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Presentato il libro Cremona e la Grande Guerra di Giuseppe Azzoni

Come da noi più volte preannunciato, si è svolta, presso la Sala Conferenze della Società Filodrammatica Cremonese (g.c.), la Conferenza di approfondimento dell’interessantissima ricerca di Giuseppe Azzoni dedicata al contesto cremonese in cui si dipanò l’intera vicenda delle avvisaglie dell’entrata in guerra dell’Italia e dello scontro tra le opposte fazioni.

  23/12/2018 12:34:00

A cura della Redazione

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L’ECOSTORIA Presentato il libro Cremona e la Grande Guerra di Giuseppe Azzoni

Come da noi più volte preannunciato, si è svolta, presso la Sala Conferenze della Società Filodrammatica Cremonese (g.c.), la Conferenza di approfondimento dell’interessantissima ricerca di Giuseppe Azzoni dedicata al contesto cremonese in cui si dipanò l’intera vicenda delle avvisaglie dell’entrata in guerra dell’Italia e dello scontro tra le opposte fazioni.

Azzoni ha filtrato il confronto-scontro da un’accuratissima rivisitazione della stampa locale.

La conferenza, coordinata dalla giornalista de La Provincia, Barbara Caffi, si è articolata nel confronto tra l’autore ed il prof. Gian Carlo Corada, Presidente dell’A.N.P.I., associazione che ha patrocinato la stampa del volume ed, insieme con la Società Filodrammatica e l’Associazione Zanoni, ha allestito l’evento, per inciso, ben partecipato e coinvolgente.

Barbara Caffi, giornalista oltre che autrice di indovinati approfondimenti di storia cremonese del 900, nell’introdurre la discussione, ha enucleato il panorama in cui si snodarono le vicende. In un contesto di accese contrapposizioni, durate tutto il quadriennio e destinate a perdurare oltre.

Se è vero, come vero è, che l’Italia, come su molte altre questioni nodali, non arriverà mai ad una memoria condivisa sulle ragioni e sulle conclusioni del primo conflitto mondiale.

Corada ha esordito giudicando “Cremona e la Grande Guerra sulla stampa locale 1914-1918” un' opera preziosa. Una miniera di informazioni. Ancora una volta Giuseppe Azzoni ci dona il frutto di un lavoro minuzioso ed accurato, una ricerca che porta ulteriore luce su di una storia locale che solo locale non è. Per la rilevanza nazionale dei protagonisti, anzitutto. Non solo Miglioli e Farinacci, beninteso: basti pensare che ad un certo punto, nel corso della guerra, i Ministri cremonesi furono addirittura tre (Ettore Sacchi, Leonida Bissolati e l'oggi quasi sconosciuto Giovanni Villa, che fu anche Vice-Presidente del Consiglio). E per le vicende stesse, che sono lo specchio di quelle nazionali, ma con alcune specificità. Una ricerca che altri potrà approfondire, ma che già ha una sua compiutezza, un valore in sé e per sé. Una ricerca che ci fornisce molte e nuove informazioni su un periodo fondamentale per il nostro Paese.

Azzoni analizza le vicende nazionali e cremonesi attraverso la stampa locale, dal 1914 al 1918. A Cremona in quegli anni uscivano due quotidiani (“La Provincia. Corriere di Cremona”, di orientamento liberale moderato, e “L'Azione”, battagliero giornale migliolino, che diventa bisettimanale negli ultimi tempi della guerra) e due settimanali (“L'Eco del Popolo”, organo della Federazione Socialista, e “La Squilla”, settimanale dei socialisti “autonomi”, sempre più egemonizzato da Farinacci e da quelli che poi saranno i fascisti). “La Provincia” e “La Squilla” favorevoli all'intervento in guerra dell'Italia, gli altri due contrari. Tutt'e quattro affrontano senza timori le divergenze interne ai rispettivi schieramenti. “La Squilla” è il giornale che ha meno problemi: sempre a favore dell'intervento in guerra dell'Italia, polemico con la maggioranza del Partito Socialista e con precisi riferimenti nazionali. “La Provincia” prende quasi subito le distanze da Giolitti e dagli altri liberali contrari alla guerra e sarà sempre coerentemente interventista, anche se quasi sempre meno sguaiatamente de “La Squilla”. Sono soprattutto “L'Azione” e “L'Eco” a dover gestire i difficili contrasti interni alle aree, rispettivamente, cattolica e socialista.. “L'Azione” a volte cerca di nascondere le divergenze all'interno del mondo cattolico, fra favorevoli e contrari alla guerra, ma più spesso espone esplicitamente le posizioni pacifiste, soprattutto dopo l'appello del Papa a porre termine “all'inutile strage”. “L'Eco”, all'inizio soprattutto, è in difficoltà: difficile tenere insieme il no alla guerra espresso dalla maggioranza del Partito Socialista con il rispetto delle Istituzioni ed il patriottismo che avevano caratterizzato il socialismo cremonese. Bissolati, i socialisti “riformisti”, i socialisti autonomi sono favorevoli all'entrata in guerra a fianco dell'Intesa. Dopo Caporetto anche Turati sarà a favore di una “grande intesa nazionale” per vincere la guerra. Ma i socialisti cremonesi ed il loro giornale saranno sempre fermamente contro “l'orgia che ottenebra anche intelletti superiori”.

