Diamo conto, in ordine di scansione temporale, di alcuni eventi conviviali (a distanza) in teoria suscettibili non solo di riaprire importanti squarci di attualizzazione del format teorico-pratico del socialismo liberale italiano, ma, diolovolesse, di incardinare le necessarie precondizioni propedeutiche per un serio impegno di armonizzazione e convergenza tra i segmenti “sul mercato” potenzialmente riconducibili ad una remise en forme di un ambito politico. La cui assenza pesa come un macigno sui precari equilibri politici italiani.
I convegni, cui facciamo riferimento: sono 1) la Direzione Nazionale del PSI, Roma 17 marzo 2023; 2) il Forum Socialista Roma 18 marzo 2023; 3), previsto per il 1 aprile sia pure localizzato a Padova presenta un pannel di rilievo nazionale, per vastità di tematica e per rango dei discussants.
Ciò premesso, riportiamo i testi pervenuti e/o estratti.
1) Direzione nazionale PSI
A conclusione dei propri lavori la Direzione, in cui è intervenuto Valdo Spini, “ apprezza il lavoro svolto in questi mesi, in attuazione del proprio precedente deliberato e di quello della Segreteria, per la preparazione degli Stati Generali del Socialismo, che ha coinvolto numerose strutture locali, associazioni e singoli esponenti rappresentativi del mondo socialista, sindacale, della cultura e delle Università… la direzione dà mandato alla segreteria di intensificare, formalizzare e portare avanti i rapporti con tutte le esperienze che condividono i valori e le prospettive del socialismo italiano, convocando una prima riunione con tutti per gli inizi di aprile e finalizzando il percorso al consolidamento del Psi. I socialisti con i socialisti”. Ora uniamo tutte le forze socialiste. Le opposizioni facciano fronte comune…”
Valdo Spini: Il mio Intervento, come invitato alla Direzione del Psi di oggi, Venerdì 17 Marzo 2023.
La prossima scadenza politico-elettorale di carattere generale è costituita dalle elezioni per il Parlamento Europeo.
La posta in gioco delle prossime elezioni europee è molto alta. Vedranno o no la conferma dell'asse popolari -socialisti come fulcro della maggioranza chiamata a confermare la prossima commissione europea, e quindi più in generale delle istituzioni europee. Oppure riuscirà l'obiettivo che si prefigge apertamente il Presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni, di sostituire a questa maggioranza l'asse popolari-conservatori. (così si chiama il partito che lei presiede a livello europeo).?
La risposta sarà data dalle urne a livello europeo, ma l'Italia si presenta come uno scacchiere decisivo di questa partita.
È un tema che deve essere sentito da tutto lo schieramento di centro-sinistra e di sinistra democratica del nostro paese, ma è un tema che deve mobilitare in particolare i socialisti italiani
Più volte ci siamo soffermati sulla constatazione che ad un ‘area politica socialista italiana molto presente e vivace, come lo denotano le tante fondazioni, istituti culturali, siti internet, interventi sui social che ne sono espressione, non corrisponde una altrettanto significativa capacità di mobilitazione del voto di opinione nelle occasioni elettorali.
Ora, se c'è un momento in cui una potenzialità del genere si può sviluppare, è quello delle elezioni per il Parlamento Europeo del 2024.
Far convergere la vasta area socialista italiana, negli Stati Generali del socialismo, del laburismo e del riformismo civico italiano, deve essere l'obiettivo dei prossimi mesi. Gli stati generali possono essere a loro volta un passaggio molto importante nel percorso che ci porterà alle prossime elezioni del parlamento europeo.
Le elezioni europee si svolgono con un sistema elettorale proporzionale con uno sbarramento del 4% che non può non stimolare a queste convergenze.
L'esistenza di un nucleo strutturato e organizzato, appunto il partito socialista italiano, lungi dal costituire un ostacolo in questa direzione, rappresenta il necessario punto di riferimento e di raccordo, che permette proprio l'apertura del processo che porterà agli Stati Generali.
Una decisione della direzione del Psi in questo senso consentirà 'avvio concreto di questo percorso.
Dobbiamo peraltro farci carico della situazione economica e sociale italiana in cui si svolgono i nostri processi politici.
La maggioranza di destra-centro che governa il paese si propone di corrispondere alle attese delle classi sociali che l'hanno sostenuta da vari punti di vista. Sulle concessioni per i balneari non esita a mettere in discussione gli impegni presi con la Ue fino a mettere in pericolo la corresponsione della nuova rata da 19 miliardi del Pnrr. Ma è soprattutto la riforma fiscale, cioè la delega varata dal Consiglio dei Ministri con l'introduzione della cosiddetta flat tax che intende incrinare l'assunto costituzionale della progressività dell'imposta e di fatto allargare la forbice delle già gravi disuguaglianze del nostro paese. Su questo terreno, centralità del lavoro, patto tra produttori, lotta alle disuguaglianze dobbiamo sviluppare nel prossimo periodo le nostre iniziative.
La situazione del sistema bancario dopo il fallimento della Banca della Silicon Valley suscita preoccupazioni in particolare per la delicata situazione in cui si trova l'Italia per il suo alto debito pubblico in rapporto al Pil. In una situazione del genere sono molto preoccupanti gli atti del governo Meloni sul versante Pnrr (sul tema dei balneari si può rischiare di mettere in crisi la prossima rata del Pnrr), mentre la mancata ratifica (che non è la sua utilizzazione) del Mes da parte dell'Italia mette in dubbio la sua solidarietà su questo piano con gli altri paesi europei.
