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Trapassi

  16/06/2023

Di Redazione

Trapassi

Forum dei lettori

Sono un po' prevenuta, ma…

Ciao Eco, sto ascoltando la Radio che da ore ha messo in onda tg speciali sulla morte di Silvio Berlusconi. Come uomo ha tutta la mia pietas, come avversario politico riconosco la sua capacità dialettica di coinvolgimento delle persone nei suoi piani di grandezza e successo. Ha fatto bene in politica, nelle sue aziende cambiando, in nome del liberismo economico, il modo di agire lavorando rincorrendo sempre il successo. Per me non è un Grande Italiano da ricordare, sono un po' prevenuta ma ricordo sempre con rammarico le parole di mia figlia che quando tornava da Bruxelles (ha fatto il dottorato in quella Università) triste mi diceva: "mamma i miei colleghi mi deridono, siete stupidi voi Italiani a tenervi un uomo così".

C.L., 12  giugno 2023, Vicenza

I più ”grandi”

Caro direttore, tu conosci bene me e le mie idee. Sto guardando il funerale di S.B.

Posso dirti che, per me, dopo lo storico gruppo dell'immediato dopoguerra (per sintetizzare Paietta e Almirante) i più grandi, e forse gli unici, sono stati Craxi e Berlusconi? (con tutti i loro difetti ed errori). Gradirei un tuo parere (se ce la fai breve e facilmente comprensibile).

Ciao, tuo amico Peppo.

P. C., 14 giugno 2023, Cremona

Non è tutt'oro quel che luc

Passata è la sbornia. Di emozioni, perché la scomparsa di Berlusconi ha colpito gli italiani, simpatizzanti o antipatizzanti che fossero, di ricordi e, soprattutto, di retorica, quella di cui siamo specialisti noi italiani, stretta parente dell'adulazione, il peggiore

virus che circola negli ambienti del potere.

Di certo, l'adulazione è un sottile maleficio che colpisce molti, la stragrande maggioranza di coloro che occupano posizioni di vertice, apicali e non, in tutti i settori della vita civile.

Di tanti personaggi con i quali ho lavorato, primi ministri, ministri, presidenti vari, accademici, solo pochi erano refrattari all'adulazione. Direte, “i migliori” ma non sempre è vero, visto che,

oltre ad ammalarsi di “grandeur” da -diciamolo pure- leccaculismo, alcuni riescono con l'istinto e la ragione a scegliere il meglio per le proprie funzioni, per le decisioni più cruciali.

Questa lunga premessa serve a ricordare, prima di tutto a me stesso, che la sbornia dei giorni scorsi nella quale in tanti sono incorsi è terminata e che è tornato il tempo delle riflessioni. Non il tempo dei giudizi, a parte quelli personali, che viene quando la storia ha sedimentato i sentimenti e ha quindi permesso di descrivere i soggetti della Nazione considerandone pregi e difetti, scelte giuste e scelte erronee.

Come è stato scritto da più parti, Silvio Berlusconi va ricordato per ciò che non è riuscito a realizzare, se mai l'ha voluto. Mi riferisco in particolare alla riforma della giustizia, rispetto alla quale la sua posizione era viziata da un palese conflitto di interessi e, probabilmente, da un sottile calcolo: la deriva giustizialista, insieme alle polemiche con alcuni giudici lo avevano reso vittima

perseguitata e ne avevano alimentato le diffuse simpatie.

Berlusconi privo delle migliaia di perquisizioni, dagli avvisi, dagli atti realmente persecutori di cui è stato vittima non sarebbe stato l'uomo, il politico che è stato.

