Considerato il positivo riscontro da parte dei nostri lettori, rendiamo fissa questa rubrica, destinata a diventare una sorta di compilation delle testimonianze editoriali, politiche ed organizzative della vasta, ahinoi, frammentata e recalcitrante, rete dei segmenti che si richiamano, in qualche modo, alle preesistenze ideali del socialismo italiano. E che dimostrano una forte capacità di evocazione delle tracce del passato e, non marginalmente, di attualizzazione negli scenari correnti della sua storia.
Socialismo italiano quantus fuit ipsa ruina docet. Soprattutto quando queste “rovine” sono vive e, facendo il verso allo slogan, sono degne di “lottare” negli scenari del presente; testando la piena aderenza alla forte domanda, restata inevasa, di un “drizzone” (neologismo berlusconiano) ad un sistema politico-istituzionale attorcigliatosi come Ugo Fantozzi. Non più in grado di fornire risultati performanti né per una auspicabile dinamica evolutivo/progettuale né per il normale funzionamento dell'ordinamento.
Dimostra ciò la deriva di equilibri e di dinamiche, molto simili alla fattispecie di un ”incartamento”, per uscire dal quale si è infittito, negli ultimi anni, il ricorso a soluzioni straordinarie, poco congrue al modello impostato sull'alternanza e sull'alternatività dei campi politici.
Ciò dimostra, soprattutto, che il serbatoio degli aggregati che animano la scena politico-istituzionale è da tempo in riserva. Dal punto di vista sia di una normale dotazione di risorse per corrispondere minimalmente agli equilibri necessari alla funzionalità degli organi elettivi sia di un deposito teorico e progettuale, indispensabile per una lettura della società e delle problematiche, in chiave di riforme.
La soluzione “straordinaria” data all'impasse, che avrebbe portato all'ennesima conclusione anticipata delle Legislatura ed alla definitiva ingovernabilità, reggerà solo se, in aggiunta ad un alto tasso di concreta aderenza comportamentale al profilo motivazionale, il parterre politico saprà rigenerarsi.
Lontani da anni dai meccanismi di concreta incidenza, i socialisti italiani, con l'ultimo spiaggiamento di quel che restava del PSI, si sono consegnati ad un definitivo destino di marginalità e di potenziale ininfluenza (di peso e di autorevolezza).
Il PSI consegnato dalla prestazione della seconda “chiama” è un micron che si comporta come e peggio i players di prima fila.
Se non vorranno archiviare definitivamente la loro ragione sociale sulla scena politica, dovranno trarre le dovute conclusioni di un quarto di secolo, funestato dall'ostracismo e, ultimo ma non ultimo, da prestazioni non esattamente performanti.
L'Europa, l'Italia (volendo esagerare, il mondo intero) hanno un drammatico bisogno di un socialismo umanitario, liberale, riformista.
Questi 25 anni hanno privato i socialisti di un fondamentale diritto di tribuna, ma non di un know how congruo alla domanda di invertire la “liquidità” di un pensiero e di una politica che, insieme alle pratiche leaderistiche e trasformistiche, stanno consegnando la liberaldemocrazia alla fattispecie dell'implosione.
Questa lavagna oltretutto consegna la percezione della permanenza della capacità dei socialisti di interpretare le tendenze e di fornire soluzioni strategiche per riavviare la “remuntada”.
È assolutamente indispensabile che, parallelamente a questa consapevolezza, quanto resta della presenza socialista attivi, come sosteniamo da tempo, il meccanismo esattamente inverso al colossale impulso ala disgregazione.
Chi scrive, da invitato, ha partecipato ieri sera ha partecipato alla riunione del Direttivo della Rete Territoriale delle Comunità Socialiste, traendone almeno due conclusioni.
La prima riguarda il pieno titolo di esercitare un ruolo di rappresentanza nella vita politica ed istituzionale. La seconda riguarda la transizione, ormai ineludibile (pena il completamento del processo di polverizzazione), ad una prospettiva discendente da un coerente e deciso sforzo di armonizzazione e convergenza delle voci e degli interpreti del pensiero socialista.