Azzoni segue i quattro giornali si può dire mese per mese. Nell'impossibilità di fornire ai lettori una sintesi, mi limiterò ad enunciare alcuni degli aspetti che mi hanno particolarmente colpito.

Anzitutto mi ha colpito la violenza del linguaggio, anche nei confronti delle singole persone. Chi si lamenta (e giustamente) per il linguaggio offensivo di oggi, specialmente sui social, dovrebbe leggere gli articoli di quegli anni! L'osservazione vale un po' per tutti i giornali, ma si distingue per virulenza “La Squilla”. Vittima prediletta l'onorevole Guido Miglioli: “austriacante”; “non ha potenza d'intelletto, è ambiziosissimo e si adira”; “alla cloaca!”, “turpe disfattista”, “il rettile di Soresina”, “vile vipera nefanda”, “sputacchiatelo!” ecc. Soffro anche solo a riportare tali infamie! Nel dicembre del '17 Miglioli, in seguito anche a questa campagna denigratoria, viene aggredito e malmenato a Roma ed a Cremona (bisogna “rendergli irrespirabile l'aria di Cremona” scrive Farinacci). Nel processo che seguirà, gli aggressori verranno vergognosamente assolti! A poco a poco i due giornali interventisti accentuano la polemica contro socialisti e cattolici in generale ed arrivano ad invocare la repressione più dura: “occorre spazzare dalla circolazione” questi “nemici dell'Italia”; impedire le loro “conferenze clandestine”; sopprimere la “stampa disfattista”. Questa polemica a Cremona prosegue, e forse cresce, anche dopo Caporetto, in contrasto con i continui appelli alla concordia da parte delle Autorità nazionali. Anche un uomo come il cremasco generale Fortunato Marazzi, protagonista della conquista di Gorizia, viene bollato come traditore e disfattista per aver sostenuto che la rotta di Caporetto non era responsabilità dei soldati ma dei vertici militari e politici!

Tutto ciò è sorprendente prova (ed è il secondo aspetto che mi colpisce) dell'ottundimento dell'intelletto anche di persone che appena qualche lustro prima si erano battute per le libertà politiche ed i diritti civili. È ad esempio il caso del radicale Ettore Sacchi, Ministro della Giustizia nel Governo Boselli. Sacchi emana il 4 ottobre 1917 un decreto col quale si punisce “chiunque commette o istiga a commettere un fatto che può deprimere lo spirito pubblico o altrimenti diminuisce la resistenza del Paese o reca pregiudizio agli interessi connessi con la guerra”. Praticamente ogni pur tenue atto di critica alla guerra è perseguibile! Ed infatti i processi si susseguono, i giornali escono con intere colonne bianche perché censurati e la vigilanza poliziesca è occhiuta e pervadente. Cremona, poi, è dichiarata “zona di guerra” (con un ospedale di guerra, ben funzionante a quanto pare, e presidi sanitari in molti paesi della Provincia) e quindi le norme sono ancor più restrittive. Il Tribunale Speciale di Guerra (nel '18 trasferito a Piacenza e poi di nuovo a Cremona) tiene tantissime udienze e pronuncia numerosissime condanne: per renitenza alla leva e diserzione, autolesionismo, falsificazione di documenti, abbandono del posto di combattimento, rifiuto di obbedienza; ma anche per furto, oltraggio, grida sediziose, insulti, simulata pazzia. Condanne ad anni e anni di prigione o manicomio ed anche all'ergastolo (le fucilazioni erano più frequenti al fronte e nelle immediate retrovie). Nonostante questo, l'opposizione alla guerra si fa sentire e trapela dalle cronache dei giornali. Le donne, protagoniste in quegli anni perché sostituiscono gli uomini nel lavoro, sono le prime a protestare. Ed i giornali ne danno notizia, seppure da posizioni contrapposte.