Ricordo bene una trasmissione di Michele Santoro pochi giorni prima di una tornata elettorale. Il tono agitato alla Savonarola, le accuse dirette di mafiosità, il complesso ampio (almeno a parole)

di accuse, con contorno travagliesco, un insieme che, secondo gli ottusi autori, avrebbe liquidato il cavaliere, ne determinò, invece la vittoria (era il 2001, credo). Dimostrandosi così che l'odio cieco, fertilizzato dall'invidia dal voyerismo dal complesso di inferiorità o di superiorità (che sono quasi la medesima cosa) non fanno danni, rendono la vittima una specie di eroe, che incarna l'immaginario collettivo di una comunità nella quale le donne e gli uomini vessati dalla giustizia, dall'invidia, dall'indiscrezione sono in numero infinitamente maggiore di coloro cui la società e le sue strutture non hanno arrecato alcun danno. Ricordo bene il caso di un mio conoscente, un amico, che operava in una società di ingegneria.

Ricevette un avviso di garanzia (con altri) perché accusato di progettare un'opera per ottenere poi l'appalto della stessa a trattativa privata. Un reato impossibile, visto che per partecipare a un appalto bisognava allora essere iscritti all'Albo degli appaltatori e che lui e la sua società erano soggetti progettatori. Non ci fu verso: era socialista e quindi ladro per antonomasia. Il gip si rese conto e non lo rinviò a giudizio. I milanesi intervennero e vollero il processo. Lo accompagnai, anche se non tirava aria. Ero certo peraltro della sua innocenza e avevo anche scritto un appunto tecnico sull'impossibilità che il procedimento avesse seguito.

In dibattimento, l'avvocato difensore segnalò che quanto imputato al processato (e correi) era impossibile perché era ostacolato dall'art. tot e tot del codice degli appalti.

Il presidente della corte raggiunse in sublime: «Mi produca la norma!» Il che significava che pretendeva che l'avvocato del mio amico fotocopiasse l'articolo di legge e glielo presentasse.

Giustamente, il legale gli ricordò che la legge non ammette (la sua) ignoranza soprattutto in un giudice giudicante.

Ecco, quindi, con un esempio a quale genere di vessazioni era (e può essere) sottoposto un comune cittadino.

E tornando a Berlusconi la rivoluzione liberale promessa è rimasta lettera morta: era stata soltanto una trovata pubblicitaria.

E poi c'è stato il privato che, essendo lui presidente del consiglio, non era né poteva essere privato. Palazzo Grazioli una delle sue sedi romane, aveva due ingressi. Da quello posteriore, accedeva ogni tipo di persona, anche affaristi accompagnati da prostitute.

Nessuno chiedeva loro i documenti, nessuno faceva una sia pur breve ricerca negli archivi giudiziari per vedere se si fossero macchiati di qualche reato. Le donnine non venivano private dei cellulari con fotocamera incorporata.

So bene, avendo lavorato in ministeri e a palazzo Chigi, che prima che un presidente o un ministro ricevesse persona non ben conosciuto, si formulava un profilo dell'interessato, nel quale eventuali carichi pendenti o condanne erano adeguatamente evidenziati. La disattivazione di tali cautele costituisce colpa grave per chi l'ha decisa.

A Milano più di 20 giovani donne sono state a sua disposizione (e stipendio) per diversi mesi.

Qui la questione non è (solo) penale (la procura di Milano compì - per cieca avversione- un errore marchiano nel definire la fattispecie penale in cui era incorso Berlusconi chiedendo- imponendo al capo di gabinetto della Questura il rilascio di Ruby rubacuori e l'affidamento a un'altra giovane donna, amica del presidente. Un errore compiuto per evitare che la fattispecie finisse al tribunale dei ministri, dove sarebbe stato difficile tenere banco con l'accusa), non è etica, ma è solo politica. Un primo ministro non può essere in balia di persone cui viene concesso di accedere alla sua intimità.

Un primo ministro è tale h. 24 e deve non essere attaccabile da qualsiasi ricattatore che possa pretendere qualcosa da lui.

L'asciutta omelia di quel gigante che è il vescovo di Milano, mons. Mario Delpini (una vittima di Papa Francesco che non l'ha reso cardinale come dovuto alla capitale ambrosiana) ha concluso con queste parole, indulgenti ma indiscutibili: «Ecco cosa si può dire dell'uomo: un desiderio di gioia, che trova in Dio il suo giudizio e il suo compimento.”

