Page 124 - Emilio Zanoni - 1955 - Saggo storico
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piattaforma dei grandi ideali democratici e sociali che nei decenni antecedenti
avevano fatto progredire la società verso forme e sviluppi moderni.
L’irriconciliabilità fra le masse del popolo e il fascismo non era data soltanto, in
una parola, dalla collusione aperta di questo con l’invasore nazista e colla sua
abdicazione ai ruoli che un qualunque governo nazionale deve pure avere e
svolgere, ma, soprattutto, dal fatto che il popolo cremonese, cogliendo gli
imponderabili delle grandi ore, anelava a ricostituirsi in democrazia e a dare a se
stesso gli strumenti per un divenire pacifico nell’alveo della evoluzione italiana.
I neo-fascisti, i “repubblichini”, gli uomini di Salò (si chiamino come si vuole i
fedeli della repubblichetta) si accingono dunque a costituire la strutturazione del
loro staterello colla dignità e serietà dei bamberottoli che erigono castelli di
sabbia sul lido bagnato dal flusso dell’acqua (non sul “bagnasciuga” di
mussoliniana memoria).
Tratto tratto, interrotti nel loro lavoro di Sisifo, sbottano in urla e in imprecazioni
e dan di mano alle più inutili e stupide rappresaglie con gli avversari che li
stanno a guardare.
Anche se nei primi mesi, nonostante la tragicomica farsa dei Tribunali
provinciali rivoluzionari, la repubblichetta pare mantenersi entro limiti passabili,
è evidente l’ostilità completa, assoluta, dritta e insindacabile del popolo che si
spiega contro il gruppo, più o meno vasto, dei traditori.
Nei più semplici rapporti della vita quotidiana, negli incontri casuali per strada,
l’ostilità del popolo si manifesta immediatamente ai neo fascisti ed essi stessi ne
hanno la sensazione, come di “mostri” schivati e aborriti ....
Vediamo in qualche documento e in qualche fatto la loro stessa autentica
testimonianza su questo rituale isolamento.
Sul numero di “Regime Fascista” del 30 ottobre ’43 certa Isa Vecchiotti-Riolo
“figlia e sposa di squadristi” disserta sull’onorifico titolo di “spie” col quale il
popolo gratifica gli asserviti al tedesco e fra l’altro aggiunge: “è amaro che
italiani ci rivolgano un’ingiuria simile, ma è anche più amaro dover ascoltare in
treno, in tram, in corriera, ovunque e da chiunque invettive, ingiurie, parole di
scherno e di accusa, parole di minaccia e di odio contro l’idea etc. e non poter
convincere e dover tacere”.
Un altro episodio citiamo, tratto questo dalla viva cronaca cittadina nei primordi
del 1944.
A Cremona, fino a quel momento, ben pochi ufficiali erano stati visti in divisa
come aderenti alla repubblica salodiana. Era la mattina di Capodanno, un alto
ufficiale, maggiore o tenente colonnello che fosse, passeggiava in divisa sul
Corso Campi.
Sentiva egli certamente lo sguardo fisso, denso di odio, che la folla dei cittadini
gli rivolgeva senza parlare. Probabilmente per quei riflessi per cui ogni uomo
sente lo sguardo che gli si punta addosso, egli comprendeva l’ondata di sdegno
che da ogni parte lo assaliva. Agì, allora, come agisce un energumeno che sente
la riprovazione e l’odio della folla.

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