La Comunità Socialista cremonese tre anni fa è stata privata del titolo di appartenenza al PSI. Alla luce dell'involuzione degli standards minimali di comunità politica, di cui la prova di Nencini è stata l'ultima conferma, ogni testimonianza territoriale come la nostra ha risorse e titolo per operare.
La questione, però, è che è necessario riavvolgere una perniciosa pellicola e tornare, come fecero i padri fondatori socialisti un secolo fa, ad esprimere un unico soggetto politico-organizzativo nazionale. Ispirato alla grande famiglia del socialismo europeo ed erede del patrimonio ideale e teorico di Turati, Rosselli, Matteotti, Nenni e del ciclo riformista degli anni 80. Entusiasticamente scrive, i presume, il bravo Stefano Carluccio, nel prologo del numero dell'Avanti! di febbraio/marzo: “l'Avanti! è sulla giusta strada. Nel prossimo numero un'appello pubblico per l'unità in un campo riformista delle forze socialiste, repubblicane e liberali democratiche”.
Siamo i primi, avendo salutato gioiosamente la scommessa di quasi un anno fa, una scommessa di valore editoriale ma anche di implicito avvio di un progetto di coesione, ad apprezzare questa determinazione e a dichiararcene parte attiva.
Ci dicono che anche Nencini avrebbe manifestato l'intendimento di rimodulare il modo d'essere e di agire di quella piccola entità satellitare e monocratica che era diventato il PSI, finita al capolinea.
L'ipotesi sarebbe quella di organizzare una conferenza organizzativa. Una passaggio questo, normalmente praticato nei contesti in cui è necessario risagomare l'intelaiatura operativa.
Ma non ci pare che sia questo il caso del PSI. Che, a sommesso parere di chi scrive, va semplicemente rifondato. R-I-F-O-N-D-A-T-O!!!
Con il concorso di tutti coloro che in questi anni hanno tenuto aperta la claire, con contributi individuali e associativi.
L'idea che a gestire il tentativo di soluzione siano coloro che hanno aggravato il problema non rientra nell'ordine razionale delle cose. Se il senatore Nencini non vuole essere clamorosamente protestato, cominci col farsi edotto di un ciclo arrivato al suo epilogo. Chiami i più autorevoli esponenti della diaspora socialista (ad esempio Martelli, Spini e i più attivi continuatori della testimonianza socialista) a costituire una sorta di direzione commissariale, officiata del compito di sintetizzare una base progettuale di rilancio del socialismo italiano, in vista della convocazione di un congresso di rifondazione. Il cui traguardo sia la costituzione di un movimento capace di includere le forze socialiste, repubblicane e liberali democratiche di ispirazione riformista.
DUE COMPITI DISTINTI PER UNA FINALITÀ COMUNE
al governo la ricostruzione nell' emergenza
al parlamento la ricostruzione istituzionale
di Claudio Martelli
Faccio parte della vasta schiera di italiani che ha voluto questa soluzione politica e vuole partecipare contribuendo col pensiero e con l'azione alla buona riuscita del governo Draghi. Un governo che nasce con un ampio sostegno delle forze politiche e dell'opinione pubblica nel perdurare di un'emergenza che è insieme crisi e opportunità. Ci sarà presto occasione per scrutare gli effetti che sul sistema politico può avere – nell'immediato e nel medio termine – quell'embrione di unità nazionale che si rispecchia nel governo e che deve trovare nel Parlamento il suo fondamento e il suo sprone. A ben guardare l'esperienza in corso non descrive soltanto una fase straordinaria di collaborazione tra forze politiche che hanno già collaborato formando governi insieme e tra altre che, diversamente, sono sempre state rivali come il PD e la Lega o Forza Italia e i 5 Stelle.
In altra parte di questo numero, l'Avanti! ricapitola le precedenti esperienze di unità nazionale per cogliere analogie e differenze con quella in corso e magari qualche utile insegnamento. Quel che qui preme è, invece, di capire se, come e con quali obiettivi potrebbe maturare tra le forze politiche in Parlamento un comune sentire che ispiri alcune scelte che non concernono l'appoggio o l'opposizione al governo Draghi, ma appartengono alla comune responsabilità parlamentare e investono il futuro della Repubblica e della democrazia italiana.
