Page 125 - Emilio Zanoni - 1955 - Saggo storico
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Brandì il frustino e percosse con esso il viso di un passante (che era poi un
membro del Comitato antifascista), come se avesse compreso che lo sdegno di
questi, non espresso a parole, era significativo del flusso generale di riprovazione
che lo circondava.
Pur essendo chiaramente convinti d’essere ormai al di fuori della comunità
nazionale, pur avvertendo che fra la loro scarsa schiera protetta dalle baionette
germaniche e la grande massa del popolo esisteva un solco profondo per sempre
invalicabile, i fascisti cremonesi, come in tutta l’Italia occupata, si accinsero alla
riorganizzazione del loro partito e dello staterello vassallo hitleriano.
L’utilità che la Germania avrebbe ricavato dall’avere ai suoi servizi
lanzichenecchi e traditori, nello schema e nell’apparato di un governo fantasma,
sui quali poi rovesciare l’odio del popolo soggetto per la esosità, la depredazione
e i crimini commessi, compensava senza alcun dubbio, gli inconvenienti che
sarebbero sorti dalla mancanza di una diretta subordinazione dell’Italia occupata
dal Reich.
D’altro canto i fascisti eran così premurosi, così operosi nei confronti del “bene
supremo” della Germania che ben poco avevano da temere da improbabili
reazioni di uno staterello vassallo e di seconda bussola.
Mussolini, Graziani, l’alta gerarchia romana si sottomisero senza recriminazioni
e senza abbozzare alcun gesto autonomo e di autocontrollo.
Farinacci a Cremona, perdipiù, era “gauleiter” per vocazione e per polemica
potenziale contro i gerarchi della repubblichetta.
Con simili premesse padroni e vassalli non potevano non andare d’accordo, tanto
più che questo verteva sulla facoltà data e accettata di taglieggiare il popolo, di
soffocare ogni anelito all’indipendenza nazionale e alla libertà, di opprimere ogni
aspirazione umana e sociale.
Il PNF che, per ritorsione puerile di complici, si tramuta la sigla con la R (partito
fascista repubblicano: ma Mazzini e Cattaneo davvero non c’entravano!) venne
rapidamente ricostituito nella sede del Palazzo dell’ex Rivoluzione.
Sul “Regime Fascista” apparvero gli arrochiti e stonati appelli di “tenenti
legionari” di “massaie fasciste” di “squadristi” rivolti a far breccia fra gli ex
organizzati e in specie fra coloro che, fattasi la pelle coriacea per le fruttifere
speculazioni del ventennio, ambivano essere lasciati in pace per non
compromettersi per l’avvenire.
Gli appelli perciò ebbero un eco piuttosto limitato. Risposero ad essi in città
alcune scarse centinaia di venturieri senza ventura cui si aggiunsero, in prosieguo
di tempo, fascisti sfollati per ragioni di personale sicurezza, dalle zone dell’Italia
centro-meridionale liberata dalle armate alleate e dai partigiani.
Nei paesi della provincia i fasci “repubblicani” reclutarono i pochi faziosi locali
e i deboli di mente che si lasciarono irretire dalla propaganda e da qualche
carichetta.
Gli sforzi dei tedeschi e dall’alta gerarchia fascista erano soprattutto diretti a
raccogliere carne da cannone per buttarla nella fornace del massacro nella quale,

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