Anche non volendo, la circostanza induce ad attivare la messa a fuoco di biografie e di eventi, anche più reconditi e trascurati dalla storiografia, prevalentemente attenta ai grandi personaggi ed agli accadimenti destinati a connotare convenzionalmente snodi nevralgici della vita nazionale. Mentre, se si vuole far riemergere dal torpore delle coscienze il significato di quanto avvenne alla metà degli anni Quaranta, è assolutamente indispensabile porre sotto riflettore le storie minute di testimonianze e di esistenze stroncate; che, per il loro profilo, non sarebbero destinate a diventare protagoniste di altri contesti che non fossero strettamente quelli esistenziali. Quando si entra in tale ordine di considerazioni, occorre stare lontani dagli stereotipi, specie se caricaturali. Pensiamo alla vulgata dello sportivo professionista, percepito, non si sa se suo malgrado, prevalentemente per il combinato disposto tra strapotere mediatico e palingenesi della pratica sportiva in senso quasi esclusivamente spettacolare ed affaristico. Pensiamo, per come l’informazione ce li veicola od gli stessi interessanti vogliono apparire, ai divi sportivi, osannati e vergognosamente strapagati; a prescindere dalla vacuità della loro impronta, fuori dai campi e dai palazzetti di gioco. Certo non tutti presentano questo timbro; anche se, va detto con prudenza ed anche molto rammarico, è prevalente negli ultimi decenni. Conformistica, la categoria dei talenti sportivi, diciamolo pure, è sempre stata; soprattutto, sul versante del rapporto con i padroni del vapore, magnati e potenti che fossero. Al punto da prestarsi alle più bieche strumentalizzazioni, in chiave di consenso ai politici di turno. Volendo estrapolare da questo non edificante deposito l’episodio più paradigmatico penseremmo senza esitazione al fascistissimo e provocatorio saluto tributato nello stade olympique Yves-du-Manoir dalla nazionale di Pozzo e Meazza, poi vincitrice della Coppa Rimet, nel 1938. Come sarebbe andata a finire di lì a pochi anni è storia ben nota. Ma non tutto il popolo degli sportivi si mostrò proclive al conformismo. Non pochi giovani seppero scegliere altre strade. Quelle dignità, dell’amore per la democrazia e per la libertà. Che alcune di quelle storie emergano nel 70° della Liberazione non è cosa di poco conto. Si stagliano da scenari poco esaltanti per un profilo simbolico che può e vuole integrare il valore dello sport e la testimonianza civile. È di questi giorni la positiva notizia del progetto di iniziativa, congiunta Panathlon e Comune di Cremona, di collocare nello Stadio Zini una Targa per ricordare il significato civile dell’esempio di campioni, che si dimostrarono tali non solo in senso sportivo. Di passaggio, ricorderemo pure che, dal 2 settembre del 1929, lo stadio-gioiello di Cremona, da qualche anno portato a nuovo dalla munificenza del Cav. Giovanni Arvedi, è simbolicamente intitolato a Giovanni Zini, portiere dell'U.S. Cremonese, poi bersagliere deceduto durante la prima guerra mondiale sul Carso. Promotore di tale iniziativa è Pierluigi Torresani; figura cremonese ben nota nel mondo dello sport e dell’educazione sportiva. Recentemente ha contattato i grandi club (Fiorentina e Torino) in cui militò, dopo l’esordio nella grigio rossa Cremonese, il portiere Vittorio Staccione. Il cui profilo sportivo e biografico viene efficacemente tracciato da Torresani. Che non tralascia di menzionare anche un altro valente sportivo che onorò il calcio cremonese, l’allenatore Arpad Weiz. Weiz, ungherese di origini ebree, iniziò come promettente calciatore di livello internazionale (Ungheria, Cecoslovacchia, Italia e Uruguay). Passato ai ranghi tecnici, avrebbe allenato club di A e di B del campionato italiano; fra cui, appunto, la benamata Cremonese e l’Ambrosiana (poi Internazionale), con cui avrebbe conquistato lo scudetto nella stagione 1929-1930. Il suo destino avrebbe preso, a seguito delle vicende politiche