Infine, due parole sull'avvento di Elly Schlein, indubbiamente un superamento delle vecchie culture postcomunista e post-democristiana di sinistra che hanno costituito il Pd. Un superamento all'insegna del nuovo, certamente. Qui sta, nel nostro piccolo, una sfida anche per noi. Possibile presentare una vecchia tradizione - la nostra- come qualcosa di nuovo? Nuovo nei contenuti, nuovo nei metodi? Insomma, immettere nelle vecchie botti del vin nuovo? Credo che proprio la libertà di ricerca e di espressione che ha sempre caratterizzato l'area socialista ci possa aiutare in questo.
Certamente gli Stati Generali del Socialismo, del Laburismo e del riformismo civico devono avere al centro un manifesto programmatico che concretizzi nelle sfide degli anni venti del XXI secolo i nostri ideali e i nostri valori. Dobbiamo. realizzare qualcosa di simile al Progetto Socialista del Congresso di Torino del 1978 su cui si solidificò prese le mosse il “nuovo corso” socialista.
2) Forum socialista
“È nato stamani a Roma” scrive Riccardo Nencini, ”il Forum Socialista, luogo di dibattito politico e culturale cui aderiscono iscritti e non iscritti al Psi, laici, rappresentanti del mondo accademico, tanti giovani alla loro prima esperienza politica. Martelli, Cicchitto e chi scrive, assieme a Pizzolante, Signorile, Pastorelli, Simona Colarizi, Daniela Mainini ne coordinano i lavori.”
Dai lavori del Forum estrapoliamo l'intervento, postato su facebook, di Claudio Martelli e riproduciamo il contributo di Mauro Del Bue, direttore de La Giustizia.
Claudio Martelli
Mi piace molto l'espressione “Forum socialista”.
Dà l'idea di ciò che siamo e vogliamo essere, uno spazio e una voce in cui l'esperienza politica socialista, socialdemocratica e laburista che tanto ha dato all'Europa e all'Italia torni a confrontarsi liberamente e pubblicamente con se stessa e con i suoi interlocutori naturali: il cattolicesimo democratico, i liberaldemocratici, i democratici progressisti, gli ambientalisti seri e combattivi.
In Italia non è esistito altro riformismo che quello socialista e quello cristiano e cattolico oggi quasi ridotti al silenzio.
L'apporto liberale fu decisivo solo e unicamente cento venti anni fa, in epoca giolittiana (con buona pace di Salvemini e del suo disprezzo per il giolittismo).
C'è stato invece un riformismo repubblicano che nel secondo dopo guerra ruppe col protezionismo dei liberali e promosse la liberalizzazione degli scambi premessa al mercato comune europeo. Sempre con La Malfa i socialisti ottennero la nazionalizzazione dell'energia elettrica e altre riforme del centro sinistra mentre i cosiddetti liberali difendevano i monopoli, ma solo se privati.
La questione politica del rapporto con la destra che governa l'Italia si pone anche a noi. Non sul piano formale poiché non saremo certo noi che con Craxi presidente aprimmo le consultazioni anche al MSI di Giorgio Almirante, non saremo noi a escludere il riconoscimento e i rapporti formali di rispetto reciproco anche con la destra.
D'altra parte la rivista non è un partito né una corrente di partito e può avere su questo come su altri temi sensibilità diverse e cogliere ragioni di interesse anche in alcuni punti programmatici della destra. Ciò vale anche per i giudizi sull'azione di governo - e i miei non sono proprio lusinghieri.
D'altra parte se penso all'annunciato decalogo di riforme della giustizia del ministro Nordio mi viene da applaudire. Sembra farina del nostro sacco. Non applaudo invece ai suoi primi atti in contrasto con quel che ha sempre detto e scritto.
Se penso al presidenzialismo di Giorgia Meloni, anzi, al semipresidenzialismo che ha iscritto nel programma di governo non posso negare che assomigli come una goccia d'acqua all'idea di Craxi e Amato degli anni novanta, quella di eleggere il capo dello stato direttamente dal popolo. Io ho sempre predicato un altro presidenzialismo: eleggere il capo del governo. Renzi lo chiama il sindaco d'Italia per sdrammatizzare e fornire l'esempio di un'elezione diretta che ha funzionato.
Mi ricordo di un colloquio che avemmo, Craxi e io, con Ciriaco De Mita nell'87 o '88 a margine di qualche vertice di governo. A un certo punto De Mita si spazientì e ci disse, “Voi volete l'elezione diretta del capo dello Stato e pensate di eleggere Craxi. Vi sbagliate perché se io candido Pippo Baudo vince Baudo non Craxi.” Più ci penso più mi convinco che avesse ragione De Mita e continuo a preferire l'elezione diretta del capo del governo.
Non si scomodano 40 milioni di cittadini per eleggere un re che regna ma non governa. Andrà bene per la Francia che ama la pompa e i pennacchi sino a intronare, a mettere sul trono, la stessa repubblica. I cittadini si scomodano per scegliere chi avrà il potere e la responsabilità di governare e la porterà tutti i giorni davanti ai cittadini.
