Page 212 - Emilio Zanoni - 1955 - Saggo storico
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Un’altra vessazione, suggerita probabilmente dal comando tedesco (che in
mancanza d’ automezzi, pensava già di far evacuare le truppe in bicicletta),
consisté nell’obbligo fatto a tutti i cittadini di portare a far “punzonare” i loro
velocipedi.
I cremonesi, ormai scaltriti al gioco, si guardavano bene del portare le loro
biciclette nei luoghi fissati e si rassegnarono a lasciarle in soffitta (tanto era
inverno) e di circolare a piedi pur di non essere depredati, dopo tante altre
depredazioni, anche di quell’ultimo bene residuo dei tempi passati.
Per un regime che aveva ideato la “Balilla” per mandare il popolo in automobile,
a parte il resto, era una bella ironia. I cittadini ora, volere o no, dovevano andare
a piedi.
Risoluti, cocciuti, sotto le bombe e le disfatte, i repubblichini perseveravano.
O non escogitarono forse, in sul finire dei 20 anni di tirannide cittadina, la farsa
delle elezioni democratiche per la “Consulta comunale”?
Di commedie e di farse, ancor più facete perché rappresentate a muso duro, i
repubblichini a Cremona già ne avevano inscenate parecchie: dalla
“socializzazione” delle imprese (non di loro proprietà), ai “sacerdoti di crociata
italica”, dalle conferenze su Mazzini alla “celebrazione della repubblica
romana”.
Ma questa della “Consulta Comunale” fu davvero la più amena mistificazione
del periodo repubblichino.
Loro, i disprezzatori dei “ludi cartacei”, impiantarono nel palazzo comunale,
prima a Cremona poi anche a Crema, una cabina elettorale con seggi e schede.
Un giudice di tribunale si insediò alla presidenza e quelli che avevano diritto al
voto in quanto ricoprenti determinati incarichi (non tutti i cittadini per carità!)
andarono a votare.
Furono anche trovati dodici babbei od opportunisti disposti ad accettare la carica.
Il bello è che “Regime Fascista” si congratulava con sè stesso per la notevole
affluenza di disciplinate pecore alle tanto (una volta ahimè!) disprezzate urne. Il
fascismo repubblichino, nella sua carriera amministrativa, non poteva non
concludere con una farsesca contraffazione della democrazia più stupida e
ridicola. Anche nelle alte cariche interne dello stesso movimento repubblichino
c’erano stati dei cambiamenti. Naturalmente non Farinacci. Egli rimaneva al suo
posto e in più articoli, con umorismo che faceva pena, rispondeva alle notizie di
un suo presunto siluramento (pareva che uomini di Salò fossero qui venuti per
sorvegliarlo e allontanarlo dalla vita pubblica) con puerili giochi di parole “in
sostituzione del camerata Roberto Farinacci è stato chiamato il camerata
Farinacci Roberto”.
Il capo della provincia (in odio a Badoglio era stato abolito il titolo di Prefetto),
Attilio Romano, condannato poi a 20 anni, veniva sostituito dall’avv. Ortalli.
Il “Commissario Federale” Cerchiari veniva spedito a Bologna, all’incarico era
nominato a sua insaputa (come risulterà al processo) certo Attilio Milillo: un
inesperto giovane meridionale fra le vecchie volpi dello squadrismo.

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