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L'EcoRassegna della stampa correlata - "Per l'unità dei riformisti non ci sono veti ed esclusioni"...e tanti altri

Marco Bentivogli, Claudio Martelli , Domenico Cacopardo, Mauro Del Bue

  11/04/2021

Di Redazione

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Riprende le sue uscite una rubrica, molto apprezzata dai lettori. Soprattutto, dall'enclave dei lettori di cultura socialista. Cui viene messo a disposizione un aggregato ediorialistico espressione delle sparse testate e delle singole testimonianze di opinionisti. 

Il presente pannel riproduce l'ultima edizione del nuovo Avanti!, dedicato alla questione sempre aperta dell'unità dell'area politica del riformismo, una recentissima riflessione di Domenico Cacopardo per Italia Oggi e due editoriali di Mauro Del Bue su Avantionline. 

"PER L' UNITA' DEI RIFORMISTI NON CI SONO VETI ED ESCLUSIONI" 

di Marco Bentivogli 

Non sono tra coloro che considerano superate le distinzioni destra e sinistra. Non posso negare che ultimamente queste categorie, non inutili, della politica, siano diventati occasioni interessate di collocazione. Ho avuto modo di scrivere quanto la sinistra abbia devoluto valori, stili e orizzonti a semplici evocazioni sufficienti per auto-riconoscersi nel clan in geometrie utili solo alla ricerca del potere per il potere senza alcuna progettualità. 

Condivido che dentro Forza Italia ci siano istanze e personalità non riducibili al berlusconismo che però a mio avviso, non da solo, ha contribuito alla consegna del paese ai populisti di destra e di sinistra. 

“Unire i riformisti” è nato proprio, a differenza di altri appelli, senza partire dai veti all'adesione. Ma come giustamente Vito ricordava ci devono essere dei valori comuni che, proprio per uscire da ogni ambiguità, vanno abitati e non solo evocati nei cenacoli. Le culture socialiste, cattolico democratiche, radicali e liberali sono radici importanti del riformismo italiano ed europeo. Le alleanze, che in politica non sono un accessorio, hanno generato alberi storti. Essere europeisti, atlantisti, per la società aperta e solidale mette dall'altra parte ogni populismo gastro-mediatico, che ha il giustizialismo, l'individualismo, l'assistenzialismo e lo statalismo. Potrai non trascurare che alcune tv per inseguire la mitica “audience” invece di favorire la consapevolezza della complessità, banalizzano tutto quello che accade per intercettare persone urlanti e produrre il consenso emotivo dei vari impresari della paura. In una politica fatta da troppe comparse che vivono di applausi di un pubblico virtuale, serve discontinuità. Nel mentre questo paese attende ancora le riforme vere che nella mia esperienza non si faranno se non costruiamo ceto politico dotato di coraggio, pensieri lunghi e iniziativa popolare: questo per me sono i riformisti. Per questo bisognerebbe resettare e riconfigurare la politica italiana, prima che sia troppo tardi.

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Il riformismo socialista è stato un "riformismo dal basso" che ha portato i lavoratori ad essere protagonisti della democrazia e a farsi Stato.

L'incontro col riformismo cattolico e col "riformismo dall'alto" dei liberali 

La questione delle alleanze si pone dopo la scelta delle idee guida 

di Claudio Martelli 

Se dovessi dire di cosa abbiamo discusso nella maratona online sarei in difficoltà e di sicuro non per colpa degli intervenuti. Scontata la scelta dell'avversario – contrastare il bipopulismo Lega/5Stelle (copyright del direttore de Linkiesta, Christian Rocca) – tutto il resto è rimasto avvolto nella più vaga indeterminatezza come se dichiararsi riformisti fornisse ad un tempo una carta di identità, un programma e un passepartout.  

