In occasione della celebrazione del 25 aprile a Pizzighettone, il nostro sindaco ha evidenziato ancora una volta, nel suo discorso, come rappresenti la sua parte e non tutti i cittadini.
Un discorso poco sentito, poco empatico, più di immagine che di sostanza, nel quale non si è fatto minimamente cenno ai valori della resistenza che hanno rappresentato il riscatto dell'Italia.
I parallelismi con altre realtà europee e non si sono rivelati alquanto forzati e non in linea con ciò che è accaduto da noi.
Dimentica, infatti, che gli Italiani hanno subito vent'anni di dittatura fascista.
Un rappresentante delle istituzioni, all'alba del terzo millennio, dovrebbe essere in grado di dare agli avvenimenti la loro giusta collocazione e, per onestà intellettuale, chiamare ciò che è successo con il suo nome: “guerra di liberazione dal nazi fascismo.”
Solo con questa guerra l'Italia ha iniziato il suo cammino nella libertà calpestata dall'occupazione.
Non affermare questi principi significa non distinguere le vittime dai carnefici, non riconoscere in quella ribellione il valore della libertà contro il sopruso.
E relegare “Bella ciao” a espressione di una parte vuol dire non sapere che la stessa è diventata un canto che non ha confini, che viene intonato a qualsiasi latitudine perché tutti si riconoscono nella lotta per la libertà contro ogni forma di occupazione.
Citando Sandro Pertini: ”Oggi la nuova resistenza consiste nel difendere le posizioni che abbiamo conquistato; difendere la Repubblica e la Democrazia.”
Circolo PD Pizzighettone
Abbiamo ricevuto dalle compagne e dai compagni del Circolo PD di Pizzighettone. Di buon grado pubblichiamo, riservandoci un diritto più che di replica, di aperto sostegno.
Non prima di aver premesso una nota feconda sul generalizzato impegno di testimonianza e di celebrazione, frutto di un lavoro collettivo di Istituzioni Locali ed associazionismo del territorio.
Ma questo ormai consolidato gesto rientra nelle abitudini comunitarie. E ciò è di particolare conforto, se si tengono presenti il drammatico contesto e una certa inclinazione della politica a perdere di vista i perni super partes della ricorrenza e a piegare a interpretazioni strumentali. Che, diciamolo pure, non fanno astrazione da piccole contabilità di rapporti locali.
OK, piccole note stonate, che poco tolgono al sentiment della festa della Liberazione.
Anche se non è del tutto inappropriata la reprimenda riservata dal Circo PD di Pizzighettone sull'impronta data dalla Civica Amministrazione, vistosamente incongrua al significato.
Diciamo, altresì, che la sintonia tra la guideline idealistica espressa dalla politica e la referente rete locale si è andata in qualche modo rimodulando rispetto allo schema consolidato della totale aderenza della rete territoriale.
Chi ci legge da anni sa che siamo molto controcorrente rispetto alla tentazione di “usare” ricorrenze simboliche ad usum delphini della politica militante.
Il 25 aprile scolpisce simbolicamente un cambio di fase nella vita della Patria che, come scriviamo nella recensione dell'ultimo lavoro di Mimmo Franzinelli (che presenteremo a fine maggio), dovrebbe essere acquisito.
De gustibus non disputandum est …e non abbiamo mai fatto mistero (rispettosissimi del sentiment prevalente) della nostra rinuncia ad interpretare i lati musicarelli di una liturgia che frequentemente si discosta dal sodo, per costituire un alibi all'accertamento del fallimento dello sforzo per rendere inclusiva la ricorrenza del cambio di fase storica e con esso la fine del fascismo e l'avvio/consolidamento della Repubblica, nata dalla sconfitta del fascismo e la vittoria della Resistenza.
Mettersi di traverso a questo incontrovertibile concept, che, peraltro, è acquisizione costituzionale, non rientra nelle prerogative individuale e collettive dell'esercizio liberaldemocratico.
Da tempo abbiamo scritto che qualche cittadino, sul punto, ama essere iscritto alla categoria dei paracarri, notoriamente impermeabili al cambio di opinione. Si accomodi…
Ma tra essere discepoli adepti di James Russel Lowell e applicare coerenza nella testimonianza dei capisaldi dei principi della Repubblica (dovere incombente per gli investiti di mandato) non è consentito svicolare.