Nessuna assoluzione solo il giudizio di Dio, se ci sarà. E, nonostante tutto, nonostante le ombre, Silvio Berlusconi ha dominato la politica nazionale per oltre un ventennio. E se Matteo Renzi non avesse sbagliato mossa eleggendo al Quirinale l'algido Sergio Mattarella, la storia avrebbe percorso altre strade, nelle quali probabilmente gli inconsapevoli grillini non avrebbero avuto gli spazi che hanno avuto. Per fortuna, nella leadership del destra-centro gli succede Giorgia Meloni che può trasformarlo in centro-destra, avendo aperto già con l'elezione una pagina nuova tutta da scrivere della storia nazionale.

Domenico Cacopardo
Domenico Cacopardo

Pietà l'è morta?

Ci sono tre atteggiamenti che emergono nel ricordo di Berlusconi. Quello di chi lo amava da vivo e lo ama da morto, quello di chi lo avversava da vivo e finge di amarlo da morto e quello di chi lo odiava da vivo e non ha cambiato idea. Tra questi ultimi si stagliano per coerenza i soliti Travaglio e Montanari. Si dirà. Ma neanche davanti a un lutto usano parole di clemenza? No. Perché un nemico è tale anche da morto. E tale deve rimanere per l'eternità. A Berlusconi come ai nemici del comunismo messi al muro dopo finte confessioni, non devono essere riconosciute virtù. Traditore del partito o della patria, di dubbie doti morali e via dicendo e insinuando. Travaglio dixit: “Non solo (Berlusconi) ha fatto un sacco di cose riprovevoli, dal finanziamento alla mafia- continua- alle frodi fiscali, alle corruzioni (ha pagato chiunque e infatti oggi se ne sono visti i risultati). È che ha sdoganato quei comportamenti. Quello che prima molti facevano di nascosto lui ha proclamato che era giusto farlo e rivendicarlo”. Neanche il merito di avere impostato non una speculazione edilizia, ma una Milano 2, una delle più belle e moderne installazioni nel verde che l'Italia abbia mai conosciuto, di avere intuito il businnes delle tivù private mentre Mondadori e Rusconi stavano annegandoci sopra, di avere acquistato una squadra in difficoltà portandola in cima al mondo, di avere fondato un partito e in tre mesi vinto le elezioni. Nulla. Berlusconi, per Travaglio (l'odio è iniziato col suo allontanamento dal Giornale nel 1993) è il male assoluto più ancora del fascismo. E se gli poni l'interrogativo della torre lui non ha dubbi. Tra Berlusconi e Mussolini lui butterebbe giù Berlusconi perché almeno Mussolini non lo ha licenziato. Tomaso (con una sola esse come Donizetti era con una sola zeta) Montanari, docente di storia dell'arte e rettore, è ancora più rovente e implacabile. “Berlusconi”, scrive Montanari, “ha segnato la storia, ma lo ha fatto lasciando il mondo e l'Italia assai peggiori di come li aveva trovati. Dalla P2 ai rapporti con la mafia via Dell'Utri, dal disprezzo della giustizia alla mercificazione di tutto (a partire dal corpo