Già: la lavagna. Che ha un dritto ed un rovescio. Lì dovremmo collocarci le neghittosità, le colpevoli inerzie, le residue incompatibilità (di risalenze non esattamente nobili), che, come un magma ormai quasi completamente consolidato, costituiscono una barriera invalicabile per il residuo tentativo di armonizzazione e di convergenza delle variegate testimonianze del pensiero socialista in Italia.
Si è tornati, nelle ultime settimane, a rivisitare, facendo una temeraria analogia di transizioni, quella in corso e quella di trent'anni fa, che potremmo comodamente definire qualcosa di molto simile ad un colpo di stato.
La mission non era riformare il modello politico-istituzionale (le successive decadi si sarebbero incaricate di dimostrarlo). Bensì semplicemente di disassare un rapporto di forze e di equilibri che le elezioni legislative della primavera del 1992 avevano confermato.
Soprattutto, di asfaltare i segmenti partitici protagonisti della “prima repubblica”. Certamente i contesti si stavano incartando. E qualcosa di più di una “tiratina d'orecchi” appariva da tempo necessaria.
Ça va sans dire, a carico del partito che più di ogni altro si era speso in termini di lettura dei cambiamenti in corso e di proposta di un edificante progetto di trasformazione del sistema istituzionale e della società.
Ma non era, si sarà capito, questo il motivo della tirata d'orecchi.
Aggiungiamo che il disassamento delle basi di rappresentanza e sostenibilità della lunga e valorosa storia avrebbe semplicemente tolto al PSI il diritto di tribuna.
Un risultato questo quasi irreversibile. Cui si è aggiunta una gestione stralcio delle residue chances di mantenere una dignitosa, anche se molto ridimensionata, audience a dir poco colpevole.
Ci riferiamo a all'accettazione di quel ruolo ausiliario, satellitare e, chi ne ha più ne metta, servile, appioppato dai players dei nuovi equilibri (di centro-destra e di centro-sinistra). Assegnati e, quel che più grave, accettati dai testimoni di improbabili second lifes.
Ma si sa, recrimineremmo sul latte versato!
Diciamo che il punto più basso dell'involuzione nella testimonianza del pensiero socialista coincide con la performance del leader di piccolo PSI, che, sotto la sua quasi ventennale cura, riqualifica le prestazioni servili dei pur scalcinati satelliti dei partiti unici d'oltre-cortina di ferro.
Si dice, nelle analisi finanziarie, che, dopo un pesante default del mercato, di solito arriva un rimbalzo. Nel caso della caduta dei socialisti il rimbalzo dovrebbe essere a V.
Ne esistono le condizioni? A ben guardare il processo involutivo della politica (ed oseremmo, del sistema-paese) fa giustizia (specie le ultime cadute) del valore delle tesi e dei comportamenti in campo.
Campi di raccolta sbriciolati, la “sinistra” erede dell'azzardo dei compromessi più o meno storici praticamente rottamata ed incapace di profferire un'offerta, che non fosse il pervicace governativismo.
È ora (per chi non ha rinunciato a testimoniare il socialismo liberale) di alzarsi in piedi ed osare. Certo, vanno recuperati dignità e diritto di tribuna, con la messa in campo di inaggirabili iniziative (quali la quiescenza del parlamentare che risponde alla seconda “chiama” e la destalinizzazione del PSI oggi in mano ad una piccola nomenklatura autoreferenziale). Poi, occorrerà risintonizzarsi con le sensibilità compatibili con il rilancio di una sostenibile sinistra liberale e riformista.
La remuntada di quel che resta della testimonianza socialista è affidata ad un ruolino di marcia essenziale: 1) ripresa del progetto di Bertinoro (Costituente socialisti italiani aderenti al PSE/Democratici europei) come precondizione per rinsaldare le fila dei senior partners del più vasto campo riformista e laico 2) lancio di un più vasto progetto di sistemazione e di attualizzazione del riformismo liberale e socialista.
Già, ma la lavagna, oltre che un retro disdicevole degno di ospitare le bad performances, ha anche un fronte. Se si ha la voglia di testare le prestazioni in solitaria dei superstiti socialisti, ci si accorge che con la metà del valore delle cose scritte e dette avanzerebbe del fabbisogno di invertire la rotta di questo scalcinato Paese.
