Fortunatamente non ha ancora varcato la soglia del tormentone estivo. Ma arrischia (lo consideriamo con raccapriccio) di diventarlo. La querelle (perché di questo si tratta, quando un tema viene affrontato non per essere risolto bensì per compiacere la verve comunicativa di certi protagonisti della vita comunale) e di ammiccare alle mai sazie aspettative di polemiche di certe fasce di opinione pubblica e di lettori.
È il caso della recente riflessione del quotidiano La Provincia che, riferendosi a piazza Coppetti, titola “dal rilancio al degrado”. Per di più ricorrendo ad un supporto fotografico (l'immagine della festosa cerimonia di punzonatura toponomastica, in cui la nomenklatura municipale appare in tutto il suo beato ed autoreferenziale orgoglio).
Mettiamo le mani avanti, a scanso di equivoci: la facciamo breve, perché l'argomento è stato delibato ad nauseam da questa testata, dall'Associazione Zanoni, dalla Comunità Socialista.
Per ragioni di stile e di quasi totale disillusione nei confronti di certo genere umano (prestato alle attività istituzionali), resteremo ancorati ad un format di sobrietà. Il cui incipit richiama il contesto, immediatamente successivo alla scomparsa dello “scultore-partigiano”, in cui fu accolta una quasi universale perorazione nei confronti di un gesto che consegnasse idealmente alla quotidianità il richiamo alla figura dello scomparso.
La formula toponomastica affidata a qualche decina di metri quadri (che sono il contesto spaziale lasciato libero dalla inopinata demolizione dell'ex Supercinema) rivelava ad un tempo idealismo, sobrietà, immediatezza della finalità.
Ma, soprattutto, sottintendeva la correlazione tra il rango toponomastico, cui consegnare la memoria dell'estinto, e l'impronta “tematica” del progetto.
Evidentemente deve essersi trattato o di una eterogenesi dei fini o una prevedibile deriva di infatuazioni o entusiasmi, intensi nel picco (mediatico) ma di breve durata.
Ogni tanto, in presenza di slanci memorialistici, bisognerebbe avere l'accortezza (od il pudore) di interrogarsi sia sulla congruità delle opzioni sia sull'incrocio tra intenzioni e risultati pratici.
A dire il vero, l'intitolazione del piccolo slargo di via Goito alla memoria di Mario Coppetti, più che sottintendere postulava apertis verbis un arredo consono al profilo di un cremonese, la cui produzione artistica e la cui testimonianza ideale e civile avrebbero molto da affidare alla memoria della città.
Si era pensato, nel corso delle numerose ed impegnate riunioni di tre anni fa, di costruire su quel piccolo spazio, molto simile ad un cortile, una location di sosta in uno spazio cerniera tra tessere del centro pedonalizzato e di “ristoro” della mente. In un contesto che per sobrietà e tocco artistico avrebbe potuto sollecitare il richiamo alle virtù elettive tramandate e tramandabili da alcune delle più significative e targate opere di Coppetti e di altri artisti cremonesi. Non è andata così. Non a causa della perfidia della “sovraintendenza” o di altri maledetti intralci. Il lamentato “degrado" è la conseguenza logica e lineare di un'impronta cacopedica. Quattro panchine, il solito tributo al muralismo, soprattutto, l'implicita istigazione al ceto di riferimento di questa amministrazione (il largo deposito di fancazzisti e di eterni testimoni della movida 24 h) et les jeux sont faits.
Recriminare non serve (per i disillusi come noi ed i numerosi estimatori di Mario Coppetti); come non serve spiegare e promettere, come fa l'assessora vestale della “rigenerazione urbana”.
È andata, si ripete, così. Ci si era mossi per ricordare un debito (di attestazione civile e di riconoscenza) di cui alla distanza ci si dimenticherà. O certamente non si verrà stimolati a ricordare a contatto di contesti comportamentali poco consoni.
È il caso di un gesto toponomastico, se non all'insegna, come deriva del “name and shame” nominare e svergognare.
Questa disarmante deriva è, tuttavia, destinata ad una virtuosa correzione.
Nei giorni scorsi, infatti, Giuseppe Azzoni, cui la figlia di Mario Coppetti, dottoressa Silvia ha chiesto di riordinare le “carte” diligentemente conservate dallo scultore/partigiano, ci ha comunicato di aver concluso questo impegnativo lavoro di riordino e catalogazione.
In vista di un importante traguardo: l'approdo all'Archivio di Stato cui il cospicuo fondo documentale giungerà per essere consultato da studenti, ricercatori, appassionati di storia politica ed artistica. Perché, bisognerebbe aggiungere, il professor Coppetti, nel corso della sua lunga e feconda esistenza, ha conservato anche interessanti documenti di rilievo artistico.
Ne trarranno vantaggio sia la conservazione e la salvaguardia documentale sia la pratica accessibilità e consultazione.
Daremo, quando gli eredi ci autorizzeranno, dettagliati particolari sul percorso della donazione all'Archivio di Stato.
Al momento sentiamo il dovere di ringraziare la famiglia Coppetti per questo ulteriore gesto di generosità verso Cremona e Giuseppe Azzoni, che si è come al solito prodigato in un lavoro impegnativo.