delle donne, nelle sue tv), dal fiero sdoganamento dei fascisti al governo alla menzogna come metodo sistematico, dall'interesse personale come unico metro alla speculazione edilizia come distruzione della natura. In questo, e in moltissimo altro, Berlusconi è stato il contrario esatto di uno statista, anzi il rovesciamento grottesco del progetto della Costituzione”. Montanari poi rifiuta la giornata di lutto e decide di non esporre la bandiera nella sua Università. Questo bipolarismo della criminalizzazione e questo culto della superiorità morale (perfino sul corpo delle donne, santo Iddio, chissà come le avrà trattate le sue Tomaso) sono veramente imbarazzanti. Nessuno mai in passato parlò così i suoi avversari nel momento del trapasso. Sull'Unita del 20 agosto del 1954 cosi Togliatti volle commentare la morte di De Gasperi: “La solennità dell'ora non è propizia alla oggettività fredda che persino potrebbe sembrare irriverente. È giusto, del resto, che nel momento dell'ultimo distacco scompaiano le asprezze che dalla lotta stessa furono imposte a chi la lotta non combatte per giuoco, ma spinto da necessità e convinzione profonda”. E che dire di Almirante che volle inchinarsi sulla cassa di Berlinguer alle Botteghe Oscure. E di Craxi che confessò, lui antifascista e col padre vice prefetto della Liberazione di Milano, di aver portato un mazzo di fiori dove venne ucciso Mussolini. Penso all'esplosione di pianto di Craxi a Madrid alla notizia della morte di Berlinguer, descritta da Antonio Ghirelli. E penso di converso alle parole astiose di Scanzi nel ventennale della morte di Craxi e perfino quelle indirizzate a Stefania nel momento di assumere la presidenza della commissione Esteri accusata di essere “l'anti materia politica e una erede del craxismo”. Trasferendo le supposte colpe del padre alla figlia.  Io questa differenza di toni e di capi d'accusa la conosco bene. Sono il frutto non di una contrapposizione politica ma di una inflessibile contrapposizione morale. Gli Scanzi, i Travaglio, i Montanari si ergono a epigoni della purezza e contrappongono il loro bene al male altrui. Qui la politica non c'entra. Siamo in una fase post politica, quella dei grillini che intendevano ricoverare in manicomio tutti i parlamentari e aprire il parlamento come una scatola di tonno, quella di chi crede di essere senza peccato e in diritto di scagliare la prima pietra. Non ci può essere rispetto dei cavalieri della tavola rotonda per gli usurpatori. Non ci può essere lacrima da versare per gli epigoni di un settarismo ideologico venuto meno e trasformato in tetragono giustizialismo morale. Assoluzioni. Processi fatti e rifatti, condanne assurde e immotivate, giustizia politica e a orologeria? Non conta il nemico va distrutto. Per via giudiziaria o per via mediatica. Per costoro Pietà l'è morta.