In materia il PD, almeno finora, si è trincerato dietro un no pregiudiziale a ogni forma di presidenzialismo a livello nazionale viceversa si inebria per l'elezione diretta di sindaci e presidenti di regione. Come può continuare ad arroccarsi in questa dissociazione?
Intanto una sorpresa o una quasi sorpresa c'è stata con le primarie del PD e la vittoria di Elly Schlein. Se è certamente presto per giudicare le mosse della neo segretaria non lo è per capire come e perché ha vinto. Intanto è scesa in campo sicura di vincere nonostante i pronostici sfavorevoli e ha vinto perché la sinistra interna rinforzata dall'ammissione al voto degli ex art.1 è diventata larga maggioranza nel PD di Milano, di Roma, di Napoli e lo è sia nel partito degli iscritti e molto di più nel popolo delle primarie.
Mi ha colpito che il primo atto della nuova segretaria sia stato l'immediata mobilitazione per promuovere l'iscrizione al partito degli elettori delle primarie. Indubbiamente Schlein vuole consolidare il successo conquistando quella maggioranza degli iscritti che le è sfuggita al primo giro. Chissà un timore velato, un'insicurezza improvvisa. Mi ha colpito anche la campagna dei cosiddetti riformisti del PD che non si sono battuti mai né hanno offerto una piattaforma chiara, risoluta, innovativa. In realtà il congresso si è messo male da quando – a cominciare da Letta – Renzi è stato eletto a nemico pubblico n.1 mentre Speranza, Bersani, D'Alema son tornati tra i festeggiamenti in quella che evidentemente considerano casa loro.
Ciò detto penso che sarebbe un errore quello di dare il PD per perso e ormai destinato a essere fagocitato dai 5 Stelle. Non sottovalutiamo i rischi ma nemmeno quel tanto di freschezza, di novità, di energia che è stata l'immediata conseguenza dell'arrivo di una giovane donna sulla plancia di comando dell'unico partito rimasto in campo in Italia.
Ma torniamo a noi. Il Forum Socialista dopo questa seconda felice prova deve intensificare i suoi appuntamenti e allargare attenzione e partecipazione alle donne ai giovani. Possiamo a grandi eventi di approfondimento e discussione politica a cominciare dall'aggressione russa all'Ucraina; dalla ritornante emergenza migranti; alle incombenti emergenze sanitaria e scolastica.
Dipende invece da noi continuare a parlare, a incontrarci.
Mauro Del Bue
Sono, questi, due termini contrapposti o compenetrati? Possibile che mentre per oltre un secolo la qualificazione di riformista sia stata considerata come sinonimo di moderazione e, di più, di cedimento, adesso sia divenuto patrimonio comune, mentre quella di liberale si qualifichi tuttora come fonte di deragliamento? Cerchiamo di fare chiarezza. Il termine riformista nacque proprio dall'accusa dei massimalisti. Si chiamavano sindacalisti rivoluzionari e all'inizio del secolo scorso accusavano i principali fondatori del Partito dei lavoratori, nato a Genova nel 1892, e che l'anno dopo, col congresso di Reggio Emilia, acquisì la denominazione di socialista, di accontentarsi delle riforme e di appoggiare per questo i governi liberali. Questa accusa di riformismo era peraltro campata in aria, giacché Filippo Turati, Claudio Treves, Camillo Prampolini, Leonida Bissolati, intendevano costruire una società che, com'era scritto nella manchette de “La Giustizia”, ponesse la proprietà “su basi collettive”. Solo che erano contrari alla logica del tanto peggio tanto meglio, alla teoria dell'ora x, alla violenza, che accettavano solo per scopi difensivi, cioè quando fossero venute a meno le libertà fondamentali per procedere nel cammino, nella “via lunga che é la sola breve”, come segnalerà Turati nel suo intervento al congresso di Livorno del 1921, nel quale i riformisti si presentarono, peraltro, con una mozione nient'affatto riformista e capeggiata dal rivoluzionario Costantino Lazzari che la rivoluzione non la rifiutava affatto, ma la rimandava al domani. Si può ben dire che l'accusa di riformismo sia stata la ragione dell'espulsione dal Psi, nell'ottobre del 1922, di Turati, Matteotti e degli altri, perché giudicati, a tre settimane dalla marcia su Roma, rei di volere appoggiare un governo democratico che sbarrasse la strada al fascismo. Costoro fondarono il Psu e La Giustizia ne divenne quotidiano nazionale diretta dallo stesso Claudio Treves. Ma il punto di continuità di questo partito con l'originario era proprio l'accettazione del marxismo, o meglio ancora, della parziale revisione dell'ultimo Engels che, nella prefazione al libro di Carlo Marx “Le lotte di classe in Francia”, aveva preso in seria considerazione, attraverso il suffragio universale, l'ipotesi di evitare una rivoluzione violenta per la presa del potere del proletariato. Il cosiddetto socialismo riformista non elaborò un pensiero, lo fece Bernstein in Germania in polemica col marxismo ortodosso di Kark Kautsky. Solo Ivanoe Bonomi si diede al revisionismo teorico col libro “Le vie nuove del socialismo”, pubblicato nel 1907. Carlo Rosselli, l'inventore del socialismo liberale, proviene dal riformismo. Rosselli era un seguace di Turati e lo seguì nel Psu. Poi dal confino di Lipari scrisse il famoso volume “Il socialismo liberale”, pubblicato a Parigi nel 1930. La novità, ma eravamo nel periodo in cui le dittature di stampo fascista e comunista stavano