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Il fondo Borelli all’Archivio di Stato

Salvato un altro importante tassello della memoria storica cremonese. Nel pomeriggio di ieri ( venerdì 26 maggio u.s.) si è scritta, presso la sala riunioni dell’Archivio di Stato, un’ulteriore bella pagina di dedizione civile, rivolta alla preservazione delle fonti documentali, base della memoria e della ricerca storica.

  01/06/2017 08:11:00

A cura della Redazione

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Dopo le carte Società Filodrammatica Cremonese, Zanoni, Parlato Armando, Brigate Partigiane Matteotti, ANPI, Dolci (ed in attesa del completamento del riordino e della catalogazione dell’archivio socialista in fase di ultimazione) sono confluite quelle lasciate da Piero Borelli. Che la famiglia ha simbolicamente depositato all’Archivio nelle mani del suo Direttore, dottoressa Angela Bellardi. La quale, oltre che svolgere egregiamente le sue funzioni, in questi anni ha ravvivato i canali di accesso alla conoscenza storica, di cui l’Archivio è diventato custode e centro di consultazione.

Bellardi ha aperto la conferenza, illustrando il segmento cui l’incontro era dedicato e rinnovando come sempre l’appello erga omnes, affinché tali apprezzabili gesti vengano emulati (ci sarebbe ancora tanta capienza in un bacino largamente inesplorato!).

Il successivo intervento è stato appannaggio del prof. Giancarlo Corada, politico ed amministratore di lungo corso, attualmente presidente dell’ANPI, che ha posto sotto il riflettore dell’approfondimento il cursus antifascista e partigiano di Piero Borelli. Un’esperienza che il soresinese, destinato a guidare la sua città per molti lustri, iniziò in giovanissima età; fornendo al movimento partigiano, sin dalla fase della clandestinità, un contributo determinante.

Ad approfondire una personalità vasta e complessa, come fu quella di Borelli, è intervenuto l’apprezzato contributo di un concittadino che lo vide da vicino per una significativa temperie amministrativa. Ci riferiamo a Franco Vaiani, allora, quando la parabola del primo cittadino volgeva alle sue conclusioni, giovanissimo consigliere comunale, in predicato per ascendere alla massima magistratura cittadina.

Vaiani ha svolto un excursus approfondito del profilo umano e pubblico del personaggio. Di cui ha colto sfumature impercettibili a sguardi sbrigativi. Sfumature che, invece, appaiono utili a spiegare l’intreccio tra vicende vissute soggettivamente e riflessi sulla politica militante e sulla vita istituzionale.

Gli sarebbe succeduto nel ruolo di primo cittadino avendolo a fianco, dopo trentadue anni di prima fila, come vice-sindaco. Si ha motivo di ritenere che Piero Borelli avrebbe apprezzato molto l’intera testimonianza di Vaiani. Soprattutto, nel segmento dedicato alla rievocazione delle tappe e delle realizzazioni più significative del lungo mandato, iniziato, praticamente, a guerra da poco finita e ad un’età che oggi giorno definiremmo post-adolescenziale.

 Nel corso del lunghissimo servizio, reso ad un centro importante per consistenza socio-economica, per prestigio storico e civile e per rilevanza politica nel contesto territoriale, si era andata consolidando la percezione di una sorta di binomio tra la persona ed il ruolo organico alla guida amministrativa della Soresina, che Borelli si spese molto par far assurgere all’inizio degli anni Sessanta al rango di Città.

Si, ma come ha ricordato Deo Fogliazza, a metà anni Settanta giovane funzionario dell’apparato politico-organizzativo del PCI provinciale, i tempi stavano mutando in senso generale. Un palmares di trent’anni di mandato, per quanto in capo ad un personaggio stimatissimo come Borelli, stava diventando quasi imbarazzante. Per di più se si considera che il PCI stava affrontando, dopo Togliatti e le gestioni suppletive (che mai vollero imboccare, a parte la variante “mediterranea”, la strada del socialismo europeo), un impegnativo cambio di fase.

Non si era esattamente più nell’ortodossia dogmatica e, soprattutto, della pratica del “centralismo (cosiddetto) democratico”, ma il compimento della lunga marcia verso la cultura della sinistra riformista (che ancorché abbozzata a beneficio dell’attrazione elettorale dei ceti moderati) resterà incompiuto sino alla “Bolognina”. E, volendo essere franchi, molto oltre.