…Si faceva chiamare Silvio da tutti i nostri.

Craxi lo chiamava Silvio perché gli era amico da giovane. Martelli lo chiamava Silvio perché era amico di Craxi. De Michelis lo chiamava Silvio perché non voleva essere da meno degli altri due. Berlusconi mi volle incontrare assieme a Bobo Craxi poco dopo la mia nomina a sottosegretario del suo governo che avvenne su segnalazione del Nuovo Psi. Era l'aprile del 2005. Io pensavo di parlargli di politica ma lui pareva quasi disinteressato. Quando Bobo gli disse che anch'io componevo canzoni il volto gli si illuminò. “Facciamo una serata anche con Chiara Moroni”, fu il suo commento. Per fortuna la serata non si fece. Qualche tempo dopo al ricevimento del presidente Ciampi che lasciava il Quirinale Berlusconi mi chiamò da lontano: “Del Bue, sono nella rassegna della canzone napoletana”, confidò orgogliosamente a tutti quelli che lo guardavano tra lo stupito e l'incredulo. Questo era l'aspetto ludico, gioioso, scanzonato di un grande imprenditore che inventò la televisione privata, che acquistò il Milan facendolo divenire la squadra più forte del mondo e che nel 1994 discese in politica e in tre mesi vinse le elezioni. Quando si formò il PdL lo abbandonai scegliendo la costituente socialista e il centro-sinistra, ma non posso dimenticare che nel 1994 la stragrande parte dei socialisti votò per lui per contrastare un blocco ispirato dal giustizialismo delle monetine e dal culto di Di Pietro. Berlusconi fu amico di Craxi e a lui dovette la sua stessa  sopravvivenza come imprenditore televisivo per i due decreti governativi del 1985 che mettevano in angolo le decisioni di altrettante procure. Non bisogna dimenticare che due reti televisive nazionali private in mano a Rusconi e a Mondadori erano sull'orlo del fallimento e la genialità di Berlusconi fu quella di metterle a rete con Canale 5 costruendovi attorno una società pubblicitaria e una assicurativa. Cominciarono i grandi contratti e i nomi più famosi della Rai si trasferirono in Fininvest: da Mike Bongiorno a Corrado e poi iniziarono programmi di varietà spettacolari e produzione di film da un'altra società creata all'uopo. Si sviluppò un regime di concorrenza che alla fine fece bene anche alla RAI. Il problema semmai era regolare la divisione del monte pubblicitario visto che la RAI godeva del canone. Berlusconi grazie a Mediaset divenne l'uomo più ricco d”Italia. Qualcuno potrà aggiungere “grazie ad aiuti politici e forse anche di altri poteri”. Forse. Ma che dire della Fiat che ha vissuto degli aiuti di stato e pagato la stragrande parte delle tasse all'estero? O di De Benedetti che risiede in Svizzera e vorrebbe far pagare la patrimoniale a chi vive in Italia? Del Milan si è detto. Intuizione e fortuna lo portarono verso il romagnolo Arrigo Sacchi che la serie A l'aveva vista solo allo stadio. E poi gli acquisti di due olandesi Gullit e Van Basten e poi di tre con Rijkard. E gli scudetti e le coppe a ripetizione. In politica l'uomo vincente seppe convincere gli italiani due volte, nel 1994 e nel 2001. Ma in realtà la sua coalizione non perse mai  La sconfitta del 1996 era dovuta alla dissociazione della Lega e quella del 2006 si trasformò in un pareggio. Piu volte nella cenere riuscì a tornare all'altare. Sconfitto e condannato ai servizi sociali seppe risalire tutti i gradini del successo. Poi l'appannamento e il declino. Oggi la sua Forza Italia da partito centrale della coalizione di centro-destra si è trasformata in partito gregario di Giorgia Meloni. Gli sopravvivrà? E' molto difficile. Non può un partito fare a meno del suo padrone. Abituato a camminare al suo guinzaglio potrà mai avere imparato a  camminare da sola? Si possono aprire spazi per chi cerca consensi al centro. Se solo Renzi e Calenda capissero che lo stare insieme è l'unica condanna conveniente e che un elettorato moderato attende un nuovo salvatore.