Non credo che al di là dell'emergenza la maggioranza che vota la fiducia possa condividere un progetto politico generale. E non intendo speculare sull'ispirazione politica “socialista e liberale” che da sempre è la nostra e alla quale in un recente passato si è richiamato il presidente Draghi. Penso piuttosto a come tutte le forze parlamentari potrebbero collaborare nell'ambito che è loro proprio: quello delle riforme costituzionali e della nuova legge elettorale; dunque in autonomia dal governo ma pur sempre in coerenza con la loro responsabilità repubblicana.
In concreto, è a tutti evidente la necessità di adeguare quelle norme della Costituzione che risultano disallineate con l'esito del referendum popolare che ha sancito il taglio del 40 per cento dei seggi della Camera e del Senato. Intanto deve essere chiaro che senza una riforma costituzionale l'elezione – tra un anno – del prossimo presidente della Repubblica, proprio in conseguenza di quel taglio, risulterebbe alterata nella composizione prevista dalla Costituzione con un netto incremento del peso dei delegati regionali a fronte di quello drasticamente ridotto del Parlamento nazionale. Una colpevole inerzia che lasciasse le cose come stanno violerebbe la lettera e lo spirito della Costituzione con conseguenze imprevedibili. D'altra parte, senza una riforma della vigente legge elettorale Camera e Senato “tagliati” non garantirebbero la rappresentanza di alcuni territori, di alcune provincie, di alcune regioni autonome. E anche questo esito sarebbe in palese contrasto con la Costituzione. Non sfugge poi a chi ha coscienza di come funzionano le nostre istituzioni rappresentative che un Senato di soli duecento membri o sarebbe indotto a recepire col silenzio assenso i provvedimenti varati dalla Camera o non sarebbe in condizione di assicurare ai provvedimenti di legge un esame e una istruttoria adeguati in commissioni mutilate nel numero dei loro membri, impoverite di esperienze e di qualità.
Ebbene, poiché in forza di un referendum popolare la riduzione dei senatori a 200 e dei deputati a 400, è entrata nella Costituzione mentre permane il problema del bicameralismo – cioè di due Camere che replicando lo stesso ruolo e le stesse funzioni rallentando il processo legislativo – perché non fare di necessità virtù?Perché un vasto accordo parlamentare in cui sarebbero tutti vincitori non potrebbe finalmente produrre un vero big bang della nostra Repubblica parlamentare? Gli ultimi due anni di legislatura sono più che sufficienti per una revisione che istituisca un'unica Assemblea Nazionale di 600 membri sostitutiva sia della Camera dei deputati che del Senato della Repubblica. In tal modo non solo assorbiremmo in un'unica revisione quelle necessitate dal taglio dei parlamentari ma finalmente supereremmo l'improvvido bicameralismo tante volte denunciato e si doterebbe la Repubblica di un Parlamento monocamerale pienamente rappresentativo, efficiente ed efficace del tutto in linea con le migliori democrazie moderne e proporzionato alla popolazione nel numero dei suoi membri.
Quanto alla legge elettorale vi è un unico sistema che può garantire insieme con la rappresentanza democratica, il pluralismo politico e fondare il diritto a governare sull'espressione quanto più diretta possibile della volontà popolare: è il sistema a doppio turno. Un primo turno garantirebbe a tutte le forze che superano una soglia minima il diritto di tribuna, il secondo turno in forma di ballottaggio tra le forze o le coalizioni più votate assicurerebbe un vincitore certo.
Ecco due occasioni straordinarie per tutti i partiti, di riconquistare con il loro ruolo ostituente quel primato della politica logorato da decenni di ritardi, di inadempienze e di vane promesse.
dall'Avanti! n 2 di febbraio-marzo tra poco in edicola.