In particolare nella maratona del 21 marzo, molti hanno trattato il ‘riformismò, il ‘liberalismò, la ‘liberaldemocrazià come sinonimi, ignari o dimentichi che il riformismo nella storia italiana è un pensiero e un movimento politico e culturale inequivocabilmente socialista che nasce e si afferma in opposizione al socialismo rivoluzionario. A questo “riformismo dal basso” che creò tutto ciò che ancora dura e vale della cosiddetta sinistra e cioè l'associazione, il mutuo sostegno, le cooperative, il sindacato, il partito dei lavoratori, il suffragio universale, si deve l'impresa titanica di aver educato il proletariato, fino ad allora o vittima piegata o ribelle agitato, a farsi autore e protagonista di democrazia, a farsi Stato. Se è vero che al riformismo dal basso dei socialisti corrispose all'inizio del ‘900 il ”riformismo dall'alto” del governo del liberale Giolitti non va dimenticato che un altro, diverso e autonomo riformismo dal basso fu quello animato dalle correnti più avanzate del cattolicesimo e dalla dottrina sociale della Chiesa, in particolare dall'originale lezione di don Luigi Sturzo. Anche a loro Giolitti tese la mano.  

Eppure solo quarant'anni dopo il riformismo socialista e quello cattolico si incontrarono fornendo la loro esperienza alle migliori stagioni del primo centro sinistra. Coniugando la spinta sindacale con l'azione di governo socialisti e democristiani produssero una ineguagliata mole di riforme: dalla scuola media dell'obbligo alla liberalizzazione degli accessi universitari, allo statuto dei lavoratori, al sistema sanitario pubblico, al decentramento regionale. A tutte questa riforme i liberali italiani si opposero vivacemente, talvolta contestandole con veemenza sicché definire riformisti quei liberali equivarrebbe a ingiuriarli tradendo la loro memoria. Viceversa le stesse riforme vennero promosse e sostenute anche dal PRI di Ugo La Malfa non dimenticato autore di quella programmazione economica che gli procurò l'avversione e il dileggio della Confindustria e del partito liberale. Spettano invece all'iniziativa congiunta dei socialisti, dei liberali e dei radicali – questa volta assenti i repubblicani - le grandi riforme dei diritti civili – divorzio, interruzione legale della gravidanza, diritto di famiglia – e nel 1987 il tentativo di rifondare l'amministrazione della giustizia a partire dalla responsabilità civile dei magistrati - tentativo vittorioso nel referendum popolare ma evirato in Parlamento.  

Se allargassimo lo sguardo all'Europa lo scenario di fondo non muterebbe.  

Le maggiori riforme, la stessa edificazione dello Stato Sociale, la più grande opera di edificazione del XX° secolo - “il secolo socialdemocratico” secondo il liberale Dahrendorf – sono frutto dell'azione del socialismo riformista spesso in alleanza coi liberali progressisti sempre in guerra coi liberali conservatori.  

Viceversa, un riformismo puramente ed esclusivamente liberale o non è mai esistito oppure ha connotato non un movimento progressista ma un movimento conservatore, reazionario, restauratore dei principi e degli animal spirits del capitalismo: tali furono le politiche di Margaret Thatcher e di Ronald Reagan.  

Non voglio credere che a quell'esempio si ispirino coloro che hanno aderito all'invito di unire i riformisti, eppure il trasformismo cronico della nostra società politica ci ha già fatto assistere attoniti ai contorcimenti di chi dopo essere stato comunista nei suoi primi quarant'anni oggi sposa senza riserve il più sfrenato liberismo rivelandosi così coerente solo nella pretesa di aver sempre ragione. Di sicuro questo non è il caso di Emma Bonino ispiratrice pochi anni orsono della Rosa nel pugno con i socialisti e di Carlo Calenda il cui partito si richiama esplicitamente al Partito d'Azione erede del Partito Repubblicano e del socialismo liberale di Carlo Rosselli. 

Un profilo riformista Matteo Renzi lo rivendicò al PD di cui era leader e al governo che presiedeva. In quella stessa fase Renzi guidò il PD all'approdo nel Partito Socialista Europeo approdo che sino a quel momento sia Prodi, sia Rutelli, sia Veltroni avevano respinto. In tutta sincerità quello di Renzi più che un riformismo coerente a me è parso una sorta di “cambismo”, un cambiare comunque e a ogni costo senza un chiaro indirizzo, mescolando cose buone come il Jobs Act con altre che buone non erano come gli 80 euro e la congerie di bonus.  