Il Cavaliere, le toghe e Craxi

Per parlare ancora di Berlusconi, e non se ne sta parlando troppo perché il cavaliere con quel che ha combinato nel mondo economico, televisivo, sportivo e politico rappresenta un unicum sul versante nazionale e forse anche internazionale, sarà bene diffondersi anche sul suo rapporto con la magistratura. Partiamo dal presupposto, sottolineato con forza ieri sera da Vespa a Porta a Porta, che fino al 1994, nonostante le sue imprese economiche, immobiliari, televisive e calcistiche Berlusconi non aveva mai ricevuto un solo avviso di garanzia e che le procure si sono mosse contro di lui a cominciare dalla sua discesa in campo politico del 1994, e in particolare a partire dal 22 novembre 1994. È il giorno in cui Silvio Berlusconi, mentre presiede da capo del governo una conferenza mondiale delle Nazioni Unite, riceve un invito a comparire dalla Procura di Milano che indagava su presunte tangenti alla Guardia di Finanza. Da quel momento seguono una valanga di inchieste e processi nel capoluogo lombardo: dal caso All Iberian per 21 miliardi di presunti finanziamenti illeciti a Bettino Craxi, conclusosi con il proscioglimento per prescrizione di Berlusconi, ai processi Sme e Lodo Mondadori, dal processo per la corruzione dell'avvocato inglese David Mills, prescritto anche questo, al caso Mediatrade. La storia giudiziaria del leader di Forza Italia è passata poi attraverso amnistie come quella della presunta appropriazione indebita per la vicenda di Villa Macherio, fino agli anni più recenti. E forse ai processi più odiosi per lui: quelli per gli scandali sessuali legati al caso Ruby, alle feste a luci rosse ad Arcore e alla corruzione in atti giudiziari delle ragazze che le frequentavano. Tutti processi in cui è stato assolto. Il più insidioso é stato quello riferito a una presunta frode fiscale sui diritti Mediaset che, applicando la legge Severino retroattivamente, gli cosò l'esclusione dal Senato e l'assegnazione ai servizi sociali. Questa condanna al capo dell'opposizione rappresenta una rarità in un paese democratico. I procedimenti giudiziari sono stati oltre ottanta, i processi oltre trenta. Le spese sostenute insopportabili per chiunque, ma non per lui. Il libro di Palamara e Sallusti, a proposito degli orientamenti della Anm, é rivelatore di una precisa direttiva impartita di ostacolare i governi Berlusconi per motivi politici. Ora, se così non fosse, se cioè non vi fosse stata un'intenzione politica di mettere sotto torchio Berlusconi dovremmo aver avuto a che fare con una sorta di Doctor Jackil e Mister Hide. Un uomo completamente dissociato. Onesto e incensurato fino al 1994, quando era imprenditore, leader televisivo, presidente del Milan, ma anche amico di Craxi e sostenitore del Psi, e poi d'un tratto corrotto, corruttore, concussore, mafioso, evasore fiscale, violentatore di minorenni. Così il caso non sta in piedi. Il limite, semmai, dell'opera politica di Berlusconi, é di essersi difeso in tutti i modi, di essersi circondato dei migliori avvocati, di avere approvato norme che gli consentissero prescrizioni, ma di non avere inciso il bisturi dove andava inciso, approvando una autentica riforma della giustizia. Quella riforma annunciata mesi or sono dal ministro Nordio e oggi, parzialmente modificata perché non contiene norme per la separazione delle carriere come ha giustamente osservato il deputato di Azione Costa, presentata in commissione alla Camera. Questa si traduce nell'abrogazione del reato di abuso d'ufficio e nella modifica di quello di traffico di influenze illecite. E poi nella riforma delle intercettazioni per rafforzare la privacy dei terzi, coloro i quali si ritrovano sulle prime pagine senza nemmeno essere indagati, e in un intervento sulle misure cautelari, volto a garantire maggior contraddittorio tra le parti, Insomma più tutele per tutti, più libertà. E infine, si interverrà per limitare il potere di appello del pubblico ministero, con cui si vuole escludere la possibilità che “l'organo dell'accusa possa proporre appello rispetto a sentenze di proscioglimento relative a reati di contenuta gravità”. Probabilmente si interverrà con una legge apposita sulla separazione delle carriere e sul Csm. Ma ancora non ci siamo. L'altro limite, per così dire, di Berlusconi, é stato quello di aver lasciato solo l'amico Bettino Craxi in Tunisia, accontentandosi del tragico paradosso italiano che vedeva il più grande finanziatore del Psi a Palazzo Chigi e il suo beneficiario che doveva scegliere tra la Tunisia e la galera. Con lo sberleffo di una proposta a Di Pietro di far parte del suo governo. Contraddizioni di un uomo geniale e coraggioso, costretto a chinare la testa quando in gioco potevano esserci i suoi interessi. Un perseguitato che era in condizione di difendersi. Uno che se anche condannato non ha fatto a meno del consenso popolare. Un potente in lotta coi potenti. Non un debole, come Craxi, distrutto dai potenti.

Mauro Del Bue
Mauro Del Bue

Come entrée del nostro commento...

...alla ricerca di uno spunto immaginifico ed attrattivo, ci siamo (proprio perché il campo delle opzioni era strabocchevole), spremute le meningi e scelto “la livella di Totò”. Un incipit condensato per immagine e per contenuto fortemente didascalico; per quanto potenzialmente produttore di eterogenesi delle intenzioni implicite nelle finalità di questo breve commento conclusivo del focus.

