Page 62 - Emilio Zanoni - 1955 - Saggo storico
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Fin qui dunque la citata monografia, la quale, pur ammettendo fra le righe la
difficile situazione economica risolvibile mediante “un concordato per il
disarmo”, si comportava tecoppescamente con la tirata che segue e che citiamo
per non defraudare il lettore di una nota comica:
“l’Italia ha tutte le risorse di un regime che mantiene nella crisi l’indispensabile
disciplina, senza della quale sarebbe la rovina; possiede un capo di governo, un
duce, che conosce tutti i problemi della nostra economia e che nelle possibilità
delle risorse del suo grande ingegno, della sua insonne attività, della sua politica
preveggente, non tralascia di adottare ogni provvedimento che valga a
valorizzare il lavoro e l’economia nazionale”.
La seconda fase del “ducato” coincide col periodo di maggiore espansione e
stabilità del regime fascista.
Il fascismo, indubbiamente, dal 1930 al 36 attraversò un ciclo in cui i suoi
apologisti e gli osservatori sprovveduti potevano giurare sulla sua duratura
esistenza.
Dal “sessantennio” profetizzato nel '23 il vate di Predappio era passato al secolo
ed a sogni più vasti (fra 10 anni l’Europa sarà fascista o fascistizzata).
L’opposizione organizzata era stata messa quasi nella impossibilità di agire; il
sistema poliziesco-burocratico legava i ceti e le diverse categorie colla tessera
“del pane”, colla vigilanza dell’Ovra, colla acquiescenza sul terreno
internazionale delle democrazie impegnate nei loro particolari problemi e
fiduciose che nel loro seno non fosse possibile il sorgere di un fascismo
indigeno.
Il secondo impero francese di Napoleone il piccolo, dopo il I decennio di grave
coazione, era passato alla fase dell’impero liberale.
Il regime fascista non venne a questa fase essendo completamente diverse la
situazione generale dell’Europa e quella dell’Italia. Indubbiamente però esso subì
una evoluzione della quale bisogna tener conto per giudicare in seguito la
abissale incoscienza colla quale i ceti dirigenti sprofondarono il paese in una
guerra perduta in partenza.
Sta il fatto che essi avevano finito per credere alle campagne stesse della loro
propaganda.
I due plebisciti avevano dato un ben scarso numero di schede bianche.
Duecentomila circa il primo, quindicimila il secondo.
La gerarchia fascista si era convinta in questo modo che l’opposizione era ormai
sgominata. Le adunate coatte delle folle irreggimentate, ipnotizzate da parole
suggestive e contingenti, davano la sensazione di una unanimità di consensi
raggiunta attraverso una linea politica che seguiva gli interessi della nazione.
Nella realtà, se può chiamarsi politica l’espediente giornaliero di tirare avanti
traendo frutto dalle circostanze e dall’umore contingente, il fascismo fu in questo
periodo un movimento politico.
La bassa demagogia del grande capo sapeva titillare i lati deboli dell’anima
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