dilagando e il termine liberale si affacciava anche come rivoluzionario, era proprio nella contestazione del marxismo. Rosselli ritiene che non solo in Lenin si riscontri il fenomeno dell'autoritarismo, ma che questo sia presente già nell'elaborazione di Marx. Soprattutto nella accezione della dittatura del proletariato e un'inesistente teoria dello stato, come poi osserveranno gli intellettuali di Mondoperaio in un apposito seminario. Il liberalismo, per Rosselli, é il metodo, il socialismo il fine. Ma il socialismo deve garantire la libertà per tutti. Quindi deve essere intriso di liberalismo. Anche la concezione delle classi in Rosselli é originale e si collega, anche questa, a un volume di Mondoperaio su “Pluralismo politico e pluralismo economico”. Cioè tra libertà in economia e libertà politica. Ora qui il termine liberale non viene certo inteso come propensione a valorizzare l'esperienza dei governi liberali prefascisti e non deve neanche essere inteso come sinonimo del Partito liberale dell'Italia repubblicana. Il liberalismo, Rosselli era vicino alle tesi laburiste inglesi, doveva semmai guardare oltre Manica dove i liberali venivano concepiti spesso come alternativi ai conservatori. Questa eresia rosselliana venne parzialmente contestata proprio da Claudio Treves, col quale, unitamente al giovane Giuseppe Saragat, Rosselli aveva costituito il triunvirato che reggeva il Psli (nome che il Psu dovette assumere clandestinamente dopo il suo scioglimento decretato dal regime nel 1925 come effetto del fallito attentato al duce del deputato Tito Zaniboni). Nel 1930 a Parigi le strade di Rosselli e del Psi, proprio in quell'anno riunificato da Nenni e Turati, si separarono e nacque il movimento di Giustizia e libertà. Il socialismo liberale si scontrò poi, dopo l'esperienza del Partito d'azione, con l'impossibilita nell'immediato dopoguerra di sviluppare un'ideale politico senza un radicamento territoriale organizzativo. Nel Psi, e neanche nel Psli, poi Psdi dal 1951, nessuno parlò più di socialismo liberale. Si fronteggiavano fino al 1956 due concezioni del socialismo: una di stampo filo sovietico e sostanzialmente comunista del Psi e l'altra democratica e umanitaria del partito di Saragat. Neanche dopo la revisione autonomista di Nenni e neanche, dieci anni dopo, durante il periodo della unificazione, si sostennero appieno le idee di Rosselli, fatte proprie invece da settori del giovane Partito radicale. Solo cogli anni ottanta il Psi, grazie all'intuizione di Craxi, che nel 1981 si era decisamente riappropriato del riformismo col Congresso di Palermo (anche del termine riformista il Psi non si era voluto fregiare ufficialmente fino ad allora), lanciò il famoso Lib-Lab, all'inglese. Cioè proprio l'idea di un socialismo liberale. Si teorizzò che il socialismo fosse necessariamente intriso di liberalismo (il liberismo economico è altra cosa) e si iniziò a dialogare con la cultura del liberalismo e cogli esponenti che esprimevano questa cultura. Dunque il socialismo liberale per il Psi degli anni ottanta non era concepito come un deragliamento dal socialismo riformista che proprio agli inizi di quel decennio era stato appieno riconquistato dal partito, ma come suo naturale sviluppo. Diciamo che le riforme potevano essere definite solo in presenza di una cultura delle libertà. Del resto che il Psi sia stato concepito come partito delle libertà era ben chiaro fin dagli settanta con le lotte e le conquiste civili conseguite in Italia grazie al socialista Loris Fortuna. Dunque perché scandalizzarci se noi intendiamo definirci insieme come riformisti e liberali? Sono queste due concezioni del socialismo le uniche che lo hanno salvato dal fallimento e dalla condanna della storia. E meno male che, per la nostra stessa ragione di esistere, sono nati uomini come Turati e Rosselli.
Documento del forum socialista
Nella storia della nostra Repubblica, i socialisti hanno svolto un ruolo pilota. Questo almeno fino al 1992 e alle vicende che hanno portato all'avventato autoscioglimento del Psi il 12 novembre 1994.
Nel '92-‘94 è stata effettuata un'operazione mediatico-giudiziaria del tutto unilaterale perché il finanziamento irregolare non riguardava certo solo il Psi, ma tutti i partiti, Pci compreso. Nella fase successiva si è passati a qualcosa di peggio: al tentativo di cancellare dalla stessa memoria storica ogni riferimento al Partito socialista e al socialismo in quanto tale. Una questione che è emersa anche nel recente anniversario della morte di Craxi che è stato ignorato, pure sul terreno della riflessione critica, da tutto il Pd. In più di cinquant'anni i socialisti hanno sempre avuto la capacità di avvertire, prima di tutti gli altri, i mutamenti in corso nella politica. Nel loro dibattito interno si sono rispecchiati processi di crisi in divenire che anticipavano nuovi problemi e nuove situazioni. Per questo i socialisti, al di là del loro peso elettorale e della loro collocazione politica, sono stati i protagonisti attivi dei grandi passaggi politici della democrazia italiana: dalla scelta per la Repubblica al centrosinistra; dalla questione dei cattolici al progetto per la democrazia dell'alternativa; dalla grande riforma istituzionale agli interventi di riforma dello Stato sociale e civile.