Ma su questo ci fermiamo, perché l’argomento ci farebbe deragliare su segmenti collaterali e poco consoni al tema in trattazione.

Le fasce elastiche, si potrebbe dire, dei pistoni del formidabile motore del partito di massa, che erano state lubrificate da sessant’anni di pratica radicale e cospirativa (contrappesata da slanci aperturistici ed innovativi come “la via nazionale”), venivano messe a prova dal combinato dell’esigenza di non uscire dal mercato politico, ingessato dal fattore kappa, e di regolare conti che il centralismo democratico aveva rinviato e compresso.

Lo stereotipo del PCI soresinese, incardinato sullo stereotipo del sindaco più giovane e più duraturo d’Italia, celava con sempre maggiore difficoltà le crepe che non rientravano nella compatibilità di un PCI, non più soggiogato dall’ala “militarista”. Che dal ’45 agli anni 70 ebbe il suo epicentro a Soresina e riferimento in un’eminente personalità altrettanto soresinese, che fu il sen. Arnaldo Bera.

Era sempre più difficile tenere il coperchio sopra una pentola bollente. La nomenklatura cremonese stimò che il modello soresinese andasse smontato. A cominciare dalla posizione di Borelli (il quale, a dire il vero, esibì a lungo un profilo assolutamente poco “militarista”), che traeva linfa, più che dal flusso di consensi rastrellati dal suo partito, da un vasto appoggio non partisan. Tributato da fasce di opinione che apprezzavano molto il suo attivismo amministrativo (in quei trent’anni fu costantemente registrato un vistoso differenziale tra consensi elettorali rivolti al PCI, da un lato, e preferenze alla lista comunale guidata da Borelli.

Non proprio un delendus Piero, ma qualcosa di molto simile ad un promoveatur ut amoveatur.

La Federazione gli propose un seggio nel Consiglio della Provincia in cambio della rinuncia all’incarico di Sindaco. Ma era evidente che non si poteva fare nozze coi fichi secchi. Non avremo mai la prova; ma se il PCI avesse voluto rimuoverlo, promuovendolo, avrebbe dovuto migliorare l’offerta. Per tentare almeno (non azzardiamo nulla sull’esito) di renderla dignitosa.

Ecco, forse perché a differenza di Deo non siamo tenuti ad un riserbo neanche postumo, facciamo di quella svolta una narrazione meno ufficiale.

Fatto sì è che Fogliazza jr venne spedito a Soresina (dove la Federazione Socialista aveva insediato un suo operatore, nella persona di Flavio Tomasoni, giovane sindaco di Pizzighettone) per smontare il “giocattolo” a due gambe: quella di Piero Borelli, Sindaco apprezzato e quasi intoccabile, e quella del Senatore stalinista Bera, che solo pochi anni prima, in omaggio alla pratica delle due legislature (e forse non solo per quello), aveva lasciato Palazzo Madama per approdare all’incarico di curatore testamentario delle carte e dei documenti dell'Archivio Secchia (la cui testimonianza continuava a costituire ancora a quel tempo, nonostante la “purga” del 1954, una ferita aperta e sanguinante nel corpo del PCI).

La Federazione, presumibilmente, pensava di pelare l’oca (come si dice nelle nostre campagne) senza farla gridare. Vero è che alla prima tornata utile le sinistre presero una valanga di voti e Borelli una valanga di preferenze.

Si trattava di uno scenario imbarazzante per gli obiettivi di una nomenklatura, che voleva scomporre i giochi fino al punto di pensionare il sindaco, sì più longevo di servizio permanente effettivo, ma anche di indubitabile indotto elettorale (tra i Comuni di prima fila il PCI esprimeva un proprio esponente solo a Soresina). Giungendo a tirare un mortaretto su un contesto, che per tre decenni era stato ad encefalogramma piatto e subitaneamente era stato, in quel 1975, messo in movimento dalla scelta di socialisti di protestare ovunque possibile il centro-sinistra e di insediare ovunque possibile giunte di sinistra (Cremona Comune, Cremona Provincia, Pizzighettone).