Mi colpisce, infine, nei giornali interventisti e nella propaganda ufficiale, l'incredibile enfatizzazione dei successi militari e la minimizzazione delle sconfitte, fino a quando devono ammettere la disfatta di Caporetto (ma allora la colpa sarà dei soldati vigliacchi e disertori). La guerra è “santa”, le mogli sono sempre orgogliose dei mariti in guerra, gli ufficiali impareggiabili, i soldati fieri di aver lasciato mogli, figli, genitori ammalati! “ 'Savoia!' è ovunque un grido di gioia!” Persino il primo apparire di una terribile epidemia, la cosiddetta “Spagnola”, è minimizzato. E le sofferenze dei prigionieri italiani solo colpa dei carcerieri austriaci (con un retropensiero che ogni tanto fa capolino: molti se la son voluta, consegnandosi spontaneamente ai nemici). Oggi che sappiamo come erano veramente le cose, non possiamo che indignarci per una tale deformazione della realtà. Eppure, al di là della retorica e della censura, i problemi sociali ed economici sono presenti nelle pagine dei giornali. Con letture diverse, ovviamente, secondo l'orientamento dei giornali. I generi di prima necessità sono razionati, salari e stipendi inadeguati al crescente costo della vita, le requisizioni nelle campagne per l'approvvigionamento dell'esercito mal tollerate, gli sfratti sono all'ordine del giorno. E così riprendono le lotte sociali un po' in tutta la provincia. Per il pane cattivo, per l'assenza di carne, riso, zucchero; contro le speculazioni sul fieno, l' accaparramento e l' imboscamento di prodotti. Lotte criticate dai giornali interventisti e sostenute dagli altri. I primi esaltano la solidarietà cremonese nei confronti di feriti, mutilati, famiglie povere. I secondi, pur non lesinando lodi per la solidarietà dei cremonesi, invocano una tassa sui ricchi ed apprezzano l'amministrazione comunale socialista che apre spacci suoi ed aumenta la Sovrimposta su terreni e fabbricati per assistere meglio i bisognosi. Le polemiche si accendono sulle vaghe promesse del Governo, accentuate dopo Caporetto, di dare la terra ai contadini. L' “Eco” propone di farlo subito: espropriare le terre incolte, unire quelle di proprietà pubblica in un unico Demanio ed assegnarle a chi le coltiverà. Addirittura propone di organizzarsi già in cooperative per essere pronti al momento dell'assegnazione. L' “Azione” va anche oltre: compartecipazione dei braccianti alla gestione delle aziende. I due giornali interventisti pongono molti distinguo. “La Provincia”: giusto premiare chi ha ben meritato in guerra e “favorire il formarsi della piccola proprietà”, ma “senza danno della grande proprietà”. “La Squilla”: “la terra ai contadini” sì, ma limitatamente alle terre incolte e con equo indennizzo ai proprietari da parte dello Stato. Vi sono tutte le premesse per lo scontro sociale del dopo-guerra!

Gli esiti dello studio di Azzoni, quindi, confermano quanto l'indagine storica degli ultimi decenni ha ormai appurato: la guerra, non voluta e non capita dalla maggioranza della popolazione, portò lutti e rovine a tutti e soprattutto alla povera gente. Ai soldati in trincea ed alle famiglie a casa. Soldati provenienti in massa dai tanti paesi agricoli che erano allora l'ossatura portante della nostra provincia e del nostro Paese. Famiglie spesso costrette all'indigenza assoluta (soprattutto nel 1917, “l'anno della fame”). Nelle campagne le requisizioni di generi alimentari per approvvigionare l'esercito, pur retribuite, creavano ulteriori difficoltà. Nelle trincee i soldati soffrivano, letteralmente “marcivano” per il fango e l'umidità, morivano in massa o restavano feriti o ammalati. Di non migliore sorte godevano i nostri soldati caduti prigionieri del nemico. Furono circa 600.000 i prigionieri italiani (300.000 dopo Caporetto), 100.000 dei quali morirono per fame o malattia. Ed indigna che il Governo italiano, in piena intesa con il Comando militare, abbia considerato traditori, o quasi, i prigionieri e non abbia inviato aiuti ufficiali, non vedendo positivamente persino l'invio di quelli privati e della Croce Rossa. A differenza di quanto fatto dagli altri Paesi in guerra (gli U.S.A. addirittura prima di entrare in guerra predisposero in Svizzera montagne di vestiti, medicine e viveri per i futuri, eventuali prigionieri!). Oltre ai prigionieri, ai morti, agli invalidi, moltissimi furonogli “scemi di guerra”, che riempirono i vari manicomi spesso per lunghi anni o per tutta la vita. Le guerre sempre creano anche drammi di questo tipo (ad esempio, molti cronisti del tempo riportano il gran numero di “impazziti” dopo Adua), fenomeno assolutamente sottovalutato, con poche eccezioni, anche dagli storici. I loro nomi non sono compresi nell'Albo d'Oro ufficiale dei Caduti. Neppure sono compresi i nomi di coloro che morirono per malattia subito dopo il novembre del 1918. Né sono compresi i nomi dei fucilati e dei condannati. Sarebbe ora di rendere omaggio indistintamente a tutte le vittime della Grande Guerra, comprese donne, anziani e bambini. In un mondo come il nostro, malato di presentismo (ciò che conta è il presente, che non ha radici né futuro, quasi fosse un fungo) ricordare i dolori, i lutti e le colpe della guerra, e di conseguenza formulare certe proposte, è cosa buona e giusta, direbbero gli antichi, “santa” davvero. Aiuta anche a non far ripiombare l'umanità nel baratro degli orrori passati.

