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Incontro al Filo: ‘Tortura’ di Mimmo Franzinelli, occasione per ulteriori approfondimenti

Riteniamo utile fornire una sintetica nota di cronaca dello svolgimento e delle relazioni della conferenza, occasionata dalla presentazione a Cremona dell’ultimo impegno editoriale dello storico Mimmo Franzinelli. Gli interventi di BARBARA CAFFI, GIANCARLO CORADA e FRANCO VERDI

  20/04/2018

A cura della Redazione

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L'iniziativa, come si ricorderà, rientrava nella rassegna Filo-libri ed ha visto l'attiva collaborazione dell'Associazione Emilio Zanoni, della testata L'Eco del Popolo, dell'ANPI e dell'Associazione Partigiani Cristiani.

La sala riunioni della Società Filodrammatica, annessa al Circolo ed al Teatro, ha accolto un discreto ed attento pubblico; tra cui il presidente dell'Associazione Zanoni, Clara Rossini, il Presidente della Società ospitante, Giorgio Mantovani, il sen. Angelo Rescaglio e Graziano Bertoldi dell'Associazione Partigiani Cristiani, il prof. Montuori, Mariella Laudadio, Giuseppe Azzoni, Ennio Serventi, Evelino Abeni dell'ANPI.

Molto apprezzato è stato, in apertura, il contributo di inquadramento del saggio, da parte dell'autore Franzinelli, sia rispetto al significato della tortura come uno degli strumenti con cui si esplicitò la fase finale del secondo conflitto sia rispetto all'indirizzo metodologico che ha orientato la ricerca.

Dei contenuti del lavoro abbiamo dato ampio conto nella recensione con cui abbiamo presentato l'evento.

Ci appare significativa l'esortazione del professor Franzinelli ad individuarne una delle cause principali degli attuali smarrimenti, più che nelle persistenze neofasciste, in malaugurati smottamenti nella tenuta democratica.

Di seguito riportiamo una sintesi degli apprezzati interventi dei relatori.

Barbara Caffi, giornalista de La Provincia ed autrice della ricerca su Villa Merli

L'ultimo saggio di Franzinelli si intitola esplicitamente Tortura. Storie dell'occupazione nazista e della guerra civile (1943-45) e, pur senza cadere nel morboso voyeurismo, non nasconde nulla delle infite sevizie fisiche e psicologiche perpetrate negli ultimi due anni di guerra, i più crudeli. Come i precedenti volumi di Franzinelli, anche questo lascia parlare documenti, testimonianze ed atti processuali, offrendo prove inoppugnabili. Il libro è un rosario dolente e doloroso di di nomi, fatti e circostanze che raccontano i metodi più sporchi degli apparati polizieschi che cercarono di soffocare la resistenza antifascista. Nei mesi della Repubblica di Salò, la tortura era parte integrante ed istituzionalizzata della lotta ai movimenti partigiani: torturavano i poliziotti, i componenti degli uffici politici investigativi, i membri dei reparti speciali. Torturavano i tedeschi, ma soprattutto le polizie fasciste repubblichine. Spesso i torturatori sconfinarono in un sadismo ed in una crudeltà ingiustificati, probabilmente frutto di pregresse patologie psichiatriche. In molti altri casi, prevalse invece prevalse quella “banalità del male” che Hanna Arendt riscontro in Adolf Eichmann, tra i maggiori responsabili dello sterminio degli ebrei: una divisa, un'ideologia distorta e l'ebbrezza trasformarono migliaia di uomini (e non poche donne) in inquisitori crudeli. Franzinelli sfata il mito resistenziale del partigiano eroe, che subisce sevizie di ogni sorta senza rivelare nulla. Nella realtà, furono in tanti a cedere, provocando arresti e delazioni forzate a catena. Il libro di Franzinelli fa luce su altri due aspetti, spesso sottaciuti,. Innanzitutto, svela le violenze sessuali, sovente efferate, subite dalle partigiane, che di rado ebbero il coraggio di denunciare gli stupri e che furono spesso stigmatizzate e colpevolizzate anche in ambito famigliare. Il fatto stesso di uscire dalla cerchia parentale per aggregarsi a gruppi clandestini venne visto come una colpa, come se torture e stupri se li fossero andati a cercare. Valse per le staffette, per le combattenti, per chi si era limitata ad appoggiare e nascondere uomini, armi e documenti. Valse anche per le donne vittime di stupri da parte degli eserciti liberatori: il caso più eclatante fu quello delle “marocchinate” del Basso Lazio. Il saggio di Franzinelli infine non nasconde un'altra pagina cupa della storia italiana: le torture inflitte ai fascisti (di rado ai tedeschi), uomini e donne travolti da una furia vendicativa non voluta dai vertici della Resistenza che nei giorni a cavallo della Liberazione trasformarono alcuni partigiani in carnefici.