Il diversivo suscettibile di giustificare lo snodo era costituito dal progetto di varare un inedito compromesso storico, da consumarsi nell’enclave migliolina. Di cui non esistevano né le premesse né l’interesse, da parte di almeno due partners fondamentali. Il PSI che non aveva nascosto la sua indisponibilità. E la DC che (anche per bocca di un soresinese illustre eletto in Consiglio Provinciale, il prof. Gazza, intervenuto tra gli altri per stoppare le larghe intese) aveva, senza ombra di dubbio, declinato l’offerta.

Come andò a finire (se generosamente si vuole fare astrazione dalla follia rappresentata dal suicidio della sinistra soresinese ampiamente autosufficiente ed in grado di amministrare bene) già lo sapevamo. E Deo ce l’ha riassunto; in una versione postuma (costante comportamentale del PCI e del post-PCI) ma non di meno apprezzabile.

Per chiudere la chiosa su un aspetto che ebbe risvolti umanamente anche dolorosi e politicamente inquietanti su alcune linee-guida comportamentali dell’apparato organizzativo del PCI, non possiamo sottacere che una parte della rimozione del “modello Borelli” non poteva non incorporare il depotenziamento del rapporto “Borelli-popolo soresinese”.

Sicuramente il PCI ne aveva sottovalutato la natura e l’intensità. Forse, in Via Volturno ci si era affidati con una certa leggerezza all’aforisma di Bertolt Brecht: “Il Comitato Centrale ha deciso. Poiché il popolo non è d’accordo, bisogna nominare un nuovo popolo”.

Non andò così. Perché il popolo, fortemente permeato dalla tradizione operaia e dall’identificazione nel profilo istituzionale di Borelli, rifiutò di farsi normalizzare.

Un gravissimo errore quello della Federazione del PCI, tutta stretta a coorte in un progetto di cui, dopo quarant’anni, non si intravvede ancora un minimo di raziocinio (a meno che esistessero circostanze non note).

Un errore che sottovalutava l’inestirpabile rapporto di identificazione/condivisione tra Borelli e Soresina. Fino al punto da indurre Borelli a proporre (con un certo successo) un’aggregazione proto-localistica.

Gli scenari successivi non segneranno mai una demarcazione di prevalenza di un competitor sugli altri. Indubbiamente, con vent’anni di anticipo, Soresina archiviava un pezzo importante della Prima Repubblica che era stata, nel territorio che ancora adesso viene definito “migliolino” (giova ricordare che l’apostolo delle cattoliche “leghe bianche”, rifiutato per intervento di Pio XII dai ranghi della DC, si era candidato da indipendente nel Fronte democratico popolare del 1948).

Per concludere la cronaca della cerimonia (che forse si è un po’ allargata) e per lasciare la parola alla relazione di Giuseppe Azzoni, che ha largo merito in questa operazione di recupero e preservazione, osserveremo che alcune delle carte esposte (a riprova dell’utilità storiografica) fanno menzione di quegli avvenimenti. Ed anche se oggi ci sembra di vivere su un’altra galassia, sarà molto interessante, almeno per chi apprezza la storia della politica, studiarle ed approfondirle. Per capire meglio quella temperie e per farsi una ragione delle sgangheratezze della contemporaneità.

Ecco perché, ripetiamo, la salvaguardia delle fonti documentali e di quelle, in particolare, rivestono un grande valore, storico oltre che civile.

Del che si deve esprimere un vivo ringraziamento ai famigliari di Piero Borelli ed alla figlia Giulia ed a Giuseppe Azzoni che le ha catalogate ed ordinate.

Concludiamo, pubblicando per intero l’intervento esplicativo di Azzoni, che ci consegna un profilo molto dettagliato del personaggio al centro della conferenza.

L’intervento di Giuseppe Azzoni

 

Il fondo carte Piero Borelli, che i familiari hanno deciso di depositare e rendere disponibile nel nostro Archivio di Stato, ha una caratteristica notevole. Si tratta di documentazione che non è limitata alla persona ma ricomprende aspetti della storia familiare.

Abbiamo qui documenti di diverso tipo che segnano punti significativi del percorso della famiglia, sia per il ramo paterno che materno, dalla seconda metà dell'ottocento in poi.

