Interessante, ma ancor di più concreta, l'iniziativa del comune di Mantova che vede coinvolti una ventina di percettori del reddito di cittadinanza per svolgere lavori socialmente utili che, nello specifico dell'emergenza sanitaria (non ancora conclusasi almeno sul piano della prevenzione) si traduce nelle opere di igienizzazione delle strutture adibite a gioco per i più piccini e dislocate nei vari parchi cittadini.
La risposta dei cittadini “chiamati alle armi” è stata estremamente positiva: lavorando 2 ore al giorno per quattro giorni a coppie per un totale di 8 ore settimanali, a turni, provvedono alla sanificazione dei luoghi in cui i bambini possono tornare a divertirsi e a godere dell'aria aperta dopo tutti questi mesi di lockdown che per loro, è bene ricordarlo, in qualità di “scolari” è durato più a lungo rispetto alle altre “categorie”.
Complimenti al sindaco, Mattia Palazzi, ed al suo assessore al welfare per avere realizzato questa semplice ma grandiosa opera di compensazione della risposta ad un bisogno individuale in cambio di un servizio socialmente utile.
Per il ritorno ad una "quasi normalità", sia per la vita dei nostri bambini che degli espulsi (si spera temporaneamente) dal mondo del lavoro, sarebbe bello se in provincia di Cremona si prendesse ad esempio i “cugini della bassa”.
Alleghiamo il pensiero di Alessandro Gaboardi, sempre molto sensibile ai temi sociali; grande dispensatore di aneddoti di alto valore civile e morale.
Il lavoro, specie se fatto in gruppo è un grande strumento di socializzazione ed integrazione.
L'elargizione di contributi gratuiti appare spesso come un'elemosina che umilia chi li riceve e anche chi li dona.
Nel primo dopoguerra organizzavano gruppi di lavoro per disoccupati e, in estate, per ragazzi che avevano finito la scuola. Il compenso era minimo ma intanto erano occupati e imparavano qualcosa.
Un anno ci sono andato anch'io e avevamo imbiancato la scuola elementare della frazione Ferie. Usavamo la classica calce spenta come bianco. I pennelli erano quelli tondi con manico triangolare. La forma del manico era studiata apposta per poterla legare in cima alle pertiche in modo da pitturare, senza uso di scale anche i muri in alto e i soffitti. Sotto la guida di un vecchio imbianchino tirammo a lucido anche parte dell'ospedale, l'attuale casa di riposo. Rifacemmo con la tecnica dell'intonaco alla veneta, il miro delle scale principali fino all'altezza del corrimano. Opera che restò intatta fino alle opere di ristrutturazione del Mazza di tre anni fa.
Da quel gruppo di ragazzi scaturirono poi alcuni bravi artigiani di Pizzighettone.
Con poco si può fare molto quando c'è coesione impegno e guida.
I giovani, gli immigrati in particolare, ma anche parecchi “nostri” che non hanno nulla da fare e non trovano un lavoro soddisfacente avrebbero modo di socializzare in senso positivo. Capisco che non sia facile anche perché oggi ci sono regole e leggi che disciplinano tutto. In questo momento poi anche gli approcci amorosi sono vietati o regolamentati.
Bisogna dare spazio agli amministratori volonterosi. Penso, ad esempio al problema del caporalato che non è, purtroppo, una prerogativa del sud. Quando è risorto, perché aveva avuto un declino con le leggi degli anni '60, lo è stato con gli immigrati. Il rapporto con questi “poveracci” era tenuto da gente della malavita, gli unici che interloquivano con i "fuori legge". Se i comuni coi sindacati facessero squadre di lavoro in forma cooperativa, potrebbero in parte risolvere il problema della mancanza di manodopera nei campi.
Alessandro Gaboardi