Questa esperienza partitica dobbiamo considerarla conclusa e non ripetibile. Ma non deve sorprendere che, dopo molti anni ed esperienze diverse e contraddittorie, i socialisti riprendano a parlare in una sede comune, senza gerarchie e pregiudizi, che potremmo definire come il Forum socialista. Questo perché la cultura politica dei socialisti, dovunque essi siano, avverte la crescente condizione di precarietà del sistema politico attuale; coglie i processi di dissoluzione dei partiti e delle alleanze che hanno dominato in questi anni; sente l'urgenza di fare i conti con un bipolarismo incompleto e artificiale che ha determinato un obiettivo degrado nella democrazia italiana, accentuandone i caratteri di democrazia delegata e deresponsabilizzata.
Si ricomincia così a parlare di socialismo, non di partiti e appartenenze. Il socialismo oggi deve essere una nuova ragione di analisi e di proposte. Il fattore attivo di un nuovo contratto sociale perché si è dissolto nella coscienza dei cittadini e nell'esperienza dei fatti il legame che teneva salde le condizioni di vitalità e sviluppo del Paese. In sostanza il compromesso Stato-cittadini-imprenditori-classe lavoratrice, che per molti anni ha consentito non contestati rapporti di proprietà, uno Stato sociale redistributivo, un ascensore sociale funzionante, un attivo sistema di contrattazioni sociali, ha ceduto per l'incompatibilità di queste politiche con la crisi economica e le sue tipologie rompendo un sistema di certezze e garanzie.
Facciamo queste osservazioni non per rilanciare, magari in una traduzione lillipuziana, la forma partito Psi: il Psi, come il Pci, come la Dc, appartiene alla storia e non è più riproponibile in quanto tale. Quello che invece noi intendiamo rivendicare non è solo la memoria del socialismo italiano ma anche il fatto che i contenuti ideali della civiltà socialista in alcuni snodi fondamentali e anche in alcune proposte di riforma mantengono la loro validità: ci riferiamo alla riforma della giustizia, al presidenzialismo, alla solidarietà con l'Ucraina, all'impegno meridionalista, a tutte le tematiche riguardanti il lavoro e a quella che chiamiamo la “globalizzazione della sopravvivenza”. L'impegno riformatore su questi nodi essenziali ha un retroterra politico-culturale di grande rilievo che in tutti questi anni è stato alimentato grazie all'impegno individuale e collettivo di singole personalità e di strutture organizzate di studio appartenenti a un'area socialista assai estesa che sfugge a ogni schema di natura partitica e anche a ogni scelta pregiudiziale di schieramento.
Grazie sia al lavoro individuale di alcuni storici di alto livello, sia a quello posto in essere da alcune fondazioni culturali (la Fondazione Socialismo, la Fondazione Craxi, la Fondazione Kuliscioff, la Fondazione Nenni e la Fondazione Brodolini), i cosiddetti vinti si sono conquistati proprio sul campo della ricerca storica una dimensione di notevole spessore che rovescia il motto secondo cui la storia è sempre quella dei vincitori.
Al di là delle vicende più strettamente politico-partitiche, emerge che proprio di fronte alle situazioni drammatiche che stanno sconvolgendo il mondo contemporaneo la questione socialista, che si estrinseca in primo luogo nel riformismo, ha una straordinaria attualità. Il nesso socialismo-libertà si ripropone con tutta la sua forza ideale sia di fronte all'aggressione all'Ucraina, scatenata da una Russia caratterizzata da un pericoloso nazionalismo predatorio, sia di fronte all'imperialismo cinese che sta investendo Taiwan sul piano militare e vaste zone del mondo sul piano economico.
Su un altro versante, quello del capitalismo contemporaneo, possiamo verificare, sulla base di ciò che è avvenuto da molti anni a questa parte, la validità dell'allarme lanciato molto tempo fa da un grande studioso marxista della seconda generazione come Rudolf Hilferding sulle distorsioni che può provocare l'affermazione del capitale finanziario proprio nei confronti dei genuini protagonisti dei rapporti di produzione capitalisti, cioè sia sui lavoratori che sugli imprenditori. Si è vista anche la permanente forza del compromesso socialdemocratico sia perché il trinomio casa-scuola-ospedali – considerato con sufficienza sia dai neoliberisti sia dai massimalisti nuovi e antichi – riveste un'importanza decisiva rispetto alle esigenze fondamentali dei cittadini, sia per ciò che riguarda l'approccio di stampo riformista per l'innovazione nell'industria, il rapporto positivo nell'impresa fra gli imprenditori e i lavoratori, la tematica ambientale e climatica.