mondiali, una piega ben diversa dalle premesse. Il nazismo da poco insediato avrebbe senza esitazioni delineato il truce profilo razzista e precipuamente anti-semita. Che nel breve volgere sarebbe stato adottato anche dall’Italia mussoliniana, con le leggi razziali del 1938. A seguito di tali eventi, Weisz fu costretto ad abbandonare la carriera sportiva ed iniziare il tragico calvario percorso, con la moglie Elena, anche lei ebrea ungherese, ed i figli Roberto e Clara, per riparare nei paesi non ancora soggiogati dal nazi-fascismo. Ma non avrebbero avuto scampo. Perché, riparatain Olanda, in breve occupata dai tedeschi, la famiglia Weisz, prima fu rinchiusa in campi di lavoro e poi, nel 1944, deportata nel campo di sterminio di Birkenau. Destinata, nel volgere di qualche giorno, alle camere a gas. Quando, tra qualche settimana, si svolgerà la cerimonia di scoprimento della targa evocativa, non si ricorderà il talento calcistico solo del grigio-rosso Vittorio Staccione, ma anche dell’allenatore ungherese Arpad Weiz; ma, soprattutto, simbolicamente sarà onorato l’esempio di quei giovani sportivi, destinati alle discriminazioni ed alla morte. Altrettanto valore simbolico, assume la circostanza che l’autore della targa destinata allo Stadio Zini sia l’ultracentenario scultore e tifosissimo grigio rosso Prof. Coppetti. Che nella sua lunga dedizione ai colori della squadra cremonese ha incrociato i due sportivi onorati dal ricordo. Anche Coppetti come loro, anche se con un epilogo più felice, avrebbe ben presto dovuto prendere la strada dell’esilio.
Le “tracce” grigio- rosse del calciatore VITTORIO STACCIONE di Pierluigi Torresani*
Nell'ambito della collaborazione con la Rete Scolastica che si occupa di organizzare momenti di riflessione in occasione della Giornata della Memoria, ho incontrato fra le altre,la vicenda di Vittorio Staccione, giocatore della Cremonese nell'anno 1924/25 morto nel campo di concentramento di Gusen, sottocampo di Mathausen il 18 Marzo 1945, dove era stato internato per la sua attività antifascista. Nato a Torino il 9 Aprile 1904, di famiglia operaia viene notato da Enrico Bachmann, famoso giocatore del Torino e viene inserito nelle giovanili della squadra granata. Esordisce in prima squadra nel Febbraio 1924 contro l'Hellas-Verona. Nel campionato seguente viene prestato alla Cremonese dove gioca 25 partite in Prima Divisione Nord. Al termine del campionato i grigio-rossi giungono settimi e Staccione viene ripreso dal Torino dove l'anno successivo disputa 18 gare. Dal 27 al 31 approda alla Fiorentina dove conta ben 94 presenze e dal 31 al 34 termina la carriera al Cosenza in serie B. Finita la carriera calcistica torna a fare l'operaio alla FIAT di Torino; per le sue idee antifasciste il 13 Marzo 1944 viene arrestato insieme al fratello Francesco e il 28 dello stesso mese viene internato come oppositore politico nel campo di sterminio austriaco di Gusen-Mathausen dove il muore per le ferite riportate in un pestaggio. Come avvenuto per un altro noto sportivo Arpad Weiz, allenatore ebreo-ungherese, con scudetti vinti all'Inter e al Bologna morto ad Auschwitz il 31 Gennaio 1944. A S. Siro e al Dall'Ara è stata collocata una targa in sua memoria: si propone di fare la stessa cosa anche allo stadio Zini di Cremona, in ricordo del coraggio di Vittorio Staccione quale simbolo di una sport visto come impegno sociale, civile e politico. Di uno sport che anche in quei drammatici anni, non "ha girato la faccia da un'altra parte". Altro aspetto unico e significativo è rappresentato dal fatto che il noto scultore Mario Coppetti, prossimo ai 102 anni, si è detto disponibile per elaborare il bozzetto della scultura-simbolo da applicare alla targa celebrativa.
* Coordinatore Progetti Formativi -?Università Cattolica di Milano – Consigliere del Panathlon di Cremona
1° Foto: Nazionale Italiana e Staccone
2° Foto: Coppetti
3° Foto: Torresani
In allegato il testo completo di foto