Ora, il nuovo segretario del PD, Enrico Letta, ha definito il nuovo PD come un partito “progressista nei valori, riformista nel metodo, radicale nei comportamenti”. La definizione è piaciuta a Christian Rocca che si è spinto sino a sognare il ritorno nel PD di Bersani, di Renzi e di Calenda salvo poi risentirsi quando Letta ha confermato “l'affascinante avventura” dell'alleanza con i 5 Stelle. Attribuire alle altrui intenzioni i nostri desideri è quasi sempre fonte di delusioni. 

Per noi dell'Avanti! la questione delle alleanze si pone in modo diverso. Si pone dopo e non prima della scelta di idee guida, contenuti, obiettivi e programmi. È solo arando questo terreno, discutendo cosa fare che si possono unire i riformisti. 

Per questo il contributo che offriamo alla discussione tra tutti i riformisti attivi e volenterosi, ovunque si collochino, dal PD a Forza Italia ai Verdi è quello di incalzare il governo Draghi nel tragitto riformatore che di sicuro non sarà completato nei dieci mesi che ci separano dall'elezione del Presidente della Repubblica. Ancor più impegnato sarà il nostro contributo a definire una riforma della Costituzione resa improcrastinabile dal taglio dei parlamentari, a una legge elettorale che garantisca la rappresentanza e la governabilità, a una legge di riforma dei partiti secondo statuti democratici in attuazione della Costituzione. Una convergente azione parlamentare e una campagna di opinione condivisa contribuirebbero concretamente a rigenerare la democrazia repubblicana e sarebbero il miglior viatico a unire i riformisti. 

La signora Michela Murgia torna a farsi sentire

di Domenico Cacopardo

La signora Michela Murgia torna a farsi sentire, ribadendo la sua sfiducia nei confronti dei militari e in particolare del generale Francesco Paolo Figliuolo, commissario all'emergenza pandemica e, di suo già comandante logistico dell'Esercito italiano. Precisazione questa che ne qualifica la professionalità acquisita nelle forze armate e la professionalità necessaria per guidare il Paese fuori dall'anarchia pandemica per condurlo sulla via di una vaccinazione di massa, come da copione riconosciuto vitale in tutto il mondo. 

Trasformare l'apprezzamento per Figliuolo e per il suo lavoro in condanna senza appello deriva, seconda la signora Murgia dal posizionamento politico: di destra i sostenitori; di sinistra gli avversari. Una impostazione che non appartiene alla ragione delle cose, dei fatti e delle istituzioni, ma alla stupidità politica, quella per la quale i fatti non sono mai fatti, ma strumenti del nemico.  

Il che, paradossalmente, è precisamente il modo di ragionare di Goebbels e di Stalin che con le armi della mistificazione riuscirono a piegare le masse oltre l'immaginabile. E, per chiarire, Stalin in ogni caso riuscì a mobilitare un popolo per la difesa della patria e del regime che la governava. 

Ovviamente, Michela Murgia ha il diritto, costituzionalmente tutelato, di esprimere le sue opinioni. Quello che non è accettabile e che merita risposta è, appunto, l'affermazione di verità che non sono verità, nemmeno presunte. 

Rispetto al rapporto con le divise, Murgia ribalta sia la posizione istituzionale del Pci di Berlinguer che si schierò senza sì e senza ma per il rispetto della legge e delle divise, sia -il paragone non offenda- la scelta di Pier Paolo Pasolini sceso in campo per difendere i figli del popolo che, appunto, indossavano la divisa. 

Del resto, le forze armate italiane hanno costituito e costituiscono una vasta organizzazione professionale che non ha sin qui mostrato alcuna velleità autoritaria. E, prima, dopo l'8 settembre 1943, hanno pagato un imponente tributo di sangue per la lealtà al legittimo governo, ancorché del re Vittorio Emanuele III, per la difesa dell'onore della Nazione, per la conquista della libertà. Da Cefalonia a Palidoro (Salvo d'Acquisto), da Montelungo a Check Point Pasta, da El Alamein a Nassirya, hanno sempre mostrato una solida tempra, posta a tutela delle istituzioni democratiche e repubblicane. 

