Page 207 - Emilio Zanoni - 1955 - Saggo storico
P. 207
A Fiesco i repubblichini avevano nominato commissario del fascio repubblicano
un certo Zanenga di 37 anni, contadino legato al fascismo per suoi particolari
interessi. Costui era venuto in ira ai lavoratori della zona per i suoi modi e per il
tradimento che egli, lavoratore, perpetrava ai danni del popolo.
La sera del 30 dicembre 1944, mentre lo Zanenga rincasava, partigiani appostati
lo eliminavano a colpi d’arma da fuoco. Era la guerra!
Il popolo italiano, certamente, non avrebbe mai voluto ridursi a simili azioni;
d’altro canto la guerriglia e la legittimità della rappresaglia di fronte ai misfatti
compiuti dai fascisti si imponevano come un imperativo categorico.
I repubblichini, dal fatto, trassero le più acute lamentazioni.
Non importava se lo Zanenga era sul più basso gradino della “gerarchia”
neofascista (Commissario di fascio a Fiesco! Si immagini!) essi prevedevano e
temevano che i partigiani, agguerriti e rafforzati, sarebbero presto passati ad altri
atti di rappresaglia.
La “gerarchia” montò l’affare in modo superlativo, con manifesti funebri sparsi
in tutto il cremasco, con minacce, con funerali imponenti.
Essa dimenticava che esattamente un mese prima, il 29 novembre, nel Campo
Sportivo di Crema, quattro partigiani, alla presenza dell’avv. Agnesi proconsole
fascista della zona, erano stati fucilati da un plotone delle brigate nere.
Questi quattro partigiani rispondevano ai nomi di: Gaetano Paganini, Ernesto
Monfredini, Luigi Bertazza, Antonio Pedrazzini.
Il 23 novembre avevano affrontato in combattimento a Bocca Serio un tenente e
un vice brigadiere della G.N.R. uccidendoli e rovesciando l’automobile giù per la
scarpata.
Arrestati in un rastrellamento nei pressi di Castelleone, avevano per quattro
giorni sopportato torture e sevizie perché rivelassero i nomi dei loro comandanti
e la dislocazione delle formazioni. Non avendo voluto rivelar nulla, vennero
condannati a morte e giustiziati da italiani degeneri. Morirono coraggiosamente
così come coraggiosamente avevano combattuto.
Un altro episodio di sangue, glorioso per i protagonisti e di infamia eterna per i
persecutori, era avvenuto in questo torno di tempo anche a Pizzighettone, la
località presso l’Adda e i boschi biancheggianti, facili a colpi di mano, a cavallo
delle province di Cremona e di Milano.
Masse operaie numerose sia nei locali stabilimenti sia gravitanti in treno su
Milano, determinavano la presenza di vivaci germi antifascisti.
All’8 settembre c’era stato anche un tentativo di difesa armata contro i tedeschi
che volevano occupare gli stabilimenti del Genio Militare.
I partiti antifascisti avevano, in loco, organizzato nuclei armati che svolgevano
attività di sabotaggio. Varie azioni erano state compiute ai danni dei nazi-fascisti
che, ivi, per vigilare stabilimenti e traghetti sull’Adda, avevano un forte
contingente.
L’ultima azione di sabotaggio consisté nel taglio di fili telefonici e
nell’abbattimento di pali sulla linea.
207