Tra pochi giorni ricorrerà l’anniversario (125°) della nascita di Don Primo Mazzolari (Cremona, 13 gennaio 1890 – Bozzolo, 12 aprile 1959), convenzionalmente identificato per un lungo periodo con “il curato di Cicognara”.
Una definizione, intrigante ed efficace. Ma, senza nulla togliere alla ridente località capitale delle manifatture in saggina, un po’ riduttiva; sol se si pensi all’autorevolezza degli sviluppi della testimonianza, religiosa e civile, partita da lì, da quel livello basico del ministero sacerdotale.
“Nell'Italia del Primo Novecento don Mazzolari decide di non ritirarsi all'ombra del campanile di Bozzolo, nella Bassa Padana, ma di partecipare con convinzione al travaglio storico del Suo Paese”: niente di più incisivo di questa definizione incipitaria dell’home page della Fondazione a lui dedicata, si sarebbe potuto mettere a punto per una congrua sintesi del profilo, destinato alla conoscenza ed all’approfondimento dei contemporanei e dei posteri.
Una sintesi, che, così posta, risponde convenientemente all’impulso di rivisitazione da parte sia dei credenti quanto dei laici.
Non è difficile rendere merito, alla Fondazione ed al variegato associazionismo, del costante impegno, con cui, attraverso la preservazione e la fruizione delle fonti, l’editorialistica, la convegnistica, una figura, così ricca e articolata, si sia potuta indagare in profondità, in questi decenni.
Tal che la “Tromba dello Spirito Santo della Bassa Padana “, adeguatamente studiata ed approfondita, ha fornito edificanti spunti sia per i percorsi di fede sia per le testimonianze civili.
Va anche aggiunto che, di recente, in occasione del 53° dalla scomparsa, il vescovo di Cremona, monsignor Dante Lafranconi, ha annunciato la volontà di avviare la procedura di beatificazione. Una procedura né breve né poco complessa; dei cui esiti sarebbe molto prematuro dire.
Inequivocabilmente, tale annuncio costituisce, di per sé stesso, una clamorosa discontinuità nelle valutazioni ecclesiali, nei confronti del ministero sacerdotale e della testimonianza, latu senso, di Mazzolari; sol se si pensi agli ostracismi ed alle emarginazioni inflitti, praticamente durante tutto il suo percorso.
Le misure afflittive e limitative, come si ricorderà, furono applicate sia all’impegno pubblicistico sia all’esercizio pastorale. Ne citiamo alcune.
Il cardinale metropolitano Schuster, nel 1951 sconfessò la rivista bimensile “Adesso” da lui fondata e ne proibì la predicazione fuori diocesi. Nel 1954, il Santo Uffizio circoscrisse la facoltà di predicazione alla parrocchia di Bozzolo ed il vescovo cremonese Bolognini, interprete delle direttive del Santo Uffizio, gli proibì di “scrivere e di dare interviste su materie sociali”.
Che tali restrizioni non abbiano inciso sulla serenità del prete e dell’uomo è facilmente deducibile da alcuni passi del testamento, vergato il 4 agosto 1954: “Nei tempi difficili, in cui ebbi la ventura di vivere, un’appassionata ricerca sui metodi dell’apostolato è sempre una testimonianza d’amore, anche quando le esperienze non entrano nell’ordine prudenziale e pare non convengano agli interessi immediati della Chiesa (…) Richiamato o ammonito per atteggiamenti o opinioni non concernenti la dottrina, ottemperai con pronto ossequio.
Se il mio franco parlare in problemi di libera discussione può aver dato scandalo: se la mia maniera di obbedire non è parsa abbastanza disciplinata, ne chiedo umilmente perdono (…)”.
Ma, Mazzolari, a dispetto della mordacchia e degli ammonimenti, non avrebbe cessato di propugnare le proprie idee; anche quando queste, essendo troppo anticipatrici, producevano, al di là delle intenzioni, un effetto urticante sull’ufficialità.
“Se i cristiani vogliono trovare la soluzione al conflitto sociale mediante la categoria del ‘politico’ non hanno che la strada dell’incontro – la semplice apertura non basta – con i socialisti, perché le altre strade o sono già note o troppo ignote”.
Un po’ troppo, anche per l’incipiente transizione dall’oscurantismo pacelliano ai presentimenti di una Chiesa Conciliare, i cui massimi testimoni, Roncalli e Montini ne avrebbero stabilito la riabilitazione. Postuma e mitigata; come si conviene alle tecniche motorie, pendolari e plumbee, di madre-chiesa.
Il bresciano Papa “intellettuale” avrebbe, infatti, detto di lui “aveva il passo lungo e noi si stentava a stargli dietro”.
Da indefettibili non credenti, non facciamo fatica, però, a segnalare, nella riconsiderazione ecclesiale dell’apostolato mazzo lariano, curiosi parallelismi ed evidenti contraddizioni.