Diciamo subito, che, al di là degli intimi e più o meno sinceri propositi dell'over dose di testimonianze, sprigionate dal luttuoso evento, noi restiamo, in perfetta antitesi con la diffusa tendenza, ancorati alla piena condivisione dell'aforisma di Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas  Camneno Porfirogenito Gagliardi De Curtis, un principe in vita e in morte.

Capace di dare all'evento meno imprevisto della condizione umana una sistemazione teorica suscettibile, in certo qual modo, di rendere, se non accettabile, almeno accettabile l'epilogo esistenziale.

Che resta, o almeno dovrebbe restare, confinato, almeno nello stile della partecipazione, nella fattispecie narrativa configurata dall'aforisma attribuito al sen. Giovanni Agnelli senior, che ammoniva (a marcare il proprio profilo colloquiale ispirato a senso della sobrietà), a circoscrivere la menzione a mezzo stampa (praticamente l'unica modalità comunicativa quando un secolo fa l'aforisma venne messo a punto) a due circostanze: quando si nasce e quando si muore.

Diciamo che, sul lato dello stile relazionale e non solo, molta acqua è passata sotto i ponti, che quella che era percepita come una regola di sobrietà è stata quasi completamente archiviata e che, in ogni caso, si è rivelata inapplicabile all'ultimo deceduto. Che, lo diciamo senza malevolenza alcuna, se n'è tenuto, non foss'altro per stile esistenziale e per mestiere, agli antipodi.

Aggiungiamo, però, che, per quanto posto a disagio da un troppo che storpia, appare, anche non volendo partecipare a questa over dose (lato sensu) mediatica, scatenata dalla scomparsa del Cavaliere, sarebbe difficile scantonare dal quasi obbligo di non disertare.

Pur nella consapevolezza che, per quanto tendenzialmente affievolendosi, lo storytelling manterrà la scena a lungo, non possiamo non esprimere con franchezza il nostro disagio e disappunto per una “narrazione” ossessiva ed invadente, al limite della decenza e del rispetto. Almeno nei confronti dei cittadini, che, acquistando l'informazione stampata e pagando il canone tv, avrebbero diritto a palinsesti comunicativi in linea se non proprio con la sobrietà con un minimale rispetto dell'opinione pubblica.

Andrebbe anche aggiunto, per temperare un senso di raggiunto limite, che, pur volendo ricadere nella fattispecie di Agnelli sr e dovendo applicare la deroga per la riservatezza, siamo diventati una comunità in cui la morte (in teoria l'evento più di ogni altro proclive alla misuratezza dell'eloquio e dei gesti) viene celebrata con la sguaiatezza degli stili, in cui non si fanno tante distinzioni sul motivo della causa scatenante.

Per di più, con il forte  e non disinteressato pressing degli apparati mediatici, viene alimentata una spirale, dalla quale, proprio per l'effetto dell'apparire, nessuno (in video, in voce, in scritto) vuole sentirsi escluso.

Altra cosa, invece, è il portato, potenzialmente edificante, della riflessione che la rivisitazione del profilo biografico induce a livello della prefigurazione della scansione sulla progressione dei cambiamenti incardinata dal fine corsa, del combinato esistenziale e del cursus nella vita pubblica.

In contraddizione con la premessa, che marca la nostra personale idiosincrasia nei confronti di una “celebrazione” oltre i limiti del ragionevole, forniremo anche noi, ben consapevoli di una potenziale contraddizione rispetto ad una latente antipatizzazione, uno spezzone di amarcord, di visto da vicino del personaggio.

Non al punto di farcelo piacere o di farcene invaghire; ma solo per confermare che, al di là della smodatezza auto promozionale (non riusciremo mai a condividere il “bella f…” scandito dai fans e reiterato ad esequie in corso), siamo testimoni diretti di un episodio che corrobora il fondamento di una certa propensione alla gentilezza.