Giancarlo Corada, presidente dell'ANPI

L'ultimo libro di Mimmo Franzinelli, “Tortura”, va letto con calma, superando la vera e propria angoscia che certe pagine procurano. È un libro importante, documentatissimo (come sempre i lavori di Franzinelli), che approfondisce un argomento delicato come quello della tortura nel biennio!943-45.

Che cosa aggiunge di nuovo, questo libro, a quanto già si conosceva? Tanto. Per esempio che, contrariamente ad una opinione diffusa, furono pochi a resistere fra i torturati. Pochi veramente eroici che, sottoposti a sevizie inenarrabili, rifiutarono per giorni di parlare, di fare i nomi di compagni e sostenitori. Alcuni, per paura di cedere, tentarono il suicidio, talvolta riuscendoci. Molti crollarono e rivelarono nomi di persone e di luoghi, tanto da far cadere nelle mani di fascisti e nazisti decine e decine di patrioti o simpatizzanti. Chi cedette venne giudicato assai severamente dalla Resistenza; in alcuni casi anche condannato a morte. Eppure io credo si debba andar cauti nel giudicare, specialmente dopo aver letto la descrizione delle feroci torture cui venivano sottoposti i prigionieri. Ognuno si chieda che cosa avrebbe fatto in quelle condizioni! Già resistere un giorno o due, per dar modo ai compagni di fuggire, era atto di grande eroismo.

Altra opinione diffusa è che a torturare fossero soprattutto i tedeschi. In realtà non fu così e Franzinelli lo dimostra. Certo i tedeschi (specie le SS) furono i principali protagonisti dei rastrellamenti e delle violenze conseguenti. Ma nelle città furono soprattutto i fascisti ad operare! A volte in stretta collaborazione con i tedeschi, come a Roma, a volte da soli. Si scatenarono gli istinti più bassi e violenti.

Vi furono casi, dice ancora Franzinelli, di torture anche da parte di partigiani. Ma vi sono differenze enormi. Anzitutto per dimensione: numeri piccoli rispetto alle migliaia di vittime dei fascisti. La differenza principale però non è questa. La differenza principale sta nel fatto che la tortura dei fascisti era, per così dire, una tortura istituzionalizzata: praticata cioè da “tutori dell'ordine” (in alcuni casi direttamente da questori e prefetti) e giustificata dalle più alte autorità per debellare i ribelli. La tortura fu, invece, subito condannata e vietata dal CLN; condanna ripetuta diverse volte nel corso dei mesi, anche nei momenti più terribili. Una condanna morale. Come a dire: “noi siamo diversi dai fascisti anche in questo e la popolazione ci sostiene anche per questo”. Vi furono anche delle punizioni nei confronti di partigiani che volevano restituire pan per focaccia.