Queste nostre osservazioni si riconnettono in termini di continuità ma anche di innovazione a tutta una problematica sviluppatasi nel corso della storia del socialismo italiano nel dopoguerra che è andata, anche fra tensioni e contraddizioni, da Riccardo Lombardi a Bettino Craxi. Riteniamo che queste posizioni possano essere sinteticamente definite come il progetto dei riformatori che, a nostro avviso, oggi può rappresentare l'unica alternativa seria e credibile a quella dei conservatori liberali che costituisce il retroterra culturale della posizione assunta da Giorgia Meloni e che spiega anche la ragione di fondo della sua vittoria alle recenti elezioni. Infatti in un Paese che ha la storia dell'Italia – nella quale i vent'anni di regime fascista hanno costituito un tragico disvalore e i tre anni della Resistenza un grande valore unificante – una versione ambigua e pasticciata del post fascismo mai avrebbe potuto acquisire grandi consensi oltre la cosiddetta linea gotica come ha messo del resto in evidenza la storia dell'Msi e della stessa An. Invece l'operazione è riuscita alla Meloni perché essa nella sostanza è andata oltre quell'esperienza e si è inoltrata, sia sul piano culturale sia su quello dei riferimenti europei, sul terreno del conservatorismo liberale che, come dimostra anche il recente “Manifesto dei conservatori” scritto da Roger Scruton, è altra cosa rispetto all'ultranazionalismo sovranista e ancor più al post fascismo. In ogni caso, questa posizione strategica della destra va presa sul serio e in parola proprio per costruire un'alternativa. Quindi, al di là delle vicende più strettamente politico-partitiche, a nostro avviso l'unica alternativa possibile e praticabile ai conservatori è proprio quella dei riformatori nelle traduzioni politiche possibili (il riformismo, il laburismo, il liberalsocialismo).
Alla luce di quello che è avvenuto in questi anni, sono in campo tre nozioni di globalizzazione: quella che finora ha prevalso, cioè una sorta di globalizzazione selvaggia e senza regole che ha accentuato gli squilibri economici, sociali e ambientali e due altri tipi di globalizzazione che riteniamo positivi e che possiamo definire la globalizzazione della crescita e la globalizzazione della sopravvivenza che a sua volta si fonda su una serie di scelte: la transizione ecologica dalle energie fossili altamente inquinanti a quelle più moderne e pulite siano esse rinnovabili, elettriche, all'idrogeno. A livello urbano lo smaltimento dei rifiuti richiede un impegno anche educativo per consumi sostenibili per quantità e qualità, l'arresto dello sfruttamento intensivo della terra, dell'avvelenamento dell'acqua e dell'aria. Occorre un'economia circolare per favorire lo smaltimento dei rifiuti attraverso produzione di energia da fonti di calore non inquinanti.
In questo quadro risultano decisivi tre punti di riferimento: l'Europa, il Mezzogiorno d'Italia che deve arrivare a federarsi, il socialismo europeo. A questo punto è fondamentale che oltre all'euro l'Europa da un lato pervenga a una politica economica la più omogenea possibile e dall'altro a una politica estera della difesa comuni. Il riferimento storico rimane quello del Manifesto di Ventotene ma adesso esistono precise ragioni geopolitiche che rendono urgente questa scelta. Per responsabilità della Cina comunista e imperialista e della Russia guidata da una dittatura ultranazionalista e predatoria, dobbiamo fare i conti con una nuova versione della guerra fredda. Essa richiede da un lato l'unità dell'Occidente ma dall'altro l'affermazione di un'Europa unita, alleata degli Usa e dotata di un'autonoma forza politica, culturale, economica e militare. L'Italia deve impegnarsi nella costruzione dell'Europa federale sapendo che in questo quadro sono comunque fondamentali il Mediterraneo e il Mezzogiorno. Il ruolo che il Mezzogiorno d'Italia sta assumendo in Europa, il cui mare Mediterraneo è mare interno, è sempre più strategico, visto che è una via di accesso e di riferimento, collegando la sponda Sud del Mediterraneo ai destini del Vecchio continente. Ragion per cui, il Sud d'Italia non sarà periferico e marginale bensì centrale rispetto alla Penisola e all'Europa. Di qui, la lettura di una Italia mediterranea proiettata verso il futuro in chiave di protagonista nei prossimi decenni. Non si deve dimenticare che il Mediterraneo è l'uno per cento della superficie marina nel mondo, dalla quale passa il venti per cento del traffico commerciale mondiale. Resta il fatto che l'Europa non può fare a meno dell'Italia mediterranea che è circa il cinquanta per cento del territorio attrezzato. Il Mezzogiorno dovrà diventare attore principale nella sua unità, superando campanilismi e regionalismi, rilanciando la sua identità territoriale, economica, sociale, politica e culturale nello Stato nazionale e nell'Unione europea.
In questo contesto occorre federare le Regioni del Meridione, “unificando la programmazione e la gestione di almeno il 50 percento dei fondi Ue e nazionali, in una progettualità interregionale finalizzata all'armatura infrastrutturale del territorio, alla formazione, alle politiche di sviluppo tecnologico e di servizi, con l'obiettivo di realizzare nell'Italia mediterranea la grande piattaforma economica logistica euro-mediterranea”. A tal fine, è esiziale la proposta di legge dell'autonomia differenziata, che mette a rischio l'unità d'Italia e rende irrealizzabile l'Italia federata e il sistema Ue-Mediterraneo. È in questo contesto che va collocato il nostro riferimento al socialismo e al Partito socialista europeo. Il socialismo del ventunesimo secolo è quello che combina insieme socialismo, democrazia, liberalismo. È una scelta valida sia in senso positivo che per la durissima battaglia che va condotta contro gli autoritarismi di opposto segno, di destra e di sinistra, che sono in campo sospinti dal sovranismo e dal populismo. Questa battaglia ha possibilità di successo se è caratterizzata dall'impegno per la crescita sostenibile, per la pace nella giustizia che deriva anche dalla difesa dei popoli aggrediti come l'Ucraina, per riforme che hanno per obiettivo la redistribuzione delle risorse, l'aumento dei consumi pubblici (case, scuole, ospedali) e dei salari.
