Page 146 - Emilio Zanoni - 1955 - Saggo storico
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Farinacci, allorchè, sotto il testo della condanna, aggiunse sul “Regime Fascista”
una noterella ai giudici colla quale li invitava “a differenziare la pena e non
ricorrere con estrema facilità al massimo di essa”.
Il giorno successivo 16 febbraio altri antifascisti del 25 luglio si presentavano a
tambur battente alla sbarra del Tribunale.
Il libraio Lorenzelli, imputato di analoghi reati, veniva condannato a trent’anni
di galera.
Un imputato di Crema, Edgardo del Torchio, non iscritto al p.n.f. veniva assolto.
Il Marchese Martucci di S.Maria, pur esso imputato, con una opportuna messa in
scena si prendeva gabbo del Tribunale e la sua causa veniva rinviata in attesa di
una successiva perizia. Le cose ormai si svolgevano stancamente per il
Tribunale. A ciò non erano estranee né l’imponderabile pressione dell’opinione
pubblica stanca della farsa, né la sensazione degli stessi ambienti fascisti che
l’affare servisse solo ad allarmare il pubblico operando in maniera
controproducente.
Dopo una condanna a otto anni di Alessandro Fanetti, imputato degli stessi reati,
il Tribunale aggiornò le sue sedute ad una data futura.
Gli antifascisti più attivi o più conosciuti si erano immessi nella clandestinità, gli
altri avversari del regime non si erano ancora palesemente chiariti per tali; il
Tribunale per ora non aveva di che occuparsi.
Nel frattempo il C.L.N., a mezzo di Ottorino Rizzi e di Lionello Miglioli, aveva
organizzato con successo l’evasione di due arrestati che ben volentieri Farinacci
avrebbe visto sullo scranno degli imputati: erano questi l’ex prefetto di Cremona
Trinchero e l’ex questore Barbagallo.
Costoro, più che da antifascisti, avevano agito durante i 45 giorni da funzionari
governativi applicando le direttive contenute nelle circolari ministeriali.
Era cosa stolta imputarli per atti nei quali non avevano fatto altro che applicare,
senza alcuna partecipazione personale, le disposizioni del governo.
Ma la gerarchia cremonese, non potendosi vendicare su Badoglio e sui ministri
del periodo badogliano, voleva rifarsi sui rappresentanti in loco della burocrazia
centrale, autrice del colpo di stato contro il fascismo.
Un particolare senso, ingenuo forse, di “cameratismo” tradito aleggiava nel
risentimento di Farinacci e della gerarchia contro i due capi locali della
burocrazia badogliana.
Fino al 24 luglio i legami fra le gerarchie e costoro, erano stati quanto mai stretti;
fino al 24 luglio ’43 si era potuto vederli spesso assieme i gerarchi ed i burocrati,
famigliarmente, al caffè Galleria.
Il tradimento al fascismo si colorava perciò di risentimento personale.
L’evasione dei due, particolarmente curata da Lionello Miglioli, riuscì a buon
fine e suscitò in città impressione perché dimostrava, a parte la personalità dei
perseguitati, che la resistenza agiva e bene al momento opportuno.
Sfuggendo alla vigilanza delle guardie che li piantonavano all’Ospedale dei
Camilliani, ove erano riusciti a farsi ricoverare, i due in bicicletta poterono

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