Le “celebrazioni” del 2019 si sono incaricate di dimostrare che ancora una volta così edificanti propositi, solennizzati in sede legislativa, corrono seri rischi di incappare nel tritacarne dell'eterogenesi dei fini. Che costituisce una costante del costume civico italiano.
Con la Legge 30 marzo 2004 il Parlamento istituiva, il “giorno del ricordo”(volgarizzato, per praticità comunicativa, in un più comodo ma riduttivo “giorno delle foibe e dell'esodo dalle terre giuliano-dalmate”), nell'ovvio intento di sanare un vuoto, oseremmo dire, di memoria nazionale, e di rendere quanto più coesive l'interpretazione e la testimonianza riferita di quei drammatici avvenimenti che attraversarono una parte non trascurabile del ventesimo secolo
Se non proprio fallimentari, gli esiti della mission, delineata dal legislatore, di iscrivere quel dramma nell'agenda storica del Paese (non ci starebbe male, della Patria), pongono fondate perplessità sul modo di ricordare, ma a ranghi separati (se non addirittura, contrapposti), una drammatica pagina. Che, invece, proprio per esorcizzarne la ripetizione, dovrebbe mobilitare una coscienza collettiva, condivisa e coesa.
Quello delle “foibe”, d'altro lato, costituisce uno dei capitoli più controversi di una guerra della memoria che, ad intermittenza, rianima polemiche politiche interne ed esterne.
Come se non bastasse, infatti, in aggiunta all'idiosincrasia degli italiani a ritrovarsi nello spirito e nelle conseguenze pratiche dell'esortazione a ricordare, anche quest'anno le divergenze interpretative interne hanno fornito pretesti per rinfocolare mai sopite (o sopite per convenienza) inconciliabilità con i confinanti slavi.
Che, con poco garbo diplomatico e con malferma rimembranza della generosità italiana (che ha rimosso le condizioni ostative al loro ingresso nella UE e senza della quale la loro entità sarebbe poco dissimile da quelle in lista d'attesa), hanno alzato alti lai (“turbati dall' “inaccettabilità” dei revival tardo nazionalistici del Presidente del Parlamento Europeo, che, nel suo eloquio, dovrebbe ricordarsi degli obblighi derivanti dal suo ruolo istituzionale rispetto alla vice-leadership di un movimento nazionale”).
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