Intendiamo concludere questa riflessione con alcune osservazioni riguardanti i risultati del congresso del Pd. Il Pd avrebbe potuto avere una possibilità di superare la sua crisi qualora la sua assise fosse stata l'occasione per un grande dibattito fondato su piattaforme alternative e sul conseguente voto degli iscritti. Un confronto fra una posizione di stampo riformista, garantista, europeista e atlantica e una posizione movimentista, radicale e pacifista. Ciò non è avvenuto in modo limpido e chiaro per molteplici ragioni. Un ruolo fondamentale in senso negativo lo ha svolto il meccanismo congressuale. Essendo basato solo sui gazebo sia nella prima fase, quella riservata agli iscritti, sia nella seconda parte, aperta a tutti i cittadini in modo indifferenziato e senza filtro, quel meccanismo non ha mai offerto l'occasione per un confronto argomentato e approfondito su tesi strategiche di segno opposto sia a livello nazionale che a livello locale e quindi si è sempre risolto solo e soltanto in una conta. Ciò ha comunque portato entrambi i candidati di opposta posizione in un caso a sfumarla (Stefano Bonaccini) e nell'altro a mistificarla (Elly Schlein) per ottenere consensi da ogni parte. In secondo luogo, di fatto questo meccanismo congressuale ha espropriato gli iscritti del potere di scelta del segretario. Al di là della contingenza, ciò è avvenuto per la debolezza intrinseca del partito in quanto tale che diversamente dal passato non ha più una struttura interna così solida e riconosciuta da affermare la sovranità dei suoi organi dirigenti e dei suoi stessi militanti su una scelta decisiva quale è quella del segretario. Questo meccanismo, già di per sé perverso, ha consentito che si materializzasse un'operazione politica fondata sulla combinazione di alcuni elementi fra di loro molto diversi. Per di più, a questo meccanismo fondato solo sulla conta, e in ultima analisi sulla conta di una platea indifferenziata e senza alcun filtro, si è aggiunta la facoltà di consentire a una personalità non iscritta al partito addirittura di poter concorrere alla segreteria. Tutto ciò ha consentito la realizzazione dell'operazione politica che ha portato alla elezione della Schlein. In primo luogo, a sostegno dell'assoluta novità, costituita dalla figura stessa della Schlein, si è schierata proprio larga parte di quella classe dirigente che negli ultimi 15 anni ha gestito il governismo del Pd e che era stata messa sotto accusa per la sconfitta del 25 settembre. Come ha dimostrato il risultato del voto degli iscritti, quest'area del partito era ormai largamente minoritaria. Sennonché per il voto aperto a tutti del 26 febbraio sono intervenuti due nuovi elementi risultati decisivi. Anzitutto, come risulta dalle analisi dei flussi, c'è stato, non si saprà mai se spontaneo o organizzato, una quota rilevante del voto grillino. Altro elemento è stato indubbiamente costituito dal ruolo svolto dall'attrazione personale della Schlein che ha ottenuto un vasto consenso di giovani e di donne di orientamento radicale del tutto esterno e anche estraneo alla piattaforma tradizionale del Pd. Infine, un significativo apporto di nicchia è stato quello proveniente dall'Articolo 1 che così è potuto rientrare nel Pd marcando un successo politico.
Il concorso di tutti questi elementi ha fatto sì che il Pd è stato letteralmente rivoltato come un calzino. Quello che era un partito del tutto governista, mezzo riformista, mezzo populista-giustizialista, è diventato un partito movimentista per certi aspetti radicale di massa, con rilevanti interrogativi sulla sua reale collocazione internazionale. Valutiamo che un esito siffatto è del tutto contraddittorio rispetto all'esigenza che noi riteniamo invece fondamentale che è quella di opporre al conservatorismo liberale di Giorgia Meloni, a sua volta solcato da mille contraddizioni all'interno del centrodestra, un'alternativa riformatrice ispirata ai contenuti presenti nella prima parte di questo documento. È evidente che l'esito del tutto imprevisto del congresso del Pd pone enormi problemi sia ai riformisti senza tessera, sia a quelli collocati nel Terzo polo e ancor di più a quelli finiti in minoranza nel Pd. Evidentemente si aprono a questo punto molteplici interrogativi affidati alla dialettica politica del futuro.
Con queste riflessioni e con il convegno ad esse conseguente intendiamo da un lato ribadire che tuttora esiste un'area politico-culturale che si rifà agli ideali e alla storia del socialismo italiano e dall'altro, come abbiamo già affermato, riferirci a tutti coloro di centro e di sinistra i quali ritengono che un'autentica posizione riformista può essere l'unica alternativa al conservatorismo liberale oggi vincente.
