Queste esperienze non insegnano proprio niente?
Per un minimo di riflessione, viste le norme della legge elettorale, l'idea di un listone unitario con qualche punto fondamentale condiviso, non ha alternative per essere competitivi nei seggi maggioritari. Quello che non mi convince è la lista comune Pd, Psi, Mdp, giustificata in quanto tutti aderenti al Pse, nei seggi proporzionali.
Nel 2018 i socialisti avevano fatto una lista con Verdi e prodiani. Oggi in parlamento hanno fatto un gruppo Italia Viva - Psi.
Queste esperienze non insegnano proprio niente?
Virginio Venturelli - Crema, 29 luglio 2022
L'Italia siamo noi.
Caro Direttore, parli di demagogia d'attacco che supera ed eguaglia il grillismo ed il salvinismo. Crea disagio anche a me che ho sempre sostenuto una politica liberal/riformista, l'uscita di Letta di dare una dote ai diciottenni finanziata attraverso una tassa di successione per i patrimoni plurimilionari... Siamo in campagna elettorale e per di più in piena estate con un caldo insopportabile, ma ci vuole serietà, per lo meno da un partito politico moderato. Penso che siamo arrivati ad una deriva tale che la metà da raggiungere sia solo vincere le elezioni con qualunque mezzo. Ed il buon governo e il bene del Paese? Non interessa più a nessuno, a me interessa eccome e spero che ce ne siano molti altri con le mie idee. Mi auguro che a settembre i cittadini votanti si lascino guidare dal buon senso e soprattutto gli astensionisti si sveglino e scelgano di partecipare alla Democrazia, lo Stato Italia siamo tutti noi. Grazie per avermi ascoltato.
Caterina Lozza - Vicenza, 31 luglio 2022
Vi è molto, troppo sconcerto.
Caro direttore, Draghi se ne va, lasciando nello sconcerto un Paese che grazie alla sua guida aveva visto risalire economia e Pil oltre ogni limite. Conti in regola e soldi in arrivo per un PNRR ben proposto e ben gestito. Quasi non si crede come ora nessuno voglia prendersi la colpa di tanta iniqua irresponsabilità. Tutti i partiti però sono pronti a schierarsi per le prossime vicine elezioni e chi si è sempre distinto per offrire il tutto e il di più (e ottenere così maggiori preferenze) ha iniziato da subito a dar fiato alle trombe.
Vi è molto, troppo sconcerto. Non esiste più una sinistra ben definita, si cercano nuovi appoggi per sostenere un valido fronte contro una destra già schierata. Meloni e Salvini soprattutto hanno circuìto ancora una volta il Cavaliere, plurindagato e condannato, che ne pagherà le conseguenze. Nessuno dei tre è ben visto in Europa, eppure si ritengono in grado di guidare una nazione, la nostra nazione. Mettendo da parte ogni giudizio sul Movimento 5 Stelle, dove potremmo andare a parare? A un guazzabuglio di personaggi che a suo tempo avranno forse onorato la sinistra, ma che poi se ne sono andati …pronti però a ricucire i vecchi dissidi …si aggiungono i fuoriusciti dai 5 stelle e forza Italia …ma i programmi …quali programmi potrebbero condividere, iniziando magari a discuterne invece di spintonarsi per apparire “i più belli”?
Ripenso con tanta nostalgia al Partito Socialista di un tempo. Si è dissolto perché non riuscì a controdedurre adeguatamente alle critiche e alle accuse rivolte a Craxi e al craxismo. Ma quanti J'accuse sono stati poi lanciati ai vari Bossi, Berlusconi, Salvini e via dicendo eppure sono ancora tutti qua, a battere cassa, ad alleggerirla in barba al popolo sovrano. Può riemergere dopo tanta indifferenza e ostilità per i vari tornaconti? Eppure nel cuore di molti quel palpito umano di fratellanza, cooperazione e generosità non si è spento. Lo sento nei sospiri di chi visse quel momento storico del dopo guerra. Solidarietà e desiderio di uscire tutti insieme da un periodo difficile, tragico. È amaro, caro direttore, ammetterlo e attendere ancora una volta che i votanti seguano ragione e coscienza. Qualcuno lo merita ancora? Ai posteri, ahimè, l'ardua sentenza. Un grazie per l'attenzione prestatami.
