Page 46 - Emilio Zanoni - 1955 - Saggo storico
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elezioni politiche del 19 e fu sommerso dalla crescente marea dei voti dati alla
democrazia genuina.
A Cremona il “fascio” era stato costituito l’11 aprile 1919. Il programma
elettorale dei fascisti cremonesi candidati al parlamento per le elezioni del
novembre 1919 (e c’era con essi il candido e povero “Leonida”) ricalcava tali
premesse estremiste. Nell’ordinamento politico interno c'era la revisione della
Carta Costituzionale del Regno facendo luogo sia alla rappresentanza degli
interessi delle categorie, come complemento necessario alla rappresentanza
politica, sia alla modificazione amministrativa con intento decentratore e
semplificatore.
Nell’ordinamento economico e sociale, occorreva dare impulso alla produzione
agraria ed industriale senza riguardo a precostituiti diritti in contrasto colla
utilità sociale e col concorso delle classi lavoratrici fatte compartecipi agli utili
delle aziende agricole ed industriali e rese sempre più atte a più estesa ed elevata
collaborazione.
A parte l’esito infelice (pel fascismo) delle elezioni, questo primo periodo indicò
che il neo movimento, lungi dall’essere un fattore di pace e concordia sociale,
tendeva, su un terreno demagogico della più bassa concorrenza, a sbandierare
riforme sociali più radicali, più avanzate di quelle, fondate sulla esperienza e
sulla teoria, dei partiti e movimenti tradizionalmente legati ai lavoratori.
Basti ricordare l’iniziativa dei fascisti cremonesi dei primi tempi per ridurre a
sette il conquistato orario di otto ore giornaliere di lavoro.
Il fascismo della prima maniera, estremista, anticlericale, sociale, riformatore sul
terreno costituzionale dello Stato, non attraeva per una serie di ragioni
sostanzialmente opposte le une alle altre, in particolare per la contraddizione
evidente di un programma che non consentiva l’adesione ad esso di ceti i cui
interessi erano diametralmente contrastanti.
Per istinto i ceti lavoratori diffidavano degli uomini dirigenti del fascismo,
transfughi per la maggior parte dai movimenti di classe e sindacali rivoluzionari,
e del programma ibrido nella sua formulazione e chiaramente irrealizzabile nelle
proposizioni. La parte programmatica che doveva attirare i lavoratori era altresì
quella scostante per i ceti reazionari.
I dirigenti del movimento, anche se provenienti da formazioni popolari, erano
profondamente opportunisti.
L’ideale che li spingeva non era né quello democratico, né, tanto meno, quello
nazionale. Semplicemente era il movente personalistico della carriera e del
successo che spingeva questi versipelle e volta gabbana della vita politica.
A un certo punto della “crisi fiumana” non era forse Mussolini disposto a venire
a patti col tanto denigrato Ministro Nitti?
Né da meno, sul terreno provinciale, erano gli uomini del fascismo locale.
Transfughi in parte dal movimento popolare socialista per le insoddisfatte
ambizioni, ruderi del precedente periodo messi in ombra dalle affermazioni
democratiche, erano disposti a raccogliere ovunque mezzi e incoraggiamenti pur

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