteri, procedeva sulla strada
che l’avrebbe condotta alla guerra.
La vita cremonese in questo periodo non si differenzia pertanto dal tono di
livello provinciale cui il fascismo ha ormai abbassato tutto il paese.
La normalizzazione della dittatura nell’ambito costituzionale dello Stato,
avvenuta a spese di quest’ultimo, coincide col grado di soddisfacimento degli
interessi personali della locale gerarchia fascista.
A Cremona questo fenomeno avviene alla superficie. Sotto sotto la resistenza dei
“pares” al “primus”, cioè la sorda competizione fra i ras e il fascismo centrale,
continua.
Essa ha espressioni che vengono alla luce e durerà, fra alti e bassi, fino al
periodo di Salò durante il quale il neo fascismo cremonese rappresenterà un’isola
di insofferenza alle direttive della “repubblica” e di pronta ubbidienza agli ordini
dei proconsoli germanici.
Dopo la sua estromissione dal segretariato generale del P.N.F., il capo del
fascismo cremonese restò in disparte dalla politica nazionale che non fosse la
lotta personale contro Turati e contro Gianpaoli e il gruppo degli avventurieri
milanesi.
Questa lotta “del cantone” cremonese era improntata a criteri di moralizzazione.
Sotto sotto trasparivano evidenti i moventi personalistici tratti dal risentimento e
dalla volontà di tornare a galla.
Tuttavia la normalizzazione era un dato di fatto anche per Cremona. Il “ducato”
compiva la sua evoluzione nel senso burocratico della espressione.
I gerarchi, soddisfatti delle posizioni economiche e onorifiche raggiunte,
reggevano lo staterello con bonomia burbanzosa, salvo qualche ritorno di
fiamma alla brutalità squadrista nei confronti di qualche oppositore.
Quello che su vasta scala avveniva nel settore nazionale si ripeteva qui ridotto
alla scala provinciale.
Lo Stato e il pubblico erario venivano considerati l’appannaggio della gerarchia
provinciale; gli organi burocratici, l’appendice per mezzo della quale si rivelava
e operava la volontà del partito, cioè della piccola cricca dei gerarchi provinciali.
Nell’ambito dello stesso PNF difatti non esisteva alcuna istanza non diciamo
democratica ma di eguaglianza fra i “camerati”.

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