Clara Rossini - Cremona, 31 luglio 2022
Se a centro tavola c'é …un marchese del Grillo (mannaro)
Del titolo diremo più avanti. Questo incipit è principalmente per annunciare (pur tenendoci aperti a rettifiche) che il forum dedicato alla presentazione, alla cronaca ed all'approfondimento del Congresso Nazionale del PSI, svoltosi a Roma, ha concluso (ripetiamo, s.e.o.) la sua mission.
Diciamo che (come dimostrano le lettere appena pubblicate e quelle della precedente edizione) gli approfondimenti si sono sovrapposti. Il cambio di fase nella vita politico-parlamentare con lo scioglimento della Legislatura e la consegna delle chiavi al popolo sovrano (ma non sovranista) ha finito per sovrapporsi allo stralcio delle ultime battute di un evento congressuale, finito di suo sul binario morto. L'incipiente contesto elettorale lateralizza (temporaneamente) il tema “sinistra e questione socialista”, ma non lo archivia. Nelle sensibilità più avvertite ci sarà motivo di verifica della sua irrisolutezza in tutti i preliminari e nella filiera delle operazioni elettorali; in quelle più flebili si avvertirà comunque la si voglia vedere che, purtroppo, la questione “sinistra” (ovviamente nella più feconda delle accezioni) da soluzione è diventata il problema.
Diversamente non si potrebbe dire, solo se si ha occhio alla cateratta di notizie non edificanti e a posture, nel presente e per l'immediato futuro, che sembrano preludere a traguardi scarsamente fecondi.
Quanto alla parola scritta dal Congresso Socialista, cui senza essere aderente effettivo ci lega (in questo 2022, 130° della fondazione) il filotto di 60 tessere, non sempre cartacee ma sempre ideali, non possiamo non azzardare, con molto rammarico e con un dovere di chiarezza, una chiosa non esattamente esaltante. Per questo gruppo dirigente, cui come simpatia spontanea cui i giovani hanno sempre diritto, non ci vien altro che il supporto di un aforisma nenniano modificato. Il grande dirigente diceva frequentemente “Il y a toujours un pure plus pure qui épure”. La versione da noi manipolata (vista la manciata di mosche della finalizzazione dell'assise congressuale) è “il y a toujours quelque bouche pour une asiette”. Già essersi prostrati in un ruolo ancillare (da piattino in bocca, appunto) non è stato né rispettoso per la storia socialista né producente per quel valore aggiunto che avrebbe potuto essere la collaborazione della componente del socialismo riformista. Una tessera questa, del tutto assente nello scenario politico della sinistra e manifestamente espunto dalle opzioni su cui radicare il baricentro di un'area politica che di riformismo e di socialismo liberale ha bisogno come e più dell'aria.
Contrariamente a ciò la “sala regia” o non sembra avvedersi del potenziale disassamento degli equilibri su cui hanno retto settant'anni di liberaldemocrazia o se ne avvede e piega, minimizzandola, tale consapevolezza al calcolo poco idealistico di un embrassons nous in chiave di militarizzazione dei potenziali partners.
L'antifascismo che abbiamo professato da sempre non ha mai inclinato alla versione strumentale. Cionondimeno non possiamo non intravvedere, per la prima volta nella recente storia politica della Repubblica, una deriva dagli esiti non esattamente transeunti.
Ma, se l'esito si presentasse oltre certi limiti, destinati a conseguenze strutturali nelle linee guida della Repubblica.
