Page 108 - Emilio Zanoni - 1955 - Saggo storico
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Si è detto della presa dei poteri civili da parte del Comando militare assistito
dagli organi burocratici già esistenti in provincia. Si è detto del contributo
limitato che il Comitato antifascista diede al governo provvisorio della città.
Il governo Badoglio non poteva in provincia dare una impostazione diversa al
suo potere decentrato. Ma il governo militare, abituato ad un modo di vita e di
azione tutto suo e per di più affidato a mani inesperte di cose civili e ignare delle
particolari caratteristiche della provincia non poteva non commettere errori.
D’altra parte, per militaresca abitudine, uso a trasmettere e ricevere ordini e
disposizioni da eseguire senza discutere, esso non sarebbe riuscito a interpretare i
voti e le speranze popolari così lontane dalla sua concezione.
Il generale Giacomo Florio che aveva stabilito il comando della città nell’ex
palazzo della rivoluzione, non era altro che un generale della monarchia, senza
iniziative e senza mordente di lotta. Dopo il rientro di Farinacci nel settembre,
dalle colonne del “Regime” su di lui, fuggiasco, venne rovesciato un torrente di
ingiurie e di diffamazioni.
Certamente il generale non meritava “cet excès d’indegnitè”. Generale
monarchico, agiva come lo consigliarono la sottomissione militare e il suo
particolare credo politico. Ma giunto qui, ignaro delle cose nostre, aveva dovuto
appoggiarsi agli organi di governo esistenti. Una maggiore confidenza col
Comitato antifascista gli avrebbe permesso di conoscere meglio la situazione
cremonese che non attraverso le informazioni del Prefetto Trinchero e del
Questore Barbagallo.
Comunque sia il Generale Florio si accinse all’opera cui l’aveva chiamato
Badoglio non certamente col telegramma pubblicato da Farinacci sul “Regime”
del 30 settembre, chè esso è certamente un documento falsificato.
Sulla base delle disposizioni governative, il Comando militare provvide allo
scioglimento in provincia del PNF e delle organizzazioni da esso dipendenti. Nel
corso delle quattro settimane venne insediata la Commissione che doveva
vagliare gli illeciti arricchimenti dei gerarchi e in modo speciale del capo del
fascismo cremonese. Vennero tolti i simboli più appariscenti del fascismo che
ancora esistevano e cioè: Il cosiddetto “sacrario dei caduti della rivoluzione”
alloggiato, con la messa in scena funeraria del caso, a pianterreno del palazzo
della rivoluzione; la lapide bronzea che, di fronte alla Questura ricordava i
“Martiri Fascisti”, i due grandi affreschi sul voltone interno della Galleria, che
celebravano, per il pennello di un vincitore del “premio Cremona”, la “battaglia
del grano” e l’apoteosi del fascismo.
In provincia si provvedeva alle dimissioni di molti podestà fascisti, sostituiti da
commissari prefettizi. Provvedimenti tutti che miravano da un lato a dare
soddisfazione all’elemento popolare, dall’altro a modificare gradatamente la
costruzione diarchica statale per farla rientrare nella normalità albertina
costituzionale.
Dopo i primi 15 giorni di pressione e di sommovimento nazionale dati dagli
avvenimenti, la situazione, in attesa dell’8 settembre, tende a cristallizzarsi.

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