Page 172 - Emilio Zanoni - 1955 - Saggo storico
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Chi, almeno a parole e per gli scritti, proseguiva imperterrito era Farinacci.
Arrivò a pubblicare in quel tempo uno studio su Caterina da Siena sbandierata
quasi come una precorritrice del fascismo repubblicano... probabilmente tale
scritto venne dettato da un prete di “Crociata Italica”. Tutto volgeva a male nella
“repubblica”, ma lui duro e cocciuto.
La più completa anarchia, tenuta in rispetto nei punti strategici da soverchianti
forze militari, gradatamente invadeva il corpo civile e sociale dello staterello
hitlero-mussoliniano, ma Farinacci continuava a sfidare, almeno sulla carta e
stando al sicuro, eventi e jatture.
Gli eserciti di liberazione, a grandi giornate, avanzavano oltre Parigi, l’ottava
armata, oltre Firenze, si affacciava alla pianura padana; le armate sovietiche,
dopo la resa finlandese-romeno-bulgara, si appressavano alla Prussia orientale, ai
Carpazi e superavano il Danubio. Farinacci e i suoi fedeli seguaci speravano
nelle armi segrete e nella imminente offensiva di Von Rundstedt.
Vediamo ora brevemente la situazione più propriamente cremonese in questo
infuocato periodo di tempo e l’azione locale del movimento di liberazione.
La fase iniziata coi bombardamenti pesanti e ripetuti di quasi tutti i centri più
importanti della provincia, va caratterizzandosi, gradualmente, con un processo
dissolutivo della vita amministrativo-legalitaria con tendenze verso forme di
anarchia scomposta e senza norme legali.
Va notato che, facendosi lo “stato” esistente sempre più tirannico nei confronti
dei più esposti cittadini , la socialità e il senso della collettività che dovrebbe
essere alla base di un governo morale e bene organizzato, vanno riducendo il loro
margine di influenza.
Esiste e si mantiene, cioè, il senso della solidarietà fra cittadini per la lotta contro
un comune avversario, ma ogni nucleo famigliare, per riparare quanto è possibile
ai danni che lo stato avverso gli minaccia, si induce a ritirarsi entro forme di
sostanziale egoismo.
Lo stato non ha più forza morale e materiale per imporre una legge morale che è
egli stesso il primo a calpestare. Ne deriva un frazionamento della collettività per
più elementari bisogni che, se protratto per troppo tempo, potrebbe portare alla
disintegrazione morale della società esistente.
Ai sintomi della malattia che aggrava il corpo sociale naturalmente fanno
riscontro anche gli antidoti derivanti da norme morali ben radicate nell’animo del
popolo minuto e dalle idealità democratiche e rampollanti della situazione che si
avvicina allo sbocco finale.
La crisi di frazionamento si nota soprattutto nei ceti più economicamente dotati, i
quali, in un periodo in cui la disponibilità di denaro o le agevolazioni di scambi
in natura sono alla base di un migliore tenore di vita, agiscono e si comportano
egoisticamente dando una riprova della loro sostanziale ripugnanza a sacrificarsi
per la collettività e per il singolo.
Caduto cioè un regime, particolarmente eretto per la protezione degli interessi
degli abbienti, questi stessi cercano la loro salvaguardia in un egoistico “hortus

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