Neanche quando, come nei contesti correnti, si assiste ad un generale collassamento dell'intelaiatura della partecipazione di massa alla vita pubblica.
Insomma, quel che vogliamo affermare, è che traspare con evidenza, nei comportamenti di alcune amministrazioni locali, l'impulso a sterilizzare il significato della celebrazione.
Facendola divenire una delle feste nazionali; privandola dell'accento didascalico, diretto al richiamo permanente nei comportamenti pubblici.
Non si deve cantare Bella Ciao; parla solo il Sindaco; le Associazione Partigiane intervengono ma solo come parterre…
Si sarà capita l'allusione allo spartito della celebrazione a Soncino e a Pizzighettone.
Il sospetto che un siffatto modulo discenda almeno in parte dal fatto che il Presidente del Consiglio Comunale del bellissimo Borgo della Rocca sia espresso da una forza che non ha mai abiurato il motto del 1946 (non restaurare, non rinnegare) e dal fatto che nel gemello borgo dell'Adda (ma senza Rocca) dell'alleanza maggioritaria faceva o fa parte un riferimento di Forza Nuova, è meno che retorico.
D'altro lato, è cosa risaputa la posizione del Sindaco e della Giunta che qualche anno fa si opposero alla richiesta di revocare la cittadinanza onoraria (pendente nonostante i 70 anni di Liberazione) riconosciuta al Duce (“"ha fatto anche cose buone").
Chi ci leggerà non avrà difficoltà a cogliere il significato della nostra chiosa alla lettera del Circolo del PD. A quale va riconosciuto anche il merito di aver allestito la bella iniziativa di “strade parallele”.
Allo svolgimento del calendario dedicheremo domani un'ampia cronaca/chiosa. Ci piace, come abbiamo premesso, esprimere compiacimento per lo sforzo quasi generalizzato e condiviso (nella mission) di celebrare degnamente una ricorrenza, che costituisce il cardine dell'intelaiatura dell'ordinamento, di cui siamo parte.
Senza voler togliere nessun merito, avvertiamo un particolare trasporto nel segnalare la cerimonia particolarmente significativa svoltasi a Soresina. Di cui ci ha dato un breve report a mezzo WhatsApp Giuseppe Azzoni, che vi ha partecipato portando il contributo dell'ANI Provinciale.
“A Soresina folta partecipazione alla celebrazione della Liberazione. Dopo la messa per i numerosi caduti e gli inni con la banda, bella ciao con canto e violino, quindi hanno parlato il Sindaco e il rappresentante dell'anno. Soresina ha avuto molti protagonisti della Resistenza. Tra loro è stata citata Severina Rossi....”
Che è musica per i nostri orecchi. Non solo perché avendo insignito qualche anno fa Severina Rossi della Targa Zanoni (per la ricerca storica); ma, soprattutto, perché continua ad essere una figura centrale nella storia resistenziale.
Credendo di assolvere ad un dovere di divulgazione, riportiamo qui alcuni stralci del suo profilo esistenziale e civile, quale abbiamo tratteggiato, in particolare, in Il Socialismo di Patecchio.
“Saccheggiando dai dilaganti anglicismi, potremmo dire che, poco meno di un mese fà, si è conclusa, nella più ermetica riservatezza (al punto che decesso ed esequie sono passate praticamente inosservate ai suoi compagni ed amici cremonesi) la sua second life.
Che, per l'allora venticinquenne soresinese, sartina autodidatta, Severina Rossi era iniziata con il commiato dalle sue precedenti esperienze, il matrimonio ed il trasferimento a Milano.
Lì avrebbe fatto la moglie e la madre, tirando su i figli ed occupandosi della famiglia e della casa.
Attività principali e, considerati i tempi ed i costumi di allora, totalizzanti; ma non al punto, quando la quotidianità avrebbe, con i figli già cresciuti, lasciato spazi, da troncare definitivamente con il passato.
Almeno dal punto di vista della risposta all'ansia di lasciarne una testimonianza e di continuare, nelle forme possibili, quanto aveva iniziato nella sua città natale, in gioventù.