Intanto, ancorché la canonizzazione della ieratica figura di Pacelli resti, nonostante le contorsioni delle correnti tradizionaliste, tuttora al palo, è stato beatificato quell’ Ildefonso Schuster, braccio operativo dei provvedimenti afflittivi contro il curato di Cicognara. Pur volendo evitare clamorosi inciampi su materie per noi inappropriate (in cui incolse, ad esempio, la pretesa di Peppone di fornire, in materia agiografica, consigli al vescovo di Reggio Emilia), non possiamo non annotare il focus delle motivazioni per l’elevazione agli altari di Schuster. Quali sono estrapolate dal discorso pronunciato da Giovanni Paolo II il 13 maggio 1996 in occasione della beatificazione “il Beato Alfredo Ildefonso volle che la sua vita fosse consumata dallo zelo pastorale, espresso in molteplici forme e modalità.”
Per la cronaca, Mazzolari arrischia, appunto, di finire all’onore degli altari insieme a figure compatibili (Giovanni XXIII e Paolo VI) e ad altre, forse un po’ controverse (almeno per noi) e, comunque, imparagonabili con il suo percorso.
Non siamo, si ripete, i più indicati ad intervenire in materia. Ma si sa, i disegni della Chiesa, specie in contesti, come gli attuali, inclini a non rifuggire dai vantaggi dei dividendi mediatici, restano imperforabili per i profani. Che si limitano a prendere atto dell’impulso a trattenere anche gli opposti nei format della fede con un bel “todos Caballeros”.
E non sappiamo, anche se possiamo immaginarlo, quanto risulterebbe di gradimento del curato della Bassa.
Sia come sia, il prosieguo della procedura sta attivando un’ulteriore visitazione del profilo biografico; anche per gli aspetti, come segnala il bel contributo del sen. Valter Montini apparso qualche giorno fa sul quotidiano La Provincia sotto il titolo “Le giornate randagie”, non del tutto canonici, ma non per questo secondari per una compiuta percezione del protagonista.
Diversamente, come sta purtroppo avvenendo, la figura è suscettibile, a forza di essere, se non proprio arbitrariamente almeno, questo sì, per alcuni aspetti, non del tutto convenientemente, tirata da tutte le parti, di divenire una sorta di patchwork totemico; a servizio di catto-comunismi, pacifismi, internazionalismi solidali.
Per chi scrive (e per la ragione più volte dichiarata) il protagonista di un percorso esistenziale, purtroppo breve e terminato in uno scenario inconcluso dal punto di vista delle grandi questioni, religiose e politiche, cui si era applicato, arrischia di finire sminuito da un uso inappropriato e strumentale a scopi non dichiarati ma intuibili. Quali la pre-costituzione di un larario nobile per militanze più o meno coerenti con la sua figura.
Che, almeno per noi, in Mazzolari sia il prevalente profilo politico-sociale non vediamo molti elementi di contesa.
Da questo punto di vista rimandiamo i lettori agli allegati: il capitolo 5.5.1, titolato “quando la tromba dello spirito santo steccò” del libro “Il socialismo di Patecchio” e due articoli, pubblicati da La Cronaca di Cremona nel 2012.
Tali approfondimenti hanno concorso all’emersione di un passaggio, finora sconosciuto ed inedito, di una “scivolata” del sant’uomo; procurata dalle conseguenze della scesa nell’agone elettorale della seconda metà degli anni quaranta del 20° secolo
L’episodio dimostra quanto, in quegli anni, la crociata politico-clericale fosse irriducibile e a vastissimo raggio; finendo per metter in campo, forse suo malgrado, anche qualche ‘eretico’, come Don Mazzolari.
La cui figura, ma solo sul piano della coerenza con i contenuti politici propugnati per molti decenni, potrebbe apparire, in qualche modo, messa in discussione dall’episodio.
Con Don Mazzolari, d’altro lato, i socialisti cremonesi ebbero occasione di “beccarsi”, garbatamente e rispettosamente, anche su un terreno a lui più congeniale, o almeno ritenuto tale nella vulgata che ha tramandato la sua aura di cattolico socialmente impegnato. E, soprattutto, di antifascista. Un requisito questo, per noi incomparabilmente positivo, che, al contrario, arrischia, come si legge nella presentazione dell’avvio della postulazione, di costituire deterrente (“La beatificazione di don Primo era stata sinora frenata dalla considerazione che in vita don Primo aveva avuto contrasti con le autorità ecclesiastiche anteguerra per il suo conclamato antifascismo. Un aspetto, che a 53 anni dalla morte, avvenuta il 12 aprile 1959 a Bozzolo perde sempre più importanza.”).
Evidentemente, nei postulatori cattolici, che ovviamente non devono rendere conto a noi, deve essere stata prevalente la considerazione nei confronti dei trascorsi cooperanti (col fascismo e col nazismo) dell’arcivescovo metropolitano censore e persecutore del parroco-pubblicista, piuttosto che la specchiata coerenza antifascista.
Anche per questo aspetto, in attesa comunque che la Chiesa lo elevi, dalla devozione popolare da decenni diffusa, agli altari, noi, laicamente, lo iscriviamo nel nostro “giardino dei giusti”.
E.V.