Page 199 - Emilio Zanoni - 1955 - Saggo storico
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liberazione, potevano infiltrarsi, come in ogni organizzazione clandestina, agenti
provocatori e spie del nemico.
D’altro canto, per quanto sia possibile giudicare gli uomini, si può sempre errare
circa la valutazione delle doti personali di coraggio e di resistenza fisica e morale
al dolore.
Tutto ciò, o per opera di provocatori o per debolezza o per leggerezza di taluni
cospiratori, può ingenerare, in particolari momenti, la “caduta”, vale a dire la
scoperta e la messa fuori combattimento da parte della polizia fascista di gruppi
periferici e talvolta di gruppi dirigenti, tirati in causa per rivelazioni accidentali o
provocate.
Il sistema organizzativo, a compartimenti stagni per quanto possibile, faceva sì il
più delle volte da delimitare il susseguirsi delle “cadute”. In questi casi però era
necessaria una ben maggior prudenza, un allontanamento degli elementi che
potevano essere chiamati a rispondere, un’attività più cauta e limitata per
allentare la vigilanza fattasi particolarmente occhiuta in quel determinato settore
della vita civile e sociale.
La resistenza cremonese, salvo qualche arresto e qualche scoperta avvenuti negli
ultimi mesi del ’43 e nei primi del ’44, fatti del resto dovuti a particolari
casualità, giunse indenne alle soglie dell’estate ’44.
I primi colpi vennero sostenuti dall’organizzazione militare socialista delle
Brigate Matteotti. Dalla zona periferica di Bonemerse, facente capo ai locali
elementi socialisti della 1^ Brigata Matteotti, giunse alla polizia fascista, per
l’opera di un agente provocatore che aveva simulato di essere disposto a cedere
armi e munizioni, un filo della trama della organizzazione periferica. Arrestati a
Bonemerse taluni patrioti fu facile all’U.P.I. risalire, attraverso conoscenze,
visite e perquisizioni, fin quasi al centro del nucleo dirigente del movimento
socialista.
Venne arrestato, senza peraltro che si sapesse delle sue particolari funzioni, il
comandante provinciale delle S.A.P. Matteotti, Tenente Stefano Corbari che
aveva lasciato il distretto militare, ove aveva preso servizio, a scopo informativo,
per procedere all’organizzazione in provincia dei nuclei di resistenza.
L’arresto di Corbari e dei suoi più vicini collaboratori, fra cui Livio Bigli,
determinò il momentaneo fermo dell’attività clandestina socialista.
Piero Pressinotti, ricercato, dovette darsi alla macchia. Gino Rossini e gli altri
dirigenti dovettero limitare l’attività organizzativa.
Questa poi riprese, ad opera di nuovi dirigenti, ma poco mancò che nell’agosto
non precipitasse nuovamente a seguito di una casuale scoperta fatta dalla polizia
fascista.
Le “Matteotti” avevano un deposito d’armi e munizioni in una stanza affittata,
naturalmente sotto falso nome, nella zona, bombardata il 10 luglio, di Porta
Milano. Uno dei soliti “sciacalli” che visitavano la zona per far bottino nelle case
deserte, penetrò nel deposito e, viste le armi e le munizioni, corse a farne
denuncia circostanziata alla Questura repubblichina. Tuttavia, nonostante le
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