Page 169 - Emilio Zanoni - 1955 - Saggo storico
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sbalorditi ai primi atti coi quali la Resistenza rintuzzava la baldanza e colpiva i
responsabili di crimini contro la nazione.
Sui giornali dell’epoca era un continuo piagnisteo sulle vittime dei “banditi fuori
legge” comunisti, badogliani, briganti, ecc.
Si dimenticava, però, di aggiungere che tali “vittime” erano traditori al soldo del
nemico, responsabili della catastrofe in cui versava l’Italia.
E una sequela di ingiurie, pervasa di soddisfazione, accompagnava invece, sugli
stessi giornali, i comunicati con i quali le autorità nazifasciste davano notizie di
esecuzioni sommarie, di stragi perpetrate, di ferocissime sevizie contro uomini e
combattenti della resistenza.
Dei due pericoli anzidetti la “repubblica sociale” considerò, prima di tutto quello
rappresentato dal deflusso emorragico dei giovani dalle sue formazioni e dai suoi
bandi di reclutamento.
Si volle per prima cosa, dopo la pessima impressione causata dalle orrende
esecuzioni di reclute che non si erano presentate ai “comandi militari
provinciali”, cercare di richiamare i giovani col miele della lusinga e
dell’allettamento.
Cremona e i paesi della provincia furono così tappezzati di manifesti
riproducenti il “bando di amnistia” del duce: di esso avrebbero beneficiato tutti
coloro, renitenti, sbandati, ribelli, ecc., che si fossero presentati alle autorità
repubblichine dal 25 aprile al 25 maggio 1944.
Per ancor meglio colorire la loro propaganda, i giornali fascisti (ridotti per la
verità a un mezzo foglio) cominciarono ad inserire false notizie su presentazioni
in massa di intere bande di ribelli alle autorità repubblichine. Tali bande poi
(sempre secondo i precitati giornali), cantando l’inno di Mameli e salutando nel
duce il fondatore della repubblica, chiedevano a gran voce di essere inviate sul
fronte “ garfagnino “.
Vere e proprie amenità del genere mostravano l’inguaribile morbo retorico di cui
era affetta la gerarchia neo-fascista.
Il bando di amnistia non ebbe dunque l’effetto che ci si attendeva, benché i
policromi manifesti della propaganda germanica cercassero di rappresentare, per
la matita di Boccasile, la sorte tremenda che attendeva i “ribelli”: una nerboruta e
corazzata mano (evidentemente germanica) che stringeva per stritolarli ometti
armati e spauriti in veste di partigiani.
Il secondo pericolo, che metteva in dubbio non solo l’esistenza della repubblica
fascista ma quella (per loro ben più sacra e cara) dei suoi stessi fondatori e
seguaci, era rappresentato dalla molteplice attività delle bande di montagna e dei
nuclei patriottici di pianura.
Questa attività era sbocciata, come un fiore maturo, ai soli della primavera 1944.
La gioventù italiana guidata e diretta dall’avanguardia democratica dei partiti,
sorretta da una purissima fede nell’ideale umano e democratico del
Risorgimento, era passata all’offensiva in tutti i settori contro la tirannide
straniera e nostrana.

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