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Matildica 2/3

Matilde di Canossa e i suoi rapporti con i Cremonesi

  25/11/2020

Di Agostino Melega

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Beatrice di Lorena, madre di Matilde e i vincoli d'un matrimonio di potere

 

Con la congiura silvana di Spineda e l'assassinio di Bonifacio, Beatrice di Lorena rimase vedova del personaggio più potente dell'Italia Settentrionale. Di lì a due anni, al colmo della sventura, ella perderà anche i due figli più grandi. Donna in possesso di forte personalità, Beatrice seppe comunque reagire con vigore ad eventi così disastrosi e seppe nel contempo destreggiarsi con grande duttilità politica, riuscendo a tenere unito il dominio della sua famiglia a favore dell'unica figlia rimastagli, la nuova marchesa di Toscana, la piccola Matilde.

Subito dopo il tragico fatto Beatrice tornò in Lorena, nella sua patria di origine, dove Matilde poté esercitarsi con tutti nell'uso della lingua tedesca. Tornando al rapporto d'amore madre-figlia, possiamo presumere che Matilde non avesse certo potuto avvertire subito, nelle tragiche ore successive all'assassinio del padre, l'angoscia della mamma, un'angoscia complessa, intrisa d'affetti lacerati e da nuove improvvise responsabilità, accompagnata ed accentuata dalla consapevolezza che lo stato dei suoi territori si trovasse ora alla mercé di tutti i nemici interni ed esterni.

Alla piccola Matilde dovettero pur comunicare però qualche cosa di inedito, di nuovo, di diverso quando, dopo due anni da quel giorno infausto, la mamma si rese conto di non poter reggere da sola il potere e di essere come obbligata a cercare una sponda alla quale appoggiarsi.

Fu allora (immaginiamo) che la mamma le disse che presto sarebbe venuto a trovarle un lontano cugino lorenese, Goffredo detto il Barbuto, rimasto vedovo del primo matrimonio. Il papà non era più tornato, forse era morto lontano, chissà… Lo stesso papa Leone IX chiedeva a Beatrice, per il bene di tutti, di unirsi in matrimonio con questo signore. Matilde avrebbe capito solo alcuni anni dopo le sottili esigenze degli equilibri della politica europea che portarono la mamma ad accompagnarsi ad un uomo alla condizione codificata del “matrimonio casto”.

E chissà se Matilde da adulta avrà pure capito, sino in fondo, il fatto che nei protocolli d'intesa del matrimonio della madre era pure inserito l'accordo della promessa matrimoniale che la riguardava direttamente. Infatti nel contratto degli sponsali era scritto che la piccola figlia di Bonifacio, di appena otto anni, ed il figlio di Goffredo il Barbuto, Goffredo il Gobbo, si sarebbero sposati una volta raggiunta la maturità.

Questo matrimonio, dopo vari rinvii, fra quell'uomo brutto e deforme e Matilde - che tutti i contemporanei dicono essere stata una donna molto bella - venne in effetti celebrato su pressione di Goffredo il Barbuto, poco prima che questi morisse, nel 1069.

La pressione per le nozze si può ben comprendere: Matilde, in quanto erede del padre Bonifacio e della madre Beatrice di Lorena, aveva proprietà a sud e a nord delle Alpi.

Ma, soprattutto, governava territori vasti e diversi fra di loro in Italia: il ducato di Toscana, che si spingeva fino al Lazio settentrionale; le contee di Reggio e Modena (escluse le città, dove l'autorità era nelle mani dei due vescovi); quelle di Brescia, Mantova e Ferrara, città comprese. Ma il suo potere s'insinuava anche in ampie zone del Veneto e, in Emilia ancora, vale a dire nel Parmense e nel Bolognese.

Il rapporto diversificato di Matilde con gli arimanni padani

Il matrimonio fra Matilde e Goffredo diede vita ad un percorso coniugale connotato oltre che da acuti contrasti personali anche da pesantissime lacerazioni politiche in relazione alla “lotta delle investiture”, nella quale temperie Matilde si affermò come indomita paladina del papato e soprattutto di Gregorio VII (1073-1085), al secolo Ildebrando di Soana. Mentre, all'opposto, Goffredo si orientò a difendere i propri possedimenti lorenesi parteggiando risolutamente per il re di Germania Enrico IV (1054-1084) e futuro imperatore del Sacro Romano Impero (1084-1105), ed usando in tale versante antitetico la politica della calunnia e della malignità morbosa nei confronti di Matilde e del Papa.

Tant'è vero che le sue presunte testimonianze contribuirono alla decretazione della deposizione di Gregorio VII, il 24 gennaio del 1076, a Worms; uno spartiacque storico fondamentale da cui sarebbero seguiti gli sviluppi che avrebbero portato giusto un anno dopo, alla fine del gennaio 1077, al famoso incontro di Canossa fra il venticinquenne penitente Enrico IV°, la trentenne Matilde (nella funzione di grande mediatrice), e il cinquantenne vincitore momentaneo Gregorio VII°.