Severina Rossi diede alle stampe nel 1995 da Giunti - Diario Italiano - “1945, l'anno della rivolta”, sottotitolo “io cantastorie”, in cui rievocava, con lucidità e con toni quasi poetici, l'esperienza della guerra e del carcere. Una lucidità ed un romantico idealismo che, se gli spazi del quotidiano non fossero così severi, indurrebbero alla tentazione di rubarne qualche spezzone.
Rinviamo gli interessati al “Socialismo di Patecchio” Edizioni Persico, in cui il profilo di Severina Rossi e parti consistenti dello scritto (per cui nel 1995 le era stata attribuita la Targa Zanoni).
Ci limiteremo, dato che la festività è da pochissimo trascorsa, a prelevarne una piccola porzione dedicata, appunto alla “Notte di Natale 1945 - Carcere S. Agata - “Era la festa di un'associazione sempre valida, che insieme gioiva e insieme soffriva, la festa della famiglia che festeggiava la natività degli uomini e della vita, della famiglia che si riuniva, della famiglia che ci mancava, della famiglia che chissà in quali condizioni viveva. La mia, con una figlia in carcere, una in Germania, un figlio nei dispersi, altre figlie con problemi di disoccupazione, i genitori ormai anziani. Non dormivo. Mi sentivo impotente, colpevole e manchevole nei riguardi dei miei genitori. Piera capì che avevo il morale a terra. Pure le cimici e il freddo erano passati in seconda linea. Tremavo. Piera mi massaggiò la schiena per scaldarmi, come una sorella maggiore, e, per farmi cambiare umore, sottovoce mi cantò Bandiera Rossa come fosse stata una ninna nanna. Solo chi é stato in carcere per questioni politiche, può capirne il valore! Significava che il nostro pensiero e la nostra fede non si potevano imprigionare”.
Già, perché Severina, prima di essere sposa e madre a Milano, prima di dedicarsi alla pittura ed alla scrittura, agli incombenti della segreteria di una sezione milanese del PSI ed alla fondazione di un circolo dell'ANPI, ai soggiorni nella soresinese casa natia, aveva avuto una first life assolutamente non ordinaria.
E proprio perché non ordinaria e meritevole, a quasi settant'anni di distanza, di fornire se non propri insegnamenti di sicuro spunti di riflessione, la contestualizzeremo, ai suoi esordi, negli scenari in cui un regime politico, un'alleanza politico-militare, una guerra erano agonizzanti e, nelle loro convulsioni finali, si apprestavano a sviluppare una ferocia inaudita.
Siamo ai primi di agosto del 1944, quando i primi promettenti risultati del tentativo di dare forma e sostanza politico-militare alla clandestinità antifascista si scontravano con la risposta di un regime agonizzante, ma non disposto a rinunciare alla rappresaglia ed alle efferatezze.
Da quasi un anno il fascismo, ritiratosi nel Nord Italia, si era dato con il Congresso di Verona e la fondazione della Repubblica Sociale, un, per quanto irrealistico, organico progetto di continuazione della propria missione sotto l'egida dell'alleato nazista.
I successi militari, di una guerra destinata alla sconfitta e di una politica di rivalsa in chiave socialisteggiante, latitavano; lasciando, però, spazio e spunti alle peggiori atrocità riservate a quella popolazione, che, col senno di poi della riscrittura storica di certi fortunatamente sempre più rari apologeti, si sarebbe voluto tutelare dal “valoroso alleato germanico”
Nel pieno di quell'estate, la G.N.R. (Guardia Nazionale Repubblicana) aveva dato avvio ad una vasta operazione di repressione culminata, in ottobre, nell'arresto di numerosi militanti socialisti e comunisti.
Un'operazione, che, per vastità e profondità, arrischiò di compromettere il potenziamento della struttura politico-militare dell'antifascismo socialista cremonese e di decapitarne il vertice.
Tra gli arrestati, socialisti e comunisti, figuravano, infatti, il comandante del Raggruppamento matteottino, Stefano Corbari, e, tra i molti altri esponenti socialisti di primo piano, la poco più che ventenne soresinese Severina Rossi.