Ecco, noi d'ora in poi posteremo sul fronte-lavagna i contributi più significativi delle testate, dell'associazionismo, dei singoli che scrivono e che pubblicano, testimoniando il pensiero socialista.
Da tempo lo facciamo in sinergia con la Fondazione Rosselli (di cui peraltro siamo soci) e con il Nuovo Avanti.
In questa occasione pubblichiamo una recente intervista di Valdo Spini e gli ultimi editoriali di Mauro Del Bue, direttore di Avantionline .
Buona lettura, ai nostri lettori. Troveranno molti spunti interessanti per consolidare il convincimento che osare si può. (e.v.)
L'ex ministro dell'Ambiente ammonisce: "Dovrebbero imparare la lezione dal Pds di allora quando uscì dal governo dopo lo scontro su Craxi e alle elezioni successive Berlusconi vinse"
di Ernesto Ferrara (la Repubblica) 04 Febbraio, 2021
Tale è l'incipit della lunga ed importante intervista che Valdo Spini, presidente della Fondazione Rosselli e nostro riferimento nella galassia delle testimonianze socialiste dei tempi correnti, ha rilasciato ad Ernesto Ferrara su Repubblica del 4 febbraio 20121.
Ne riportiamo, per autorizzazione dell'intervistato, alcuni stralci.
Per Draghi sarà più difficile, lo scenario politico è in decomposizione mentre allora le forze in campo avevano una loro compattezza. Eppure Mario può essere un premier nel solco di Ciampi del 1993, assolutamente sì. Farebbe bene alle forze politiche che troverebbero, come allora, il modo di rigenerarsi. E farebbe bene al Paese, perché è lecito aspettarsi che, proprio come Ciampi, Mario Draghi ricerchi un'ampia convergenza sociale nel Paese". Valdo Spini risponde al telefono felice come una Pasqua: "Mi risento giovane", dice ricordando quegli anni, gli anni in cui fu ministro dei rapporti con l'Europa e poi dell'Ambiente del governo Ciampi. Esecutivo misto, di tecnici e di politici, di breve durata eppure protagonista di scelte storiche, come il patto anti-inflazione con Trentin. La crisi economica e sociale è simile a quel periodo, ma il quadro politico niente affatto, a partire dai 5 Stelle: "E però io credo che i 5 Stelle dovrebbero imparare la lezione dal Pds di allora. Uscirono dal governo dopo lo scontro su Craxi, però lo fecero vivere sostenendolo in Parlamento. E forse avrebbero fatto bene a sostenerlo anche più a lungo, visto che poi si andò a votare e nel 1994 arrivò Berlusconi...
Insomma Spini, Draghi può essere oggi ciò che Ciampi fu allora?
Ma certo. Io Mario Draghi lo conobbi nel 1977 alla facoltà di Scienze Politiche Cesare Alfieri di Firenze. Venne deciso di potenziare il settore economico e da Roma arrivò un lotto di prof notevoli: Draghi per economia monetaria, Ezio Tarantelli che poi fu ucciso dalle Br, Giorgio Ruffolo e arrivai anch'io che venivo da Economia. Quando mi presentarono Mario tutti mi sussurrarono "è bravissimo, è bravissimo". Aveva proprio le stimmate...Da allora ci siamo visti e rivisti, lo incontrai anche a Washington. Credo sia un sincero democratico, scuola Ciampi sì. Le somiglianze sono forti. E non solo per la formazione economica. Da un punto di vista politico non credo che Draghi minacci di fare un suo partito: lui serve le istituzioni, come fece Ciampi, che fu chiamato alla Presidenza del Consiglio poi se ne tornò a casa, poi fece il ministro del Tesoro, quindi il presidente della Repubblica, ma sempre da civil servant.
E nella situazione politica rivede analogie con quel momento?