Ribadiamo che questo nostro contributo prescinde da ogni riferimento a partiti o correnti di essi.
Firmatari: Fabrizio Cicchitto, Claudio Martelli, Riccardo Nencini, Claudio Signorile, Gennaro Acquaviva, Franz Caruso, Carmelo Conte, Bobo Craxi, Giovanni Crema, Mauro Del Bue, Giulio Di Donato, Ugo Finetti, Umberto Guerini, Ugo Intini, Felice Iossa, Daniela Mainini, Biagio Marzo, Oreste Pastorelli, Enrico Maria Pedrelli, Sergio Pizzolante.
Segnaliamo ai nostri lettori
3) Il Socialismo liberale verso la costruzione di un soggetto riformista unitario
Eppur si muove… (2) anche se necesse decidere direzione di marcia e comitiva…
D'istinto, di fronte al dispiegamento di vecchie glorie (i cui depositi basterebbero e avanzerebbe a risollevare la liquidità di pensiero politico e di talento nell'azione, nei contesti attuali) ci veniva un aggancio ad un aforisma (prepolitico) messo in bocca ad un mostro sacro del cinema mondiale, Catherine Deneuve “decidersi a scegliere, invecchiando, se sciuparsi il sedere o il viso”.
Perché, con tutta franchezza, lo scioglimento del busillis, che pesa sulla testa dei veterans, è una variabile che vari risolta. Per l'accreditamento più che del valore della loro testimonianza della praticabilità del renew.
E perché, con ulteriore franchezza, ci sconcertano, di fronte alla palese avvertibile sovrapponibilità dell'offerta in termini di contenuti e di mission (almeno quelli declinati), ci sconcertano i percorsi separati (per non dire, la plastica idiosincrasia a non convergere).
Stupisce che questa falla (di attendibilità) inizi dai precordi del pannel; in cui si staglia un'inquietante door selection, una poco avveduta "preselezione" dei partner, orientata non si sa se più da risentimenti/rivalità plebee o calcoli di predeterminazione di approdi già senza ritorno e senza alcun spirito di armonizzazione e di convergenza.
Diciamo subito, come deve fare qualsiasi operatore dell'informazione desideroso di impicciarsi in endorsement (come d'altronde è ben noto nel nostro excursus di appartenenza diasporica senza tessera), che i perni della nostra testimonianza socialista non sono conficcati nel modulo militante (la coperta di Linus, con tutto il rispetto, della “ditta”, del nome, del simbolo).
Quella di ultima generazione è decisamente (come da anni scriviamo con severa chiarezza) inguardabile.
A motivo, soprattutto, della palpabile replica in un movimento, che dire lillipuziano è un'esagerazione, di posture, estranee alla tradizione socialista (se non parzialmente e con ben altri stili per il crepuscolo di quarant'anni fa). Che sono il totale venir meno delle prerogative dell'intelaiatura associativa; a partire dal permanente diritto di tribuna per arrivare alle regole di formazione della linea politica e della selezione degli organi dirigenti.
Sono stati questi i motivi che hanno reso molto severo il nostro sforzo ermeneutico delle vicende socialiste (intese del PSI) dell'ultima temperie.
E, diciamolo francamente, non abbiamo motivo, anche alla luce degli ultimi sviluppi, di rettificare i nostri convincimenti.
Va là, verrebbe da abbozzare, sono sempre i soliti socialisti…ricominciano dalle divisioni.
Fatto grave, perché questa reiterazione fa riferimento ad uno sforzo di resilienza, al cui successo concorrerebbe parecchio uno spirito fecondo di armonizzazione e convergenza.
Questo dovrebbe essere l'underground e la guideline della Costituente del socialismo lib lab. Il cui roster, però, nasce, come abbiamo già anticipato, da una poco avveduta "preselezione" dei partners. Ne può essere segnalatore il fatto (ripeteremo ad nauseam) che i "promoters" del forum (e si presume, i prevalent partners della Costituente) abbiano (nella logica del "dire arbitro) stabilito (a loro insindacabile giudizio) il range degli appartenenti al rango di coloro "che hanno condiviso con Craxi, dai tempi del Midas, l'iniziativa politica del Psi", dei continuatori sotto palesi o incerte spoglie della testimonianza associativa ( con esclusioni, come quella della Fondazione Rosselli che andrebbe ragionevolmente spiegata, o con inclusioni, quella della Fondazione Craxi, la cui past Presidente fondatrice siede tra i parlamentari eletti del centrodestra); e, va sans dire, dei players omologati del prosieguo della testimonianza. Parlo per mio conto e per pochi altri (che si riferiscono alla Comunità Socialista Cremonese) e per conto della testa Eco del Popolo virtualmente aderenti, tanto per essere chiari) all'associazione Liberalsocialista: siamo interessati al prosieguo del percorso scaturito dal Forum del 18 marzo. Purché si riaprono, come conviene ad una Costituente veramente liberaldemocratica, i "termini” del diritto di tribuna (singola e/o di rappresentanza associativa), delle regole di partnership e di regia, di, sia pure a larghe linee, traguardo strategico.
Diversamente ognuno per sé e dio per tutti.
Ovviamente continueremo in ogni caso il nostro impegno volto alla più ampia informativa e al più ampio confronto.