Si tratta di una famiglia rappresentativa per tanti aspetti delle caratteristiche sociali e culturali della piccola o media borghesia del nostro territorio. Essa appare peraltro attivamente partecipe degli eventi minuti o complessivi della comunità locale e nazionale. Dunque in queste carte ritroviamo percorsi ed orme di un vissuto che riflette la nostra storia dopo l'unità d'Italia.

Si tratta spesso di documenti originali prodotti dalla pubblica amministrazione, da quella comunale alla burocrazia militare alla certificazione scolastica, esemplari segnalazioni del modo di essere e di operare del giovane Stato italiano. Ed essi si intrecciano con la vita privata e di lavoro, con le lettere, le immagini e quant'altro nel corso di alcuni decenni.

Può ben rendere l'idea dei contenuti di questo fondo carte, dunque, seguire con alcuni esempi questo percorso.

Punto di partenza può essere una cartellina con alcuni documenti familiari risalenti agli albori dell'unità d'Italia. Ce n'è anche uno relativo ad una medaglia per l'unità d'Italia conferita a Francesco Borelli – nonno di Piero – che fu militare nel 41° Reggimento Fanteria, e c'è anche il suo foglio di congedo.

Risalgono all'800 alcuni certificati di nascita e di battesimo ed altri più o meno consimili di notevole interesse. Per esempio: il nonno Francesco era ingegnere e qui si conserva un documento relativo al periodo in cui lavorò nella costruzione di una linea ferroviaria in Austria, anni 1873 – 75. Degli anni 1878, 1879, 1887 sono relazioni relative alla Scuola Tecnica comunale di Soresina. Del 1894 la memoria di un appello per raccogliere fondi per un monumento a Francesco Genala.

Agli sgoccioli dell'800 ed ai primi due decenni del secolo scorso risalgono documenti di uffici anagrafici, quelli del matrimonio dei genitori di Piero, lo “stato personale” sulla carriera scolastica del padre di Piero, Ernesto, tra il 1899 e il 1916 e poi un diploma allo stesso attribuito nel 1919 come assistente civile.

Ancora: c'è la “patente per l'insegnamento” rilasciata alla prima moglie del padre di Piero, Ernesta Malatesta, che era maestra... con lei ebbero il figlio Franco (cui accenneremo poi)... venne a mancare ancora giovane. Ernesto Borelli si risposò qualche tempo dopo con Adele Bajetta, da lei nacque Piero.

Diversi i documenti relativi alla “Grande guerra”: tra essi il congedo di Franco, tenente degli Alpini e decorato, la cartella per il Prestito di guerra del 1916, “passaporti per l'interno” rilasciati dal Comune di Duemiglia e da quello di Cremona essendo anche il nostro territorio ricompreso in zona di guerra. Di particolare significato una cartellina con documentazioni relative ad un cugino, Angelo, disperso in guerra. È la testimonianza drammatica su una famiglia tra speranza e disperazione coi messaggi, le lettere, gli annunci sul giornale nella rubrica “chi li ha visti”, il “libretto di soccorso” alla famiglia...

Le carte riguardanti il ventennio fascista danno un bel contributo a capire quegli anni nel vissuto della gente. Per esempio ci mostrano come il giovane valoroso ex combattente Franco Borelli ritenga di essere coerente col suo patriottismo entrando poi a far parte di una squadra del fascio soresinese ed essendo nel 1922 coinvolto in un odioso episodio squadrista contro Guido Miglioli, considerato elemento antipatriottico! Emerge il contrasto lacerante col molto più giovane fratellastro Piero Borelli che di Miglioli sarà ammiratore e per il quale da Sindaco pronuncerà l'orazione funebre nel 1954, orazione che ritroviamo in questo archivio. Contraddizioni all'inizio ed alla fine di un ciclo e che durante quel ciclo attraversano tante famiglie. Compresa quella di Piero.

Leggiamo certi caratteri di quel “ventennio” anche in queste carte: le varie tessere dei Balilla, della GIL, delle molteplici organizzazioni dal dopolavoro alle corporazioni e così via, più o meno volontarie o coatte, reticolo di consenso e di controllo del regime.

Sono numerosi i documenti relativi alla vita scolastica della prima metà del novecento: da quelli sul versante di un dirigente scolastico come Ernesto Borelli Preside della Scuola Tecnica “Genala” di Soresina (ma se ne documenta l'attività scolastica in molti altri centri d'Italia) a quelle sui vari gradini della carriera scolastica, con relative pagelle eccetera, di Piero ragazzo.

