Page 233 - Emilio Zanoni - 1955 - Saggo storico
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Il primo determinato dal Console Tambini, Comandante della XVII^ Legione
G.N.R. Egli entrò nell’ufficio del capo della provincia gridando: “Perché si deve
trattare quando costoro ci fucileranno tutti?”. Vincenzo Ortalli fece allontanare
l’esagitato (che forse prevedeva di cadere qualche giorno dopo sotto il piombo
degli insorti in provincia).
La seconda interruzione fu causata da una telefonata di Roberto Farinacci. Questi
stava preparando la fuga. Telefonò al Capo della Provincia, gli astanti
logicamente non sentirono ciò che egli diceva. Deposto il telefono, il Capo della
Provincia (abbiamo raccolto il fatto dalle parole di uno dei testimoni presenti)
disse: “Era quell’asino (o qualcosa di simile) di Farinacci; se ne va, buon
viaggio!”
Roberto Farinacci difatti, poco dopo mezzogiorno partiva per sempre dalla sede
del suo giornale su un’automobile carica di valige e di bauli. L’accompagnavano
l’autista, la segretaria dei fasci femminili (Marchesa Medici del Vascello) e il
redattore capo di “Regime Fascista”, Mario Mangani.
Partiva da Cremona dove aveva spadroneggiato per 20 anni e dove, per venti
mesi, aveva coscientemente appoggiato i più vili misfatti della tirannide nazista,
per andare incontro al suo destino segnato dai mitra dei partigiani della
“Divisione Fiume Adda” che lo avrebbero abbattuto, dopo regolare processo,
nella piazza di Vimercate.
Trascinava con sè, inconsapevolmente, alla morte persone relativamente
incolpevoli: l’autista e il redattore del suo giornale, essi, però, non furono fucilati
ma morirono nella sparatoria non essendosi la macchina, fermata all’ingiunzione
di resa.
In questo frangente fu ferita a morte anche la Marchesa Medici, che morirà
pochi giorni dopo all’ospedale. Era la stessa persona che quella mattina, dopo
Farinacci, aveva salutato al telefono il Capo della Provincia, racconta ancora il
testimone oculare.
Conclusi i due incidenti la discussione fra le due parti arrivò ad un accordo di
massima.
Il Capo della Provincia, come supremo comandante delle forze fasciste, offriva
la resa senza condizioni. I fascisti si sarebbero raccolti nel Palazzo della
Rivoluzione e nella Caserma “Ettore Muti” situata in via Ettore Sacchi, vicino
alla Chiesa di San Pietro.
I militi fascisti non colpevoli di reati comuni o comunque non responsabili di
fatti contrari al codice e all’ordinamento statale, sarebbero stati rispettati.
I rappresentanti del C.L.N. accettarono questo accordo che, sostanzialmente,
equivale alla resa senza condizioni, premessa prima e inequivocabile delle
esigenze della resistenza cremonese.
Terminata la missione la delegazione si restituì al C.L.N. per rendere conto
dell’operato e dell’accordo.
D’altro canto non c’era una diversa via d’uscita.
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