Con il combinato disposto di una legge elettorale, che definire “stravagante” (per l'excursus di ingovernabilità determinato in questi cinque anni) è dire poco, e la ridefinizione degli emicicli ridotti e dei circondari elettorali c'è la seria prospettiva che l'opposto campo di destra consegua un risultato suscettibile di consentire in prospettiva modifiche istituzionali in diretta. Cioè senza il ricorso all'istituto del referendum confermativo.
E quali possano essere in materia gli orientamenti di un aggregato, ispirato da richiami di un passato non ancora passato e da più recenti appostazioni su linee manifestamente discontinue rispetto ai cardini della Repubblica parlamentare, non è difficile dubitare.
La leader competitor, Meloni, se non esattamente una neofascio, è sicuramente interprete della peggior destra europea e mondiale. Il cui obiettivo, come dice De Benedetti in una recente intervista, è disassare il modello liberaldemocratico di valori dell'Occidente e dell'Europa. Al punto incontrovertibile che per la prima volta in settant'anni si materializzi seriamente e concretamente la prospettiva che assuma un ruolo di premiership un movimento che, senza che si possa definire neofascio, presenta seri elementi di continuità con gli imperativi “Non rinnegare, non restaurare” e che di tanto in tanto fatica a distanziarsi da certe contiguità imbarazzanti (come gli assalitori della sede della CGIL). Lungi da noi l'intenzione di introdurre nei confronti elettorali elementi di criminalizzazione. Ma, per quanto la leaderina di FdI abbia dismesso (a vantaggio della presentabilità ad usum delphini per la cattura di consensi vagamente antipatizzanti verso il centrosinistra), la postura di una certa continuità col passato (remoto e prossimo), le cose stanno così. E, se così stanno, il campo opposto (vale a dire l'aggregazione sia pure articolata che punta alla difesa del modello liberaldemocratico ed europeista) dovrebbe fare di tutto per non prenderle.
Mentre, per come pare a noi di percepire, fa l'esatto opposto. A cominciare dal concedere ai competitori una prateria di vantaggi determinati, innanzitutto, dall'assenza caparbia di visioni strategiche e da una strategia di linea e di comunicazione “alla garibaldina”
Vero è bastano ad inquietare sul terreno del mantenimento delle garanzie liberaldemocratiche e della salda sostenibilità politica europea, l'appartenenza del movimento FdI ai circoli sovranisti mondiali. I conti con il passato li abbiamo chiusi tanti anni fa. E non sarebbe il caso di riaprirli.
Senza minimamente inclinare al pessimismo e senza disporre di ricette taumaturgiche, ci pare di dover dire che il campo democratico e progressista non è messo molto bene.
Quali possano essere i termini di un recupero è difficile più che dire, dettagliare.
Anche se dalle prime battute della transizione dal venir meno del Governo Draghi ai prodromi elettorali è apparsa del tutto assente o debolissima una strategia, che non fosse l'aggregato di giochetti in chiave di potere.
In questa situazione ci si aspettava che il Partito Democratico, fosse in prima fila per costruire l'alternativa riformista e di buonsenso a populisti e sovranisti, senza consentire scorciatoie o compromessi.
Invece, dal maggior partito che avrebbe potuto/dovuto essere di guida è venuto un inscalfibile arroccamento in una pratica neofrontista, che nulla concede al tentativo di portare a sintesi il contributo originale e differenziato dei partners.
Il PD, a meno che nelle prossime ore emerga un sussulto resipiscente, ha sin dall'inizio fissato per sé un ruolo da “centro tavola”, che, appunto, dispensa segmenti di rappresentatività potenziale, affidate all'esito delle urne, ma privi di appealing verso i ceti di riferimento.
Non tragga in inganno il profilo del giovane per bene leader dem. Che sempre più evoca la fattispecie della considerazione nei confronti dei partners tipica del Marchese del Grillo.
Prima la dismetterà e prima sarà possibile riprendere il filo della razionalità e delle consapevolezze.