Page 190 - Emilio Zanoni - 1955 - Saggo storico
P. 190
Rispondemmo al fuoco solo all’ordine del Comandante; si sparava con certezza
di colpire. Verso mezzogiorno quando le sorti sembravano volgere male per noi,
il fuoco improvvisamente cessò e si produsse una calma grave, un silenzio
opprimente.
All’ordine di attaccare tutti scattarono e si lanciarono sul fondo sparando, ed il
nemico venne sgominato”.
Comandante di tale nucleo di eroi, trasformatosi in seguito in Brigata, era il
partigiano casalasco Giovanni Favagrossa che doveva poi gloriosamente cadere a
Casalbellotto il 24 aprile 1945.
Nello stesso dicembre 1943 altri contingenti cremonesi, indirizzati dal Comando
delle Brigate Matteotti di Cremona, si portarono alla banda del Tenente Nicoletta
fra Gioveno, Forno e Coazze.
Fu, però, nella primavera del ’44 che iniziò la grande coscrizione volontaria
verso la montagna. Parliamo ora della 17^ Brigata Garibaldi di Val Susa: fra
maggio e giugno ’44 tre contingenti di giovani cremonesi si avviarono in
Piemonte verso la zona di impiego.
Giovani che i repubblichini chiamavano alle armi, giovani che, non avendo
ancora obblighi di leva, volevano sfuggire, lassù ai bandi nazifascisti e
combattere per la libertà.
L’ultimo scaglione che partì per il Piemonte era composto da circa una
quarantina di giovani cremonesi. Non esistendo una particolare monografia
dedicata alla 17^ Brigata, abbiamo attinto notizie dalla viva voce dei
protagonisti: Enrico Fogliazza, Commissario di Brigata; Franco Mori,
Gianfranco Amici.
Sparpagliati sul lunghissimo treno che da Milano porta a Torino i giovani isolati
cercavano di non perdere di vista i due accompagnatori già pratici del viaggio:
Ghidetti e Casana.
Giunto il convoglio a Torino, avvenne un doloroso qui pro quo. Una ventina di
essi scesero a Porta Susa; altri alla stazione centrale. Quest’ultimo gruppo, nelle
vie del centro di Torino, incappò in un rastrellamento compiuto sui tram dai
tedeschi in cerca di materiale umano da spedire al lavoro forzato in Germania.
Alcuni vennero arrestati, altri riuscirono ad eclissarsi e, guidati da un operaio che
aveva compreso la loro reale destinazione, a giungere finalmente agli avamposti
delle Squadre di azione partigiana che proteggevano gli accessi alle valli di
Lanzo e Susa.
Sperando di poter dare un colpo grosso al movimento partigiano e per far seguito
alle minacce già comunicate nel bando del duce a quegli italiani che non si
arrendevano a loro, i nazifascisti iniziano nell’alto Piemonte, dopo la prima metà
di giugno, una vasta azione di rastrellamento.
Le formazioni partigiane in zona non sono ancora organizzate, mancano le armi
non essendo stati ancora operati aviolanci in grande stile.
La maggior parte dei partigiani è ancora disarmata, solo una piccola parte
possiede moschetti, pistole e qualche vecchia mitragliatrice.
190