Non c'è quindi alcuna ragione per dubitare delle forze armate italiane. È probabile che la Murgia pensi di evocare il caso Di Lorenzo e i servizi segreti deviati: casi che appartengono all'archeologia repubblicana e che furono felicemente risolti applicando la legge. 

Ma c'è un'altra questione sulla quale la Murgia scivola di brutto: parliamo della questione immigrazione e del violento attacco a Marco Minniti, alla sua politica da ministro dell'interno e all'inchiesta della procura della Repubblica di Trapani. 

Ecco, immaginare che il mondo delle imbarcazioni che solcano il Mediterraneo in cerca di migranti (che non sempre sono naufraghi) sia composto solo da generosi filantropi è piuttosto primitiva. Come sempre nella vita -e quindi anche nelle on-lus di beneficienza- le donne e gli uomini non sono tutti buoni o tutti cattivi. Su questo aspetto dell'attività dei trafficanti di persone dall'Africa all'Italia è necessario fare chiarezza. È vero, lo so, che esiste un tabù, un pregiudizio difeso anche con violenza, per i quali chi mette in dubbio la santità degli operatori del Mediterraneo compie un atto empio ed è quindi degno della condanna generale. Ma ciò non mi impedisce, come non mi ha mai impedito, di pretendere chiarezza sulle fonti di finanziamento e sui rapporti proprio con i trafficanti. Quanto a Marco Minniti, si è efficacemente difeso da solo qualche giorno fa. Per quanto mi riguarda, avendo lavorato al suo fianco, ne conosco il senso etico e istituzionale e mi ripugna ascoltare giudizi sommari e ingiusti. 

La questione immigrazione, come correttamente sostenne in Parlamento proprio Minniti, è una questione di ordine pubblico istituzionale. Se non vogliamo realizzare in Italia le zone off-limits di Francia e Belgio, se non vogliamo punire ciò che resta del proletariato italiano, dobbiamo tornare a una politica delle migrazioni ancorata alle esigenze della società, cioè al metodo dei contingenti e delle chiamate. Altrimenti, il sistema democratico nel quale siamo abituati a vivere può collassare conducendoci verso lidi imprevisti e sciagurati. 

Nel nostro ordinamento repubblicano governano le maggioranze e le minoranze sono tutelate. Piacciano o non piacciano. 

Chi vuole essere maggioranza deve conquistare un consenso maggioritario. Tertium non datur. 

Queste le ragioni del mio dissenso dalla signora Michela Murgia. 

www.cacopardo.it 

Sansonetti e la sinistra liberale  

Mauro Del Bue del 4 aprile 2021 BlogLocchiodelbue 

Ecco cosa intendo per una sinistra socialista che sia innanzitutto liberale. Scrive Sansonetti “Allora, provo a spiegare con pazienza. In estrema sintesi: il giudice che ha condannato Berlusconi scrive sul giornale nato, dichiaratamente, per combattere Berlusconi. Dunque non era imparziale. Per la stessa ragione, in Brasile, sono stati annullati tutti i processi a Lula. ok?”. Mi rifaccio al mio grande amico Marco Pannella che nel 2008 venne addirittura in Abruzzo a farmi campagna elettorale e poi mi volle con lui relatore a Chianciano, e alla sua filosofia di una giustizia senza pregiudiziali politiche, perché è troppo comodo proteggere dalle ingiustizie chi la pensa come te, il difficile è proteggere i tuoi avversari. Chi proviene da una tradizione comunista o cattolico popolare non ha storicamente una cultura avanzata dei diritti e tende a una visione assolutista della realtà. Da una parte il bene e dall'altro il male. Il retaggio di un bipolarismo da vecchi film western. Diceva Camillo Prampolini: “La democrazia non è il rispetto delle maggioranze, ma la capacità delle maggioranze di rispettare le minoranze”. D'altronde ë difficile per chi ha dipinto Berlusconi come un mostro accettare oggi che sia stato vittima di ingiustizie. Ma perché Berlusconi è stato dipinto come un mostro? Mica perché era un grande imprenditore, mica perché aveva appoggiato il Psi, mica perché era presidente del Milan. No. Solo perché nel 1994 aveva osato sfidare la gioiosa macchina da guerra occhettiana e sconfiggerla. Da allora è diventato il mostro. Una sinistra liberale sfida Berlusconi sul piano politico, programmatico, ideale, ma lo difende quando é vittima di una campagna di odio fomentata dalla magistratura e sostenuta dal suo organo ufficiale e quando è condannato da sentenze politiche. Senza titubanze. Forse comincerà a difenderlo ora, d'altronde qualche favore gli è stato reso a proposito della scalata di Vivendi n Mediaset, ma solo perché si sta mostrando sempre più lontano da Salvini e privo ormai dell'antico consenso. La logica però non cambia. Purtroppo. 

