Page 59 - Emilio Zanoni - 1955 - Saggo storico
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Queste le caratteristiche fondamentali e che di se improntano il “fascismo”
cremonese della prima maniera che, grosso modo, va dal 1922 fino al 1930
(anno ottavo come si diceva nella bolsa retorica dell’epoca tolta in prestito agli
scampoli pittoreschi della rivoluzione francese).
Il corpo sociale cremonese, come del resto avviene in ogni società che, come
collettività di uomini, sopravvive e reagisce a nuove situazioni, nel suo
complesso economico e sociale continuava a svolgere il suo ciclo.
Come è naturale esso subiva l’influenza del movimento politico e in taluni
insopprimibili casi lo dirigeva.
Come non esiste l’homo oeconumicus, così per fortuna e nonostante le
chiacchiere corporative, non potevano alla preesistente, sostituirsi una società
nuova nella mancanza di una dialettica basata su forze profondamente
innovatrici.
La soprastruttura corporativa, lungi dal presentare una via nuova, veniva ad
ingombrare e ad ancor più appesantire il sistema capitalistico prima esistente.
L’apparato costoso ed ingombrante posto a dirigere e a tentare di conciliare le
forze produttive della nazione, la teoria autarchica, il finanziamento alla industria
a scopi di prestigio, tutto ciò pesava sul regime economico della provincia
impedendo, coi vecchi difetti aggiornati e riveduti dai nuovi, l’assestarsi di una
economia sana e produttiva.
Nè si deve dimenticare che molte energie economiche venivano dissipate in
opere improduttive o a costo talmente elevato per le interferenze dei gerarchi
cosicché il reddito utile per il reimpiego e pei miglioramenti dei mezzi di
produzione diminuiva gradatamente.
Si andava verificando, col passar del tempo, un graduale impoverimento del
paese che trovava espressione nel minor investimento industriale rispetto a
quello fondiario.
A queste considerazioni bisogna aggiungerne un'altra precedentemente accennata
e cioè il fenomeno della degradazione provinciale del paese.
Nel livellamento autoritario delle provincie, determinato dalla sovra-valutazione
della capitale, che, oltre che centro politico, doveva diventare il centro
economico-industriale del paese il fenomeno della provincializzazione si rimarcò
profondamente nel minore afflusso di capitali alla periferia per lavori di pubblica
utilità e nella fuga del capitale provinciale verso investimenti (manca una riga di
testo, si intende: verso investimenti in direzioni non utili al progresso del
territorio. In questa forma si è provveduto a ricucire anche qualche altro caso
simile in seguito ndc).
D’altro canto un mezzo per tenere a freno le masse italiane consisteva nel
diminuire, otre che il loro tenore di vita; lo stesso livello educativo-culturale.
Rompere le aspirazioni provinciali, troncare al gambo le iniziative locali,
frantumare i tentativi di evoluzione economica e quelli di difesa degli interessi
provinciali costituì una funzione essenziale del fascismo accentratore e nemico di
ogni autonomia.
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