Page 209 - Emilio Zanoni - 1955 - Saggo storico
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Medusa ove i marinai, o pazzi o criminali, infierivano sui naufraghi e spingevano
la barcaccia verso il mare aperto dell’esasperazione e della distruzione.
Chi ha vissuto quei durissimi tempi di miseria, di freddo, d’oppressione, di paura
fisica e morale, d’esasperazione, di concentrato furore, può dire veramente
d’essere passato attraverso il ferro e il fuoco di una fosca età del ferro riportata
sulla terra dai sostenitori del nuovo ordine.
Squallida la città nelle vie e nelle piazze, qua e là cosparsa di macerie per i
ripetuti bombardamenti. Abbattute, alle periferie, le file di piante (comprese
quelle mutilate del viale Po); strade sudice, muri cosparsi di multicolori manifesti
riproducenti appelli o minacce ai partigiani.
Il volto cittadino appariva ben misero e triste.
Davanti alle caserme e al Distretto, occupati dai nazifascisti, venivano eretti
bunker in pietra e cemento per difesa contro probabili improvvisi attacchi di
patrioti; cavalli di frisia mobili ne sbarravano le entrate.
I “posti di blocco” sistemati agli ingressi cittadini vedevano quotidianamente file
di cittadini che entravano in città con involti di generi alimentari acquistati alla
borsa nera o con piccoli carichi di legna raccolta fra i campi.
Altre file di “viaggiatori” erano in attesa di qualche camion per ottenere un
passaggio per le città viciniori.
Nei luoghi pubblici e per le vie centrali passavano, con la usata baldanza mista
ad una punta di ostentazione, i soliti lanzichenecchi delle brigate nere o delle
altre formazioni nere.
Se i tedeschi della Feldgendarmeria e delle SS apparivano ancora ben prestanti e
disinvolti nelle divise impeccabili, passavano anche reparti di truppa anziani
scalcagnati e dimessi.
Molti automezzi in giro ma anche carri e carretti di tipo zingaresco adibiti al
trasporto del materiale: indicavano la fase in declino della motorizzazione
tedesca.
L’aviazione alleata batteva forte in Germania e Giuseppe Stalin aveva dichiarato
in una seduta del Soviet Supremo: “questa è la guerra dei motori”.
All’ostentazione di sicurezza dei lanzi della repubblichetta faceva ancora
riscontro (fino all’ultimo) la prosa bolsa, retoricamente drappeggiata in errori di
sintassi e di grammatica, degli scrittorelli di “Regime” e di “Crociata italica”.
Agli usuali collaboratori si era aggiunta negli ultimi tempi una seguace di
Chandra Bose, l’indiano sostenitore dell’Asse e dell’indipendenza dagli inglesi
da ottenersi mediante l’assoggettamento alla Germania.
Era questa una certa Sita Devi Robins, un tipo di indiana drappeggiata in vesti
colorate che pareva allora allora uscita da una casa di appuntamenti.
E, a proposito di tipi strani, qui piovuti nel diluvio di gente e nella babele di
lingue, si può ricordare la venuta di John Amery, l’inglese traditore al servizio
dell’Asse, figlio del ministro delle colonie, che, fra qualche mese, sarà impiccato
in patria come reo di tradimento.

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