L’autore Azzoni ha esordito rilevando l’importanza riconosciuta dalla stampa locale, sin dalle premesse, alla Grande Guerra; di cui per quattro anni ha fornito un’informazione dettagliata. D’altro lato, andrebbe osservato che tale importanza ha come interfaccia la circostanza rappresentata dal fatto che la politica cremonese esprime, durante il conflitto, ben due ministri nel governo nazionale. Di cui, uno, Ettore Sacchi, patron di una delle quattro testate operanti nel periodo.

Una corrente dell’interventismo giustifica la propria adesione alla guerra alla luce del proposito di sconfiggere gli imperi centrali fomentatori permanenti delle guerre. La corrente incline al nazionalismo più sfrenato postula la partecipazione alla guerra come opportunità per sottrarre l’Italia da un destino di nazione di secondo rango.

L’interventismo bissolatiano parte, invece, dal presupposto di pervenire all’autodeterminazione dei popoli; senza che ciò preluda ad un assetto post-bellico prevalentemente basato sull’annessionismo.

Ciò, sia pure frettolosamente considerato, fa giustizia del pervicace tentativo da parte dell’interventismo fascista ed in particolare farinacciano di iscrivere d’ufficio la figura e la testimonianza nel pantheon dei padri proto-fascisti.

Come appare del tutto priva di riscontri fattuali la vulgata delle origini socialiste dell’ “onorevole tettoia”. I cui incroci con il socialismo sono tutta più riscontrabili, come osservarono gli storici Ugoberto Alfassio Grimaldi e Bozzetti, nella circostanza del matrimonio riparatore con la figlia di un pasticcere (questo sì socialista), che l’avevano sfamato.

A questo fronte interventista significativamente diviso si contrappose un neutralismo, articolato tra le testimonianze dei socialisti e dei cattolici.

Il campo socialista, al netto del tributo all’interventismo cosiddetto democratico, è maggioritariamente orientato in senso pacifista. Nel Paese, come a Cremona, la testimonianza contraria sarà molto forte nella fase della non belligeranza. Continuerà dal 1915 al 1918, periodo nel quale i socialisti, pur continuando l’opposizione alla guerra, daranno luogo ad un costante comportamento, ispirato dal motto di Costantino Lazzari “non aderire e non sabotare”.

Nell’aspettativa di una rapida conclusione del conflitto il neutralismo socialista non farà mai mancare, soprattutto ad opera delle amministrazioni municipali sortite dalle elezioni locali del 1914, la cooperazione del fronte interno. Per lenire le sofferenze e la miseria dei combattenti e delle loro famiglie. Per contrastare, esaltando il coraggio e l’eroismo dimostrati nella guerra di trincea, una gestione autoritaria, irresponsabile e, tutto sommato, incompetente che punta ad imputare all’esercito di popolo le proprie tragiche manchevolezze.

Il socialismo cremonese, obiettivamente indebolito dal passaggio del suo fondatore Bissolati (verso cui non nutrirà, pur nelle differenze, alcun rancore), terrà, ha osservato Azzoni, ben dritta la barra. Esalterà l’eroismo dei combattenti, si opporrà alle immotivate decimazioni, ma ostacolerà il fenomeno delle diserzioni.

In ciò si troverà poco distante dal Bissolati ministro, che opererà fattivamente per archiviare il comando di Cadorna, per restituire l’onore ai veri autori del capovolgimento delle sorti del conflitto, per assistere le centinaia di migliaia di prigionieri privati di ogni genere di sussistenza, oltre che dell’onore. L’infamia durerà oltre la conclusione della guerra; quando su di loro peserà un ingiustificato pregiudizio. Che, nonostante un incongruo perdono della patria, suona ancora come una diserzione rispetto all’obbligo di rendere onore a migliaia di combattenti, ingiustamente colpevolizzati.

 

 

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