Page 213 - Emilio Zanoni - 1955 - Saggo storico
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Mentre i fascisti continuavano, come se nulla fosse, nei loro giochetti e nei loro
cambi della guardia, i tedeschi prevedevano già il peggio e vi si preparavano di
conseguenza.
Sommessi malumori e scontentezze, anche se non pubblicamente dimostrate,
serpeggiavano fra i ranghi dell’esercito tedesco. Questo non era più la
Wehrmacht del 1943. Austriaci e soldati anziani sempre più spesseggiavano e si
distinguevano per i loro portamenti scarsamente militareschi e per il desiderio
che dimostravano di chiacchierare nei caffè e nelle osterie con i pacifici
borghesi.
Nel carcere di Via Jacini, un piano era tenuto a disposizione del comando
germanico e qui erano reclusi militari tedeschi in attesa di giudizio per reati gravi
secondo il codice militare: diserzione, insubordinazione, vie di fatto contro i
superiori. I tedeschi reclusi erano trattati con ferocia addirittura bestiale. Narrano
i partigiani cremonesi alloggiati in quel periodo proprio sotto la cella dei militari,
che essi calavano dalle finestre lunghi fili ai quali i partigiani (gran bontà degli
italiani anche con i loro più perfidi nemici) attaccavano pezzi di pane e
mozziconi di sigarette.
Una notte, sul finire del 1944, quattro tedeschi che erano in attesa
dell’esecuzione capitale, improvvisamente si ribellarono. Assalirono i guardiani,
li imbavagliarono e si accinsero a fuggire. Disgraziatamente anziché il corridoio
che portava all’uscita ne infilarono uno che portava alla cucina. Un secondino,
accortosi, si affrettò a chiudere a chiave e a barricare la porta.
Accorsero presto i soldati tedeschi inviati dal Comando di Palazzo Trecchi. Dalle
nove alle dodici fu un susseguirsi di comandi secchi, di risposte negative, di
scariche di mitra, di colpi di pistola.
Gli evasi, finalmente, esaurite le munizioni si arresero.
Ancora nella notte gli altri detenuti udirono urla e lamenti sempre più fievoli, poi
silenzio.
L’indomani mattina un furgone germanico venne a prelevare i prigionieri. Sul
veicolo si trovavano già i badili per scavare le fosse.
Portati fuori di città gli ex evasi furono rapidamente eliminati. E così pure furono
liquidati a più riprese in un sordo cortile del “Casermone” a San Bernardo, tratti
dagli oscuri covili che fungevano da prigione, 10 o 12 giovani italiani arruolati
per forza o per suggestione nelle SS.
Sorte tremenda invero per gli italiani arruolati in un esercito straniero e fucilati
da un boia straniero dopo aver udito recitare in lingua ostrogota la loro sentenza
capitale.
Questi fatti servono dunque a lumeggiare lo stato di disagio di un esercito già
sulla china della disfatta.
Prima di cedere però i germanici erano disposti, e sul serio (non come le
guasconate mussoliniana sulla difesa della Val Padana), a fare il deserto nelle
regioni italiane in loro dominio.

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