Page 188 - Emilio Zanoni - 1955 - Saggo storico
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in nuclei organici e compatti. Nella zona di impiego essi svolgono un’azione a sè
stante anche se logicamente collegata a quella delle formazioni ivi già esistenti.
C’è, innanzitutto, un sintomatico parallelismo fra questo volontariato cremonese
fuori provincia e il “colonnismo” patriottico del ’48.
I cremonesi, nel ’48, fan luogo a due spedizioni, organizzate in loco per spostare
poi la loro azione verso il Trentino, in cooperazione con le “colonne” o
battaglioni delle altre province lombarde.
Nel 1944 molti volontari cremonesi della libertà, pur partendo alla spicciolata per
evidenti ragioni di clandestinità, sono anch’essi inquadrati ed organizzati. Giunti
in zona di impiego i cremonesi riescono a darsi una loro strutturazione organica
di formazione.
Le difficoltà iniziali sono certamente le maggiori.
I giovani che vogliono partire per la montagna debbono anzitutto trovare un
collegamento a Cremona con i centri politici che hanno la possibilità di avviarli a
destinazione.
Partendo alla spicciolata, con i mezzi di trasporto consentiti dalle circostanze di
emergenza, spesso con documenti falsi, talvolta con foglio di viaggio della
“decima” o delle brigate nere cui hanno finto di aderire, i giovani partigiani
arrivano nella città più prossima alla zona dove opera la formazione cui essi sono
indirizzati.
Generalmente nella città o nel grosso borgo dove arrivano, essi trovano o una
guida, che è di solito un concittadino già da mesi inquadrato nell’unità
partigiana, o un recapito indicato in precedenza. Qui, a mezzo di parole d’ordine,
essi si fanno conoscere ed hanno la possibilità di farsi condurre in zona.
A dirlo o a scriverlo tutto ciò sembra una cosa abbastanza semplice. Nella realtà,
anche se i servizi di vigilanza e repressione nazifascisti non sono efficienti ed
anche se l’invisibile ma sensibile protezione delle masse funziona con efficiente
simpatia nei confronti degli sbandati e dei perseguitati, la trafila da seguire è
complessa, comporta gravi rischi e rende difficile il raggiungimento della meta.
Ciò nostante i giovani cremonesi partono. Partono di nascosto. Dice il poeta dei
mille: “come pirati che a preda gissero e per te occulti giovane Italia”.
Per le vie, alle stazioni, nei luoghi pubblici, stazionano e si pompeggiano nelle
carnevalesche divise i funerei lanzichenecchi del nazifascismo.
Ben pasciuti e pagati guardano ora con disprezzo la massa dei cittadini “taillable
et corvéable à merci”. Ignorano e non pensano che fra questa massa in
movimento per i quotidiani atti o colloqui della vita passano anche quelli che, fra
qualche settimana, tra le forre delle Alpi o degli Appennini, impartiranno loro
severissime lezioni, in attesa dell’ultima, quella del 25 aprile.
Partono i valorosi figli di Cremona, in abiti da città, nel portafoglio il ritratto
della madre che mai più, forse, rivedranno. Partono perché l’immagine di una
madre ultraterrena li chiama all’adempimento del dovere.
Mentre i giovani del circondario cremasco, per vicinanza di luoghi o per
maggiore affinità di stirpe lombarda, si avviano di preferenza alla montagna
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