Già sarebbe proprio il caso di dirlo, piove sul bagnato per la condizione di una fascia di società, funestata da una ferocia mirata della pandemia e, diciamolo concedendo qualcosa alla franchezza, scivolata nelle parti basse della classifica della sollecitudine comunitaria. Per secoli si è costruita e divulgata una consapevolezza, fondata giustamente su un dovere di riconoscenza e di protezione prioritaria; mentre, un po' sulla spinta di un cinismo che imporrebbe di “scegliere” la gerarchia delle tutele sulla base della “convenienza” e non poco per una sbrigatività messa in correlazione coi tempi non esattamente ispirati da idealismo, è diventato difficile fare la parte dell'anziano, come quella di chi se ne occupa.
Centinaia di “nonnini”, come li definisce la retorica, sono scivolati via, specialmente nelle allocations preposte al loro accudimento ed al loro mantenimento in vita secondo accettabili standards di autosufficienza, di efficienza fisica, di dignità personale.
Poi, come si sa, si è fatto il callo all'ecatombe delle centinaia di decessi a settimana; la cui intensità non ha quasi più fatto notizia, a parte i servizi giornalistici strappalacrime ed intenerisceilcore invaginati per mere esigenze di indotto mediatico.
Altrettanto si sa che le curve di qualsiasi specie quando impennano non possono che flettere.
Si deve all'abnegazione degli operatori ed al management amministrativo e gestionale, molti dei quali ne hanno pagato tragicamente le conseguenze, se, con grande sacrificio, nelle ultime settimane il virus è stato combattuto, con buoni risultati, nelle RSA.
Ha contato molto la permanenza di un diffuso sentiment diffuso nell'opinione pubblica e veicolato dalla prossimità dei nuclei famigliari interessati direttamente dal vasto fenomeno sociale.
Ma si deve anche, questo sforzo per la centralità della questione, alla testimonianza delle decine di cittadini virtuosamente impegnati nella guida amministrativa di queste fondazioni, che un tempo si chiamavano IPAB; in particolare al coordinamento dell'A.R.SA.C., costituitasi nel 1989 per iniziativa di Riccardo Piccioni, per assolvere una funzione di coordinamento tra gli aderenti, studiando e promuovendo soluzioni comuni.
Una siffatta associazione, che nei tempi normali ha avuto e avrebbe materiale per agire, nel contesto corrente da un anno non è privata di materia su cui lavorare.
Ogni giorno, si dice, porta la sua pena e lo spunto per far scemare il livello dell'impegno civile.
Nei giorni scorsi è emersa una criticità, che arrischia di rendere problematico l'accesso degli ospiti della RSA, privi della soglia minima di autosufficienza cognitiva ma anche di tutela giuridica, alla campagna vaccinale. Per il cui accesso è richiesta la liberatoria.
Walter Montini, coordinatore, come si sottolineava, dell'ARSAC con una vibrante testimonianza ha fatto emergere una controindicazione alla norma discendente dal vasto numero di “nonnine e nonnine ospiti”, prive di accompagnamento famigliare e da tutela di sostegno.
Il Sen. Montini (nella foto sopra), con una sola mossa hai indicato la soluzione di una criticità immediata ma anche segnalato una falla endemica nella tutela "degli ospiti privi di tutore...". Una fattispecie, questa, che non dovrebbe sussistere. Ma che, invece, c'è ed è rilevante. Non solo per la straordinarietà pandemica; ma anche nei contesti normali. Nessun "ospite", manifestamente non autosufficiente cognitivamente, dovrebbe esserne privo. Per ragioni di tutela sia nei confronti della struttura ospitante sia (considerando malasanità dilagante e avvoltoismo predatorio di prossimità) erga omnes. Occorrerebbero, però, uno strumento legislativo e un rafforzamento della struttura della giurisdizione tutelare.
Non resta che attendere una mobilitazione sul tema.