Palmo a palmo, da Milano e Roma ora anche a Napoli.E da questo numero a Bologna
L'AVANTI! È SULLA GIUSTA STRADA. NEL PROSSIMO NUMERO UN'APPELLO PUBBLICO PER L'UNITÀ IN UN CAMPO RIFORMISTA DELLE FORZE SOCIALISTE, REPUBBLICANE E LIBERALI DEMOCRATICHE.
Prenotate le copie per la diffusione dell'Avanti! e la sottoscrizione pubblica dell'Appello lanciato dal giornale:
“Unità repubblicana per il rinnovamento democratico”
A fine mese renderemo noto il censimento dei Circoli dell'Avanti! e il regolamento per partecipare alla conferenza del 1 Maggio a un anno dalla ripresa delle pubblicazioni.
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Il caso Ricciardi
Mauro Del Bue 16 Febbraio 2021 Locchiodelbue
Da non capirci più niente. Perché e a nome di chi parla Walter Ricciardi? Vuole un lock down totale per due, tre, quattro settimane, per abbassare i contagi. Avevo capito che per abbassare i contagi e alla fine annullarli servissero i vaccini. E ad ogni modo se il ministro non parla perché deve parlare il suo consulente? Il Cts cosa dice? E il governo? Già questa giravolta sugli impianti da scii ha procurato un danno di 10 miliardi alla nostra economia. Possibile continuare così? Seminare terrore e panico e danni sempre più alti senza azionare come si deve l'unica arma che può sconfiggere il virus è da irresponsabili. Il lockdown non sconfigge il virus, i vaccini sì. Si parla di pericolosità delle varianti. Di quella inglese già si è detto che sarebbe sconfitta coi vaccini al pari di quella originaria, made in Cina. Delle altre due, quella brasiliana e quella sudafricana, non si sa. Quella inglese, si è detto, che sarebbe più aggressiva ma non più letale. Adesso si sostiene il contrario. A giudizio di famosi virologi ci sono centinaia di varianti e per un virus sarebbe la normalità. Vuoi che chi ha sfornato i vaccini non ne abbia tenuto conto? Se i virologi e gli scienziati parlassero solo quando sono sicuri di quel che dicono? Crisanti, che aveva sostenuto che al vaccino non saremmo arrivati mai, e che adesso raccomanda a tutti la vaccinazione, dopo averne diffidato, si rende conto che ha perso gran parte della sua credibilità? Ricciardi, che ha dichiarato il 6 febbraio dello scorso anno: “Questa epidemia si rivelerà meno pericolosa di un'influenza stagionale” in un'intervista al Sole24ore (come ricorda oggi Fabrizio Roncone sul Corriere) e che il 26 febbraio aveva addirittura affermato che “le mascherine alle persone sane non servono a niente”, prima di essere protagonista di una clamorosa gaffe su un social a proposito di Trump, non potrebbe essere silenziato? Io, se fosse possibile, vorrei vivere in mondo in cui i medici curano senza perdere tempo nei talk show e le decisioni le prendono i politici dopo avere ascoltato i tecnici. È pretendere troppo?