In quel contesto storico, che andò ad incidere profondamente negli equilibri dei massimi poteri dell'Europa e del mondo dell'epoca, e nella storia delle vicende del territorio padano, si rifrangono gli sviluppi dei rapporti fra Mantova, capitale del feudo dei Canossa, gli arimanni che lì risiedevano, l'imperatore Enrico IV, Matilde e la gestione delle terre o “beni comuni” attribuita agli stessi arimanni.

La storia degli arimanni padani è complessa e in rapporto ad essa Matilde si mosse con duttilità ed in modo variegato. A Mantova a caratterizzare questo rapporto fu la contrapposizione e la lotta. Con gli arimanni dell'area limitrofa all'Abbazia di Nonantola Matilde si comportò invece in modo più diplomatico, usando maggiormente “le armi della politica” anziché “la politica delle armi”.

Con gli arimanni nonantolani, con quei coltivatori guerrieri di stirpe longobardica che si erano contrapposti per secoli sul limes del Panaro ai confinanti bizantini dell'esarcato di Ravenna, si comporta allo stesso modo usato con la città di Cremona. Li vuole assolutamente come alleati. Essa non può perderli. Gli uni, i Cremonesi, controllano il Po al centro della Valle Padana; gli altri, i Nonantolani, controllano i porti del Panaro, le aree pedemontane modenesi, la città di Carpi oltre che il castro della stessa Nonantola, centri e punti strategici che uniscono la via dell'ambra, che giunge dal Brennero, con la via Romea o Francigena che porta verso Roma, la capitale della cristianità. Ossia una strada che conduce il viandante verso una delle tre grandi mete dei pellegrini medievali, insieme a San Giacomo di Compostella e Gerusalemme.

Ma tornando ai rapporti di Matilde col territorio cremonese, veniamo pure qui a constatare che le alleanze nella storia si enucleano in patti. Ed è ciò che avviene appunto nella fortezza di Piadena, il primo gennaio del 1098, quando Matilde concede a Cremona l'investitura dell'Insula Fulkeria, ossia la regione di Crema, alla condizione che l'esercito della città a presidio del Po la segua nella politica in difesa del papato e della riforma della Chiesa. Del pari, ai guerrieri coltivatori nonantolani ella concede l'investitura della gestione comunitaria di boschi, pascoli e paludi alle stesse condizioni pattuite con i Cremonesi, a patto cioè che essi scendano in campo al suo fianco nell'interminabile e dissanguante vicenda della lotta per le investiture.

Le conseguenze storiche della congiura di Spineda

Ciò che avvenne nei pressi di Spineda, spostò risolutamente l'asse tradizionale degli Attonidi, da sempre filo-imperiali, nel campo opposto papale, alla cui guida armata si pose la stessa Matilde, ultima grande erede di questa famiglia d'origine longobardica.

L'assassinio di Spineda tolse di mezzo un ingombrante vassallo che avrebbe potuto giungere a condizionare, grazie ai possedimenti lorenesi in Germania, il cuore stesso dell'impero e i suoi incerti equilibri. Di fatto quell'assassinio tolse una possibile ombra dalle preoccupazioni dinastiche dell'imperatore, e dai timori sulla stabilità e la durata del suo potere, ma contribuì nel contempo a donare al papato una inaspettata ed intrepida paladina, la quale, col favorire la politica di Gregorio VII, agevolò di fatto la stessa Riforma della Chiesa.

Non a caso Matilde oggi riposa, unica laica, non santa, in san Pietro, nella fastosa tomba del Bernini, dove la Chiesa decise di traslare, nel 1644, da Castel Sant'Angelo, il corpo della sua più grande sostenitrice; corpo che era stato trasferito in un primo tempo a Roma nel 1613 dall'Abbazia di San Benedetto in Polirone, dove la Gran Comitissa era stata sepolta subito dopo la morte avvenuta nella notte del 24 luglio 1115.

Le cronache ci dicono che fino al 1114 Matilde fu vista muoversi nei suoi possedimenti, fra l'Appennino e la pianura di Mantova, così come fra Verona e Cremona, fino a quando, nell'autunno, ammalata fortemente di gotta e di mal di cuore, decise di ritirarsi nel piccolo villaggio fortificato di Bondeno di Roncore, chiamato anche Bondanazzo di Reggiolo, posto tra Reggio Emilia e Mantova, vicino al Po, dove sette mesi più tardi, per l'appunto, morì.

Ne la Vita di Matilde Donizone scrive: “L'uomo pensa e propone, ma è Dio che al meglio dispone./ Composi da poco un poema in due libri/ che dissi d'inviare io stesso a Matilde, poiché il primo tratta degli avi di lei/ e il secondo è scritto in sua lode.// (…)

Ora, mentre in letizia di cuor rilegavo libri alle tavole,/ giunse un messo con una notizia che mi sconvolse:/ la contessa Matilde è morta.// (…) Non solo per me la sua morte fu danno, si sa, ma per tutti coloro che vivono nella giustizia.// (…) Il patriarca di Gerusalemme, quel di Roma,/ e quello di Costantinopoli eran lieti d'aver sue notizie,/ ed a lei procuravan spedir loro scritti/ di frequente e con riverenza.//.

Nel prossimo articolo vaglieremo “i segni matildici” nella cattedrale di Cremona.

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