Un ultimo aspetto desidero sottolineare, fra quelli che Franzinelli fa emergere. Salvo alcune condanne subito dopo la Liberazione (ed alcuni episodi di linciaggio e vendette da parte di amici e parenti dei torturati), la gran parte dei responsabili la fece franca. Nel giugno del 1946 l'amnistia promossa dal Guardasigilli Palmiro Togliatti escludeva dalla stessa i responsabili di violenze “particolarmente efferate”. La genericità del concetto permise a molti magistrati interpretazioni particolamente benevole nei riguardi dei torturatori. Vennero esclusi, ad esempio, tutti i casi di stupro. D'altronde, fino a pochi anni fa lo stupro era un reato contro la morale e non contro la persona! E tante altre violenze vennero derubricate. Così, nel giro di poco tempo responsabili di atroci violenze tornarono liberi, mentre cominciarono i processi a diversi partigiani. Già in un suo precedente libro, “Il Tribunale del Duce”, sul Tribunale Speciale, Franzinelli aveva sottolineato come giudici responsabili di condanne a morte e di centinaia di condanne alla prigione ed al confino, dopo la Liberazione, nel giro di poco tempo, fossero tornati a fare i giudici o comunque i pensionati di lusso. Lo stesso accadde a molti torturatori, uomini e donne. In tanti casi tornò la classe dirigente di prima! Il non avere fatto fino in fondo, in modo legalitario ed equo ovviamente, i conti con la nostra storia, è a mio avviso, causa di alcuni dei mali del presente. Anche per questo il libro di Franzinelli è assolutamente da leggere.

Franco Verdi, vicepresidente dell'Associazione Partigiani Cristiani

In rappresentanza dell'ANPC di Cremona porto l'adesione a questa provvida iniziativa culturale, in prossimità del 25 aprile, con la presentazione del libro “Tortura” di Mimmo Franzinelli, ottimo storico che torna a Cremona per condividere i frutti preziosi della sua fatica di ricercatore e di studioso. Non ho ancora letto il saggio in oggetto – mi riservo di farlo – ma la nozione sommaria desunta dai materiali di presentazione e dall'accurato e puntuale intervento introduttivo del prof.Corada mi consente di dire che trattasi di pagine di drammatica evidenza in cui si racconta, del biennio 1943-45, la guerra “sporca” dei reparti collaborazionisti che arrivano a compiere sevizie di ogni genere. Nello scontro totale il valore della vita si degrada fino a perdere di significato. Si racconta anche che seppure in versione isolata anche i partigiani ricorsero alla tortura. E questa è la pagina più nera della Resistenza, il suo lascito peggiore anche se, va detto, le torture inflitte dai partigiani violarono le norme diramate dal CNL. Per comprendere un periodo così drammatico della nostra storia, Franzinelli è convinto che si debba intraprendere un viaggio nell'orrore e guardarlo in faccia, anche per imparare a riconoscere i meccanismi oscuri dell'animo umano.

Infine due pensieri, due riflessioni, due memorie per ambientare questo evento.

La prima è tratta dalla mia storia famigliare con gli echi di una narrazione legata alla figura del parroco di S.Ilario, don Giuseppe Piazzi, futuro vescovo di Bergamo, che nell'aprile 1945 fu costretto in detenzione, per aver soccorso un ferito, a Villa Merli, il luogo simbolo della tortura fascista a Cremona.Un ricordo terribile di una vicenda che toccò in profondità la vita della comunità parrocchiale, dalle cui file provennero molti giovani resistenti e, dall'Azione Cattolica, i due martiri della Val d'Arda, Carlo Gilberti e Lorenzo Gastaldi.

La seconda riflessione riguarda la verità della Storia per la quale è possibile ricorrere al passato per fondare un'identità collettiva. Questa verità permette di assumere la complessità e la contraddizione senza rimanerne schiacciati, di accettare il conflitto tra punti di vista senza rendere totalizzante una prospettiva e senza mancare di rispetto alle vittime. E ingaggiare revisionisti e negazionisti su questo piano smascherando le loro intenzioni.Per dischiudere a quel passato la sua capacità di generare futuro, l'evento che fonda un'identità collettiva non può essere oggetto di una rievocazione protocollare, ma deve aprirsi in modoche la sua verità possa rappresentare la base di nuove relazioni. Il suo valore dovrà essere reso riconoscibile anche a chi non l'ha vissuto in prima persona- ormai la maggioranza della popolazione – in modo da risultare accogliente e inclusivo per tutti, anche per chi è arrivato da poco nel nostro Paese, portandosi dietro un passato diverso, ma che può risuonare con il nostro. Scoprire ciò che lega oggi le nostre memorie, articolandone le differenze, è la sfida che le ricorrenze storiche ci ripropongono ogni anno.

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