Page 103 - Emilio Zanoni - 1955 - Saggo storico
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Logicamente, essendo la città sottoposta ad un virtuale stato d’assedio, non era
possibile ricostruire pubblicamente i Partiti con assemblee, manifesti, ecc.. La
libertà vigilata permetteva però riunioni a carattere semiclandestino nelle quali si
ponevano le basi organizzative dei movimenti e si studiavano i mezzi per
allargare la propaganda quando i tempi lo avessero permesso.
Affluivano intanto da Milano i primi numeri dei giornali di Partito ancora
clandestini: “L’Italia Libera” del P.D.A., l’”Avanti!” del Movimento Unità
Proletaria (Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria), “l’Unità” del Partito
Comunista, d’Italia. Affluivano pure copie numerose dell’atto col quale i Partiti
democratici (Partito d’Azione, Democratico Cristiano, Gruppi di ricostruzione
Liberale, Partito Socialista, Partito Comunista), stringevano un patto di unità
nazionale per l’affermazione della libertà e per la lotta al fascismo.
L’atto anzidetto conteneva particolari parole d’ordine cui la massa del popolo
doveva attenersi per richiedere la pace: l’allontanamento dai tedeschi, la
liberazione dei detenuti politici, l’epurazione delle pubbliche amministrazioni
dagli elementi più faziosi della gerarchia.
Giornali e volantini semi clandestini venivano diffusi in gran copia fra i vari
strati sociali creando un’attenta ricerca e una prima disamina ideologica dei
programmi dei partiti da parte dei cittadini. Ricerca e studio che continueranno
soprattutto nel torbido periodo seguente mentre i repubblichini si affanneranno a
dare una riverniciatura sociale al loro programma profondamente reazionario.
Rimangono estranei a quest’opera di educazione democratica i giornali a
carattere nazionale e a grande tiratura. Durante i 45 giorni la stampa di
informazione si limitò, a proposito del fascismo, a dare cronache scandalistiche
sulla vita privata dei gerarchi attenendosi, per la parte più propriamente politica,
alle informazioni governative sulla base di un piatto conformismo, quindi alla
tesi “della guerra continua”, della “libertà dopo il conflitto”, della unità nazionale
attorno agli istituti consuetudinari della corona e della burocrazia.
Non è a dire che anche le cronache intimistiche sulla vita dei gerarchi non
servissero al loro scopo che era quello di togliere i veli, agli occhi dei ceti più
sprovveduti e a coloro che erano stati per lungo tempo ammalati di miopia, circa
le qualità e le austerità personali dei capi della gerarchia. Ma questo dovere di
informazione doveva essere accompagnato da una più spiccata funzione di
educazione democratica dei cittadini.
Il problema di una stampa locale rivolta a questo scopo era profondamente
sentito negli strati democratici della città.
Il “Regime Fascista” aveva interrotto le pubblicazioni col numero del 25 luglio.
Fra poche settimane si sistemerà a Cremona il quotidiano cattolico “l’Italia”. Nel
frattempo la città rimaneva priva di un organo democratico di informazione. Un
gruppo di cittadini, sotto la presidenza di Giuseppe Speranzini, si riunì nei locali
di una trattoria di Via Palestro per esaminare il problema.
Sostanzialmente essi lo vedevano così come lo prospettò il Comune di Cremona
quando si trattò di opporsi all’atto di confisca, da parte dello Stato, dello stabile e

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