Da noi personalmente testato nel 1984 in occasione di un contatto diretto.

Si era appena colto l'agognato traguardo della promozione in serie A del beneamato sodalizio grigio rosso. Come evento indotto, aveva determinato la correlata acquisizione del controllo di un'emittente televisiva locale, che, innescata dal gruppo editoriale cartaceo, era passata di mano in mano…fino a giungere a quelle generose del “president” per antonomasia.

Le sinergie con la rubrica calcistica, promettente dal punto di vista delle aspettative riverberate dalla promozione, apparivano intriganti. Ma, ad occhio entusiasta anche se temperato dalla consapevolezza, di coprire una più vasta gamma di palinsesti, spingeva a guardarsi attorno, per agganciare realisticamente un'autosufficienza produttiva, alimentabile solo da “aiutini” esterni.

Si arrivò alla conclusione che erano attingibili percorrendo una catena relazionale che portava al giovane capitano dell'imprenditoria edilizia, già proiettato nel mondo dell'emittenza e dell'editoria, ma non ancora approdato alla potenza in itinere.

Fatto sì è che (per un intercessione facilmente immaginabile, la stessa che qualche mese prima aveva propiziato il contatto con la Lega-Federazione suscettibile di sdoganare l'agibilità effettiva dell'ingaggio di Jury  e di Zmuda) fu abbastanza facile ottenere un appuntamento col futuro Cavaliere. Nel palazzo sancta sanctorum di via Rovani), dove un ospite decisamente cortese e interessato a collaborare concretamente accolse lo scrivente poco più che trentenne accompagnato da un tutor di maggior età ed esperienza.

Quanto l'aggancio abbia concretamente prodotto rispetto alle aspettative della mission sarebbe ben presto uscito dal radar; vero è che il “dottore”, non ancora “Cavaliere” non si rivelò, nella circostanza, al di sotto dei narrati standards di cortesia.

Analogo tratto cortese al contatto successivo a margine della conviviale del Teatro Lirico, convocata come passo propedeutico al percorso di riorganizzazione delle truppe socialiste lombarde lasciate senza guida dall'evento della transizione. Ed in trepidante attesa di trovare una “levatrice” per il loro “risorgimento”. Ruolo, ça va sans dire, per cui era disponibile a sacrificarsi Berlusconi. E per cui molti “colonnelli” e o semplici caporali della leva craxiana erano disposti a rinascere nei nuovi contesti della “transizione” alla seconda repubblica.

“Quando si formò il PdL lo abbandonai scegliendo la costituente socialista e il centro-sinistra, ma non posso dimenticare che nel 1994 la stragrande parte dei socialisti votò per lui per contrastare un blocco ispirato dal giustizialismo delle monetine e dal culto di Di Pietro”, lo ammette il direttore de La Giustizia, spesso ospite delle nostre uscite editoriali. Ma prima di questa riconversione, una fetta consistente di quello che era stato il polo moderato, laico e riformista della Prima Repubblica aveva chiesto asilo a Berlusconi. Un po' per contrapporsi alla deriva della “gioiosa macchina da guerra” catto-comunista, un po' per reinventarsi una parte nel nuovo contesto.

Opzioni e propositi molto rispettabili; ma mai entrate nelle nostre corde.  Non ci siamo mai ritrovati né nell'offerta politica né nel modello culturale esistenziale. Incardinato da Berlusconi e in qualche modo correlato alle suggestioni della new wave della Milano da bere. Di cui non ci siamo mai fatti irretire.  Pur avendo condiviso il cambio di fase del nuovo corso socialista riformista, abbiamo sempre curato di distanziare la nostra testimonianza personale dalle suggestioni (divenuti dogmi per gli appartenenti alla nomenklatura craxiana) del nuovo corso. Abbiamo continuato a preferire il tratto sobrio e severo del predecessore di Craxi, Francesco De Martino.

 

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