Sarebbe augurabile che ora come allora nascesse un governo tecnico politico, non è che Draghi può fare la fotocopia di Conte, in cui cambia solo presidente del Consiglio. E mi auguro che si realizzino analogie anche su tutto il resto. Si pensi che Ciampi allora doveva varare una finanziaria per mettere a posto i conti ma in realtà realizzò nell'estate del 1993 un patto anti-inflazione molto importante, c'era Trentin all'epoca. È lecito aspettarsi da Draghi la stessa ricerca di una convergenza ampia con le parti sociali, cosa che lo distinguerà da Monti. Aggiungo inoltre che il governo Ciampi nel 1993 fece anche altro: sovrintese alla nuova legge elettorale, che porta il nome Mattarella, allora capogruppo dei Popolari. Noi come governo assicurammo il clima politico propizio perché il Parlamento potesse deliberare.
E da Draghi si aspetta altrettanto?
Sì, un governo tecnico politico che permetta una rigenerazione alle forze politiche.
Non vede dunque un governo di breve durata?
I compiti da affrontare sono tali da sconsigliare una cosa del genere. I meccanismi del Recovery Fund prevedono una costante sorveglianza, semestrale. A seconda di come si applica il piano si ottengono le rate. E se partiamo bene sarebbe controproducente interrompere il governo no?.
Quindi Draghi dovrebbe gestire pure l'elezione del nuovo presidente della Repubblica?
Qui dipende da come si atteggeranno le forze politiche. Può anche darsi che qualcuno tema che Draghi passi al Quirinale, se fa bene da premier può diventare una guida autorevole del Paese.
Lei ce lo vede?
Si, ma cerchiamo di non rovinargli il percorso...Intanto vediamo come va. Il governo Ciampi allora seguì a una doppia crisi, finanziaria e morale per Tangentopoli. Il referendum sul maggioritario aveva segnato un tornante che aveva fatto cadere Amato e Ciampi riuscì a creare una composizione mista tecnico politica che rese l'atmosfera positiva per la riforma elettorale, per una rigenerazione politica dei partiti e nel contempo per risanare la situazione finanziaria. Sono anche urgenze dell'oggi. C'è il Recovery Fund da gestire realizzando un patto sociale coi sindacati, ci sono le forze politiche con il dovere di rigenerarsi. E c'è una pandemia, che giustifica la chiamata di una figura dell'autorevolezza di Draghi. Non credo che si scomodi Draghi per fare governi alla Leone, le forze politiche devono fare un salto qualitativo. Possono continuare a litigare ma per riprendere prestigio nel Paese devono conferire autorevolezza al governo e farlo lavorare. La pandemia non si risolve, purtroppo, in qualche settimana.
Se lo scenario economico e sociale è simile non lo è quello delle forze politiche però. Allora non c'erano i 5 Stelle in Parlamento...
Vero. Da questo punto di vista infatti il compito di Draghi oggi è più difficile rispetto a Ciampi, perché allora le forze politiche avevano una loro compattezza mentre oggi ci sono dei processi di decomposizione potenti in corso. E d'altro canto è forse proprio il momento di invertire la tendenza. Legittimando un governo Draghi le forze politiche possono rigenerarsi e riproporsi alle urne in altre condizioni nei prossimi anni. I 5 Stelle dovrebbero imparare la lezione dal Pds di allora. Dentro il governo Ciampi inizialmente c'erano tre ministri del Pds: Visco, Barbera e Berlinguer. Giurammo il mattino e loro la sera uscirono perché la Camera respinse l'autorizzazione a procedere per Craxi. Fu un grave errore.
Invece nel 1994 si andò a votare e scese in campo Berlusconi...
Fu l'unico a capire il maggioritario, la nuova legge elettorale: facendo alleanze a destra vinse e sbaragliò il nostro campo dei progressisti e dei centristi, che si presentò diviso. Se il governo Ciampi fosse durato fino alla nascita dell'Ulivo sarebbe stato decisamente meglio...Questo confronto storico dovrebbe stimolare i 5 Stelle. Sanno che il Paese è esausto: come reagirebbe nei loro confronti se si andasse ad elezioni anticipate? Non farebbero meglio ad assumersi una parte dei meriti nel superamento dell'emergenza? Il Pd, dal canto suo, in questa fase potrebbe lanciare un appello forte ad un rassemblement delle forze riformiste di sinistra, sarebbe più che auspicabile. Lasciamo governare la figura italiana più autorevole a livello mondiale, non solo il Paese ma anche le forze politiche ne trarranno vantaggio.