Page 193 - Emilio Zanoni - 1955 - Saggo storico
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Né la”brigata nera”, oggi quotata baritono che intonava gli “inni della
rivoluzione”, valeva a commuovere gli induriti partigiani i quali rispondevano,
stonando, con “fischia il vento, rugge la bufera”.
Scesa in pianura la 17^ Garibaldi puntò decisamente su Torino, verso gli
obiettivi che il Comando Regionale del Corpo Volontari della Libertà le aveva
assegnato.
Fu l’ultima fatica, furono gli ultimi sacrifici.
Aprendosi la strada fra i posti di blocco, superando arditamente le colonne
tedesche in ritirata, affrontando con decisione i carri armati e le mitragliere
pesanti dei germanici e dei fascisti asserragliati nella esasperazione della
sconfitta, la Brigata occupò la Centrale Elettrica, la Stazione di Porta Susa e
giunse a dar man forte agli operai della FIAT erettisi a difesa degli stabilimenti.
L’epopea era finita. Il ritorno a Cremona, col ricordo dei morti e dei sacrifici, fu
la ricompensa dei partigiani cremonesi, più fortunati in questo dei loro
predecessori della “ Colonna Tibaldi “.
Durante i 20 mesi di lotta clandestina forti nuclei di cremonesi, ripetutamente,
salirono in Val d’Arda e oltre, dando vita a parecchi raggruppamenti nelle
formazioni partigiane dell’Emilia e e in quelle divisioni dell’Oltrepò Pavese.
Ricordiamo, innanzitutto, fra gli eroi caduti combattendo contro l’oppressore, il
cremonese Danilo Barabaschi. Era questi un maestro elementare, giovane, colto
e studioso già compromesso col fascismo sin da prima della guerra d’Africa. Era
stato condannato a 5 anni di confino per il suo sentire e per la sua attività
democratica.
Scontata la pena, dopo il 25 luglio 43, era tornato in Alta Italia.
Qui gli avvenimento dell’8 settembre non lo trovarono impreparato o esitante.
Era giunto il momento di rivendicare, con le armi in pugno, la libertà contesa
dagli oppressori. Danilo Barabaschi non esitò. Arruolatosi fra i partigiani morì
gloriosamente a Bardi, coronando così tutta una vita sacra all’ideale democratico.
Fra gli eventi succedutisi in Val d’Arda l’episodio più significativo è quello di
Bettola dal 9 al 12 gennaio 1945.
Il disgraziato appello del Generale Alexander ai partigiani, perché nell’incipiente
inverno tornassero al piano in attesa della offensiva primaverile, se non aveva
grandemente impressionato questi ultimi che, in massima parte, erano rimasti a
guarnire le posizioni, aveva ridato però aire ai nazifascisti che ritenevano di
potere liberamente vibrare un duro colpo alle formazioni.
Ai primi di gennaio, fra l’alta neve caduta e le intemperie, essi sferrarono
sull’Appennino il più grande rastrellamento che la storia dei 20 mesi ricordi.
Mongoli, tedeschi, bande nere per un totale di quasi 50mila uomini, erano partiti
da Genova, da La Spezia, da Borgotaro, da Parma, da Piacenza, per cercare di
chiudere in una morsa di ferro e in un anello di fuoco le poche migliaia di
partigiani che resistevano nella zona stremati dalla fame e a corto di munizioni.
Interi paesi devastati, incendi, violenze, stupri di donne, massacri e fucilazioni
furono i fatti più salienti di quel mese di lotte.

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