Page 224 - Emilio Zanoni - 1955 - Saggo storico
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fronte nella pianura emiliana, lembo estremo della gran pianura che da Vercelli a
Marcabò dichina.
Con l’operato sfondamento tutto il fronte tedesco fu messo in crisi. L’alto
comando germanico, per le solite questioni di prestigio, aveva voluto mantenere
un fronte amplissimo dalle Alpi alla Liguria e lungo il Tirreno, attraverso tutta la
Penisola, fino all’Adriatico.
La frattura in un sol punto minacciava tutto lo schieramento con l’illimitata
possibilità d’accerchiamento e con il tremendo peso del bombardamento aereo
alleato pronto a frantumare qualsiasi concentramento, qualsiasi nodo di
comunicazione, qualsiasi sbarramento difensivo.
Ne seppe qualcosa la Divisione germanica che, ritirandosi dal fronte, si era
attestata proprio in quei giorni sulla riva del Po dirimpetto a Cremona, fra i
vestigi del ponte in ferro distrutto e il primo baracchino.
Essa attendeva che il Genio Militare ripristinasse il ponte in barche per il
passaggio, quando venne presa sotto il fuoco poderoso di una formazione aerea
alleata.
Invano i reparti germanici con i loro carriaggi cercarono di mimetizzarsi tra gli
ancor folti boschi della riva. La tempesta di fuoco distrusse e bruciò uomini,
materiale, autocarri, bestie da soma.
I tedeschi, impazziti per il panico, si gettarono a nuoto e con mezzi di fortuna
nelle acque infide del fiume. Annegarono a centinaia. La Divisione germanica,
salvo pochi fuggiaschi, fu letteralmente distrutta e in ciò, forse, fu fortuna per
Cremona, perché altrimenti essa si sarebbe schierata sul Po a difendere il transito
dei sopravvenienti reparti in ritirata.
Affacciandosi alla pianura padana l’ottava armata si apprestò a vibrare i colpi
risolutivi alle sconfitte divisioni tedesche.
Reparti celeri, fra cui formazioni italiane dell’esercito regolare e dei partigiani
del Ravennate, sfondarono, oltre il Po, verso la pianura veneta.
Altri reparti, occupata Bologna, si spinsero verso il cuore dell’Emilia.
Formazioni celeri anglo-americane puntavano verso Mantova per investire da
questo lato la Lombardia.
Siamo dunque alle estreme battute di guerra. Come si diceva all’inizio, la
percezione chiara della disfatta nazifascista si ebbe a Cremona nel pomeriggio
del 22 aprile.
Ancora il giorno prima, 21 aprile, annuale di Roma, i fascisti (incorreggibilità
della retorica imperiale!) si erano riuniti per udire la concione di Farinacci. Il
giorno di Pasqua egli aveva scritto sul “Regime”: “Con Cristo risorgeremo”.
Come se Cristo assistesse i nemici e i persecutori del popolo!
Nel pomeriggio del 22 la scena improvvisamente mutò. Compatibilmente con
gli allarmi, che ormai duravano mezze giornate e non si sapeva più se le sirene
suonassero l’inizio o la fine delle incursioni, era un pomeriggio calmo, assolato,
di quella particolare quietudine che, in questa stagione, mette solitamente
languore in corpo e pacata tristezza nell’anima.
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