Altre carte sono relative alla vita quotidiana locale di quel periodo. Particolarmente interessanti sono le informazioni, contenute anche in memorie successive di Piero Borelli e relative a svariate persone, sulla presenza di non pochi che in tanti modi erano critici ed oppositori verso il regime. A Soresina non erano poche queste persone, sia per la parte “rossa” che per la parte “bianca”, ed il giovanissimo Piero - ricordiamo che è nato nel '24 - ne è influenzato, stabilisce contatti, pur senza gesti clamorosi si differenzia da un ambiente familiare e sociale cui pure appartiene.

È giovanissimo, sedicenne, quando l'Italia entra in guerra. I precedenti contatti si rinsaldano nel clima della clandestinità fino ad essere un protagonista nella Resistenza. È il partigiano “Alessio” che svolge la rischiosissima, difficile, quantomai preziosa funzione di servizio informazioni dall'interno della questura e della GNR. Ed anche questo troviamo in queste carte oltre che nell'archivio dell'ANPI e nelle cronache del processo per Villa Merli. Così come troviamo i momenti successivi dei sospetti che lo inducono a disertare, della cattura e sevizie a Mantova, della partecipazione alla Liberazione in quella città.

Nel dopoguerra, senza soluzione di continuità, vediamo le testimonianze del Borelli militante e dirigente del PCI, che era già il suo partito durante la Resistenza, e quindi del giovanissimo sindaco di Soresina. Sono due aspetti che ovviamente si intrecciano, anche se vediamo come Borelli intenda essere figura di sindaco per i cittadini tutti, per l'Istituzione, al di là dell'appartenenza partitica.

Anche sul suo operato come sindaco ci sono documenti e resoconti. Per l'attività di partito, pur se meno numerose, ci sono significative tracce di passaggi essenziali: l'appartenenza al gruppo dirigente provinciale subito dopo la Liberazione, il ruolo di riferimento soprattutto per le politiche nel campo degli Enti locali sia come segretario della Lega dei Comuni Democratici sia come Sindaco di un importante Comune. Con caratteristiche di comunista lontano dal settarismo.

Poi c'è l'ultima fase in questa documentazione: la vicenda tribolata e sofferta da ambo le parti, della rottura di Piero col suo partito. Non è questa l'occasione per entrare nel merito di quella vicenda politica. In proposito mi limito a dire che, tra queste carte, c'è anche una lunga lettera di Franco Dolci alla moglie Franca Grassi quando Franca, nel 1996 pubblicò il libro “In memoria di Piero Borelli”. Era passato un anno dalla scomparsa di Piero in quella drammatica serata in cui fu stroncato mentre parlava degli anni della Resistenza. Lei poi continuerà a lavorare sulla memoria ed anche questa raccolta di documenti è in massima parte per suo merito. Franca Grassi verrà a mancare nel 2006.

Nella lettera che ho appena citato Dolci rievoca quella rottura, alcuni essenziali tratti del lungo precedente rapporto tra Piero ed il suo partito, ne valorizza fortemente il contributo, attribuisce la rottura ad una “pressione generazionale” che si inseriva in una volontà di rinnovamento che comunque avrebbe visto una continuità della esperienza di Borelli in seno al Consiglio provinciale. Ci si riferisce al 1975, anno in cui Dolci era ancora segretario della Federazione comunista. Dolci ricorda che Borelli visse male – quasi come una congiura nei suoi confronti – l'orientamento che era prevalso nel partito mentre tra diversi compagni e tra i suoi concittadini continuava a prevalere il consenso nei suoi confronti.

Franca risponde a Dolci con espressioni anche commosse e di apprezzamento ma spiega perché continua a condividere le ragioni di Piero. Lui, scrive Franca, era convinto di essere nel giusto e di dover anche “ribellarsi ad una obbedienza cieca al suo partito” per il bene della sua comunità.

In questa lettera Franca scrive anche: “Io ho un grande sogno nel cassetto: quello di tentare una ricostruzione dell'attività di Borelli quale partigiano, quale combattente comunista, quale sindaco...”

Ecco, concluderei con questo ricordo di Franca e con questo suo sogno verso la cui realizzazione credo si faccia un passo avanti anche col deposito in Archivio di questa documentazione.

 

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