Quando parla Draghi

Mauro Del Bue del 9 aprile 2021 BlogLocchiodelbue 

Dicevano che doveva parlare o più prosaicamente metterci la faccia. Sostenevano che fare il presidente del Consiglio non è come presiedere la Bce. E cosi, anche per rispondere a qualche polemica, vedasi quella di Saviano sul Corriere a proposito dei migranti reintegrati in Libia, o quella relativa al caso Erdogan, il presidente del Consiglio ha improvvisato una conferenza stampa, rispondendo ad alcune domande di giornalisti. Draghi non ha esperienza politica, non proviene da scuole di partito, non usa lo stesso linguaggio dei nostri compianti leader del passato. Eppure sa muoversi con scaltrezza nei meandri delle allusioni e dei trabocchetti. Ma soprattutto lo fa con uno stile aristocratico a mezzo sorriso stampato in faccia quasi a sancire un ironico distacco che sconfina in una coscienza di superiorità. Direttore del ministero del Tesoro nella prima Repubblica, governatore della Banca d'Italia e poi presidente della Bce coi numeri ha una certa dimestichezza e nessuno riesce a metterlo in difficoltà se parla di debito, di Pil, di ristori. Più facile provocargli qualche tentennamento se gli sforni qualche richiesta di aperture. Qui la sua risposta è banale e quel “dipende dai contagi” l'avrebbe spiattellato anche mia zia. Efficace invece sulle vaccinazioni. E sull'esempio dello psicologo di 35 anni che sottrae una dose a un anziano che rischia la vita. Per evitare quest'assurdo “fai da te” delle regioni, giustissima la circolare del governo con minaccia del pluridecorato, di rispettare d'ora in avanti la graduatoria anagrafica. Non ci si poteva pensare prima? E la domanda investe il governo Conte e i due mesi di quello di Draghi, che hanno però l'identico ministro della Salute. Così come non si poteva accentrare tutto visto che questo prevede la Costituzione in caso di emergenze sanitarie? Anche la scelta di chi deve essere vaccinato. Molto concreto Draghi mi è parso sui casi Libia ed Erdogan. Il presidente ha opportunamente distinto il giudizio su quei paesi, ha chiamato Erdogan “un dittatore” (avrei aggiunto alla Mughini “un buzzurro” a proposito del caso Von Der Leyen), ma ha sottolineato che con quei paesi l'Italia deve cooperare per motivi di interesse nazionale. Cooperare, non collaborare e qui francamente la distinzione é piuttosto labile. Tutti volevano che Draghi parlasse e ha parlato. Verrebbe voglia di scrivere “Ipse dixit”. Ma attendendomi ai valori della mia laicità, in un mondo che parla troppo, mi accontento di misurare il presidente del Consiglio e il suo governo dalle cose che farà. Anche perché, approfittando di reminiscenze latine, si sa, “verba volant” 

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  sabato 11 giugno 2022

Sul gay Pride

Proviamo ad applicarci a Max Weber…

  lunedì 7 giugno 2021

ANPI

Riprende l’attività il Comitato Provinciale

  domenica 13 settembre 2015

Secondo l’aforisma di James Russell Lowell

Tra gli epigoni degli splendori del ventennio (fascista, s’intende) e coloro che, situati, sul fronte opposto, non resistono (o forse non attendono altro) alla tentazione di controbattere alle provocazioni delle “ultime raffiche” (dialettiche) di quelli che furono i mussolini-jugend.

  martedì 31 marzo 2020

L’EdP del 130° Eh, già, siamo ancora qua

Il messaggio di Paolo Carletti, Presidente del Consiglio Comunale di Cremona

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