Il verbo di Draghi
Mauro Del Bue 17 Febbraio 2021 Locchiodelbue
Se si vuole ancora apporre steccati insuperabili tra sinistra e destra, in un'epoca caratterizzata da drammatici problemi comuni, lo si faccia pure. Mario Draghi ha risposto a coloro che ritengono che il suo governo sia l'effetto della crisi della politica: “Mi si consenta di non essere d'accordo. Nessuno fa un passo indietro rispetto alla propria identità ma semmai, in un nuovo e del tutto inconsueto perimetro di collaborazione, ne fa uno avanti nel rispondere alle necessità del Paese, nell'avvicinarsi ai problemi quotidiani delle famiglie e delle imprese che ben sanno quando è il momento di lavorare insieme, senza pregiudizi e rivalità”. Elencando i temi e i primi abbozzi di risposta, tutti inquadrati in una emergenza sanitaria, economica e sociale che è sotto i nostri occhi, Draghi ha sottolineato il dramma di un'epidemia che in Italia ha già seminato 92.522 morti, 2.725.106 contagiati, mentre 2.074 sono i ricoverati in terapia intensiva, e che ha prodotto 444mila disoccupati in più nel 2020, mentre coloro che si rivolgono alla Caritas per generi di prima necessità sono aumentati di oltre il 40% rispetto all'anno precedente (quasi uno su due non l'aveva mai fatto), così come sono aumentate le disuguaglianze, secondo autorevoli rapporti, di quasi il 5%. A che serve distinguersi e combattersi, ha ammonito il presidente del Consiglio? Occorre un nuovo spirito di responsabilità nazionale. Come quella dell'immediato dopoguerra, dunque. Occorre avviare una nuova ricostruzione. Con l'atteggiamento dei nostri padri e dei nostri nonni che assicurarono un futuro migliore ai loro figli. Uscendo dai nostri egoismi e dalle nostre miopie. Questo può essere messo in atto solo nell'ambito dell'Europa, con l'euro come scelta irreversibile, perché si dovrà arrivare a un bilancio comune. “Perché non c'è sovranità nella solitudine. C'è solo l'inganno di ciò che siamo, nell'oblio di ciò che siamo stati e nella negazione di quello che potremmo essere”, ha opportunamente segnalato. I programmi lanciati da Draghi sono attinenti a una campagna di vaccinazione che metta al bando nuovi ipotizzati strumenti (le primule) e si realizzi utilizzando tutte le risorse e le strutture esistenti, pubbliche e private. Questo dovrà dunque costituire la base per una riforma della sanità, che rilanci la medicina sul territorio. Ma anche consentire che i miliardi stanziati per la scuola servano per una sua efficace riforma, rilanciando da un lato la tradizione umanistica e dall'altro gli istituti tecnici. Come in Francia e in Germania. Poi il Recovery plan (e in esso l'ambizioso piano per la ripresa e la resilienza). Avremo a disposizione 210 miliardi e questo, a giudizio di Draghi, dovrà consentirci non solo di riprendere a crescere, ma di stabilire la qualità della nostra crescita. Molto importante il passaggio sulla necessità di supportare alcune attività e di riconvertirne altre. Occorre puntare alla produzione di energia da fonti rinnovabili, combattere l'inquinamento dell'aria e delle acque, potenziare la rete ferroviaria veloce, le reti di distribuzione dell'energia per i veicoli a produzione elettrica, la produzione e distribuzione di idrogeno, la digitalizzazione, la banda larga e le reti di comunicazione 5g. E occorre anche una riforma del fisco in salsa danese, progressiva (non certo la flat tax) e che porti a una diminuzione della pressione e una maggiore area di esenzione. In generale un forte discorso con accenti patriottici, una vocazione europeista e atlantista (per difendere i valori dell'occidente), una spinta riformista in campo ambientale e tecnologico e un aggancio a un ruolo incisivo dell'Italia, che dovrà presiedere il G20, in politica estera. Evidente che questo necessiti del contributo del Parlamento e della società italiana e che occorra un'efficacia nuova e più incisiva della pubblica amministrazione, lo snellimento delle procedure per l'avvio delle opere pubbliche coi commissariamenti già deliberati dal precedente governo, e altri che dovranno essere adottati, e soprattutto un'immediata e massiccia campagna di vaccinazione che ci porti a fine estate a battere l'epidemia. Penso che il governo Draghi si dovrà segnalare come governo del fare. Fare anche ciò, e non è poco, che Draghi oggi non ha detto. Non ha parlato di riforma pensionistica, di reddito di cittadinanza, di Mes. Cioè di quello che può dividere la sua maggioranza. E la prima azione, con modifiche necessarie rispetto al passato, e con avvicendamenti anche nelle responsabilità di chi le ha garantite, è costituita dalla lotta al virus. Sono certo che il governo di unità nazionale di Mario Draghi saprà segnalarsi subito con un cambio di passo. Ne hanno bisogno i cittadini, che quotidianamente vengono sommersi da dichiarazioni contrastanti degli addetti ai lavori (presidente Draghi tolga loro il diritto di parola), ne ha bisogno l'Italia.