Page 236 - Emilio Zanoni - 1955 - Saggo storico
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In un cascinale presso la Madonnina, alla periferia della città, si erano annidati
fascisti dell’Emilia disposti a difendere fino all’ultimo un’esistenza carica di
delitti.
All’assalto della posizione partì un nucleo garibaldino comandato dall’eroico
Bruno Ghidetti. Cadde, questi, mentre allo scoperto incitava i patrioti all’assalto
e dirigeva contro i nemici il fuoco della sua arma automatica.
Così combattevano e morivano, senza distinzione di partito, i giovani cremonesi
animati dall’impulso possente della libertà e della patria italiana.
Mentre queste azioni si svolgevano altri fatti avvenivano nei diversi rioni
cittadini. Non è una delle più facili cose, a dieci anni di distanza, ricostruire con
le testimonianze dei viventi la trama consecutiva delle operazioni, cosa che, del
resto, sarebbe stata difficile anche allora data la minuta frammentarietà dei fatti e
il repentino svolgersi degli eventi.
Le Caserme periferiche e centrali erano già tutte cadute nelle mani dei patrioti.
Nuclei di “Giustizia e Libertà” occupavano, per salvaguardarli da sabotaggi
tedeschi, la centrale elettrica e quella dell’acqua potabile. Le Poste, la Prefettura,
il Distretto Militare erano pure occupati.
In mano ai tedeschi rimaneva la zona, quasi neutrale per tacita convenzione,
compresa fra Palazzo Trecchi e Piazza Sant’Agata.
In un primo tempo i tedeschi proibivano il transito per la piazza, poi, per un
accordo con un nucleo partigiano, si ritirarono nel lato di Palazzo Cittanova, pur
lasciando in mezzo alla via mortai e mitraglie.
Anche qui, forse, si commise l’errore di non aver subito disposto per un attacco
improvviso alla sede del Comando tedesco, dove fino alle 14 non c’era che una
decina di soldati. Ora però, dalle Colonie Padane, venne richiamato in città un
fortissimo nucleo germanico con armi automatiche che presidiò il palazzo e le
adiacenze.
I fascisti rimasti (molti reggiani erano stati disarmati in mattinata, negli alberghi
ove alloggiavano, da squadre di patrioti guidati da Alberto Callegari) erano
rinserrati nella Caserma Muti e nel “Palazzo della Rivoluzione”.
Anche i questurini della cosiddetta “polizia repubblicana” avevano abbandonato
i locali dove tante nefandezze avevano commesso sotto la veste di funzionari.
Il C.L.N. si era, nel pomeriggio, trasferito nuovamente nei locali
dell’”Associazione Mutilati” di Via Beltrami.
Affluivano qui le notizie, accorrevano le staffette. Il Comando piazza partigiano,
che doveva coordinare l’azione e dirigere le formazioni, sedeva anch’esso in
permanenza accanto al C.L.N..
Il “Capo della Provincia”, Ortalli, aveva concordato la resa ma non aveva fatto
partecipare alla riunione, in mattinata, il “Commissario Federale” Milillo che
comandava le “brigate nere”. I componenti di queste, ormai tremebondi, erano
rinserrati nel Palazzo della Rivoluzione attorno al quale si stringeva il cerchio
partigiano di G.L., delle Garibaldi e dei Matteottini.
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