Gli arrestati furono trattenuti, in un primo tempo a Cremona, a Villa Merli, sede operativa dell'Ufficio Politico Investigativo, con i mezzi “investigativi” che si lasciano immaginare, e, più tardi, dopo essere transitati dal Carcere Giudiziario di Cremona (dove Corbari venne sottoposto ad un supplemento di stringenti interrogatori, che fronteggiò con grande coraggio) furono tradotti, a disposizione del Tribunale Speciale, al Carcere S. Agata di Bergamo.
I quarantadue resistenti cremonesi avrebbero di lì a poco concluso tragicamente un destino che lasciava poco all'immaginazione.
Se, in una successiva retata, non fosse stato arrestato anche il giovane bancario socialista Angelo Majori; che aveva da pochi giorni rilevato da Corbari il testimone di comandante militare delle formazioni matteottine.
Majori avrebbe dovuto seguire il trasferimento e la sorte dei suoi compagni di sventura se, per fortuna sua e loro, non fosse intervenuta una circostanza rivelatrice sia di genialità che della profonda solidarietà politica e morale che univa la militanza antifascista.
Da un appunto, lasciato da Angelo Majori a Mario Coppetti negli anni Settanta, si apprende che allo stesso Majori vennero in soccorso sia il suo difensore Avv. Calatroni (a Liberazione conclusa, nominato dal CLN nominato dal CLN Sindaco di Cremona) sia, per certi versi, il medico incaricato dal Carcere e forse lo stesso Direttore, evidentemente reso avvertito dell'incipiente tracollo del regime.
Fatto sì é che l'avvocato difensore di Majori chiese un accertamento clinico della traducibilità a Bergamo del recluso.
Di tale accertamento venne incaricato il Dott. Emilio Priori (indimenticato presidente degli Istituti Ospitalieri, nonché artefice, con la fervida, preziosa collaborazione della vicepresidente socialista, M° Maria Galliani, della realizzazione del nuovo ospedale).
Il quale dispose un accertamento diagnostico presso il Preventorio (così veniva chiamato, all'epoca, il Dispensario Antitubercolare) e, a seguito del relativo referto, dichiarò l'intrasportabilità del detenuto.
In tal modo, il Direttore del Carcere disattese (o poté disattendere) la disposizione del Tribunale Speciale di ricongiungimento di tutti gli imputati ai fini della celebrazione del processo, dell'emissione della sentenza e della (probabilissima) esecuzione capitale.
Tutti i detenuti, liberati a Bergamo il 26 aprile, sarebbero rientrati a Cremona il 29 dopo un viaggio rocambolesco.
A conclusione della Guerra di Liberazione, il Ten. Corbari rientrò nei ranghi dell'Esercito Italiano, fino a raggiungere il grado di Generale; concludendo il servizio a Firenze. È scomparso da qualche anno.
Angelo Majori, dopo essere stato redattore de L'Eco del Popolo, condirettore del Fronte Democratico (il quotidiano di Cremona dalla Liberazione all'agosto 1948) e Segretario Provinciale del PSI alla fine degli anni Quaranta, riprese l'attività impiegatizia, trasferendosi a Civitavecchia nel 1957. È scomparso nel 1987.
Severina Rossi, giovane sartina autodidatta, rientrò a Soresina, impegnandosi come Delegata Femminile Provinciale del PSI in una inesauribile attività politica.
Che era destinata all'epilogo sfociato nella realizzazione dell'umanissima ambizione di qualsiasi ventenne dabbene dell'epoca di farsi una famiglia.
L'Eco del Popolo, organo socialista fondato da Leonida Bissolati ed all'epoca diretto da Emilio Zanoni, nell'edizione n° 106 del 10 maggio 1947, a nome del gruppo dirigente socialista di cui faceva parte (era anche consigliere comunale a Soresina), le rivolse un saluto e un augurio alla vigilia delle nozze.
Severina, col matrimonio, avrebbe cambiato solo la residenza e l'impegno quotidiano, non già gli ideali e la testimonianza civile.
Che iniziava dalle sensazioni annotate al rientro a casa il 29 aprile 1945: “Incominciava un altro periodo storico, la democrazia. La gente si dava un'organizzazione e poteva contribuire allo sviluppo di una società più civile, più avanzata, più umana. Una società nella quale ognuno concorre nella misura che può dare in intelligenza, in capacità, in volontà, secondo le proprie attitudini.”