Procede il focus attivato con l'insediamento del superseggio a Camere unificate. Che sarà, una volta venuto meno il core tematico, una presa in carico di riflessioni e di approfondimenti rese in aggirabili sia dalle dinamiche della procedura di elezione del Capo dello Stato sia dall'evidenza di un sistema andato in panne.
Qualcuno oggi ha osservato che, per rendersi conto dello sfaldamento definitivo dell'intelaiatura del sistema politico istituzionale generato dalla Repubblica e dalla Costituzione, non occorre rivolgersi a cani molecolari, georadar, metaldetector.
Tanto è inoppugnabile tale evidenza, che la malpractice (per non dire qualcosa di più severo) ha solo reso più percepibile, tanto i segnali, che provengono dalla fase post-produttiva del dossier, manifestano di andare nella direzione opposta. Rispetto ad uno sforzo interpretativo suscettibile di andare alle radici della criticità sistemica.
Si sbaglia di grosso chi ritiene che un semplice ritorno al proporzionale e che l'approdo ad una qualche forma di presidenzialismo siano la bacchetta magica per uscire dallapanne.
Occorre, come giustamente sostiene Panebianco sul Corsera di oggi, una lunga marcia che abbia come traguardo la rinascita di partiti forti, strutturati, radicati nella società, espressione di culture politiche in cui possano riconoscersi elettori capaci di elaborare e proporre progetti e strategie.
Sull'argomento la nostra testata non diserterà. Invitando i propri collaboratori ed i propri lettori a partecipare al forum. E avvalendosi dei contributi della, si diceva un tempo, “stampa socialista”. In questo numero riportiamo l'Editoriale di Mauro Del Bue, direttore di Avantionline, di Claudio Martelli, direttore politico e di Stefano Carluccio, direttore editoriale, dell'Avanti (di Milano, tanto per intenderci). Invitiamo i nostri lettori di militanza socialista ad uno sforzo immaginativo: immaginare la potenza di fuoco che avrebbe una Costituente Socialista, risultante dall'armonizzazione e convergenza di queste testimonianze, capaci di rivelare un livello di percezione, consapevolezza ed elaborazione, ormai desuete nella vita politica.
Contestualmente, nelle more di percorsi di avvicinamento, invitiamo tutti i nostri lettori e, particolarmente, quelli di “militanza” a seguire la stampa correlata, sostenendo l'Avantionline e abbonandosi all'Avanti mensile.
J'accuse
Mauro Del Bue 2 febbraio 2022 L'EDITORIALE
La lezione di un Parlamento che non riesce per la seconda volta a eleggere un presidente della Repubblica, va messa in relazione con la più alta percentuale di astensioni elettorali della storia repubblicana, che alle recenti comunali superavano il 50% degli aventi diritto al voto. E questi due dati vanno rapportati a due fatti politici: l'inganno dei partiti nei confronti dell'elettorato, che dura dal 1994, e il ricorso a leader non politici cui si tende attribuire pieni poteri. Restiamo al primo. Quando, appena vinte le elezioni del 1994 il Polo della libertà e del buon governo si sfaldò lasciando il passo a un governo presieduto per la seconda volta da un esponente della Banca d'Italia (da Ciampi si passò a Dini), si iniziò il percorso di un maggioritario imposto che si é concluso con lo sberleffo agli elettori del 2018. Sono nati infatti governi che non erano mai stati prospettati all'elettorato: quello gialloverde, quello giallorosso, quello con quasi tutti. Le coalizioni rappresentano raggiri all'elettorato, oltretutto aggravati da una transumanza come quella guidata dai pastori d'Abruzzo celebrati dal poeta, che hanno determinato una crescita senza precedenti dei gruppi senza appartenenza politica alla Camera e al Senato. È finita, da un pò, la giustificazione del maggioritario, dunque. È bene che tutti ne prendano atto. Finita per sempre la promessa di eleggere governi e non parlamentari, elezione che peraltro la nostra Costituzione non prevede. E, poi, la chiamata al governo di quasi tutti nelle mani di un sol uomo, anch'esso uomo di banche e non politico, non può non indurre tutti all'assunzione di responsabilità. Penso che una personalità come Draghi vada preservata anche dopo le elezioni politiche, ma una domanda sul futuro della democrazia rappresentativa dovremmo porcela. Siamo l'unico paese europeo senza partiti identitari, privi di storie condivise, siamo l'unico sistema politico in cui il partito più vecchio, almeno tra i maggiori, cioè la Lega, è stato fondato negli anni ottanta. Altrove resistono forze tradizionali e pochi giorni orsono in Portogallo, col nome di Partito socialista, una forza politica ha raggiunto la maggioranza assoluta. Solo in Italia esiste un Partito democratico che é socialista in Europa ma non in Italia e che ha un passato comunista e un gruppo dirigente democristiano. Solo in Italia Forza Italia non é solo un incitamento alla nazionale di calcio, ma il nome di un'importante formazione politica. Solo in Italia Fratelli d'Italia non é solo il titolo di un inno nazionale, solo in Italia esiste una Lega Nord, oggi senza il Nord, che passa dalla secessione al nazionalismo più sfrenato ma col gruppo dirigente precedente. Solo in Italia esiste un partito fondato da un comico e seguito da ragazzini senza esperienza e preparazione che si chiama 5stelle ma i cui seguaci, assumendo il nome del loro leader, diventano “i grillini”. E solo in Italia pullulano partiti, gruppi e gruppuscoli che non chiariscono la loro identità e si mascherano dietro le definizioni più strane (da Azione a Cambiamo a Più Europa a Noi con l'Italia a Italia viva e chi più ne ha più ne metta). Questo sistema é al capolinea. Ignorato quando non screditato dalla pubblica opinione, pare non accorgersi di tutti i segnali che gli vengono inviati. Noi siamo una piccola comunità orgogliosa di una identità e di una storia e dobbiamo avere il coraggio di tirare il primo sasso. Sapendo non di essere senza peccati, ma di averli pagati tutti, e anche più di quelli commessi. Portare l'Europa in Italia e l'Italia in Europa dal punto di vista istituzionale e politico é un dovere. Il nostro dovere storico.
Il tempo dell'incertezza e il semi presidenzialismo
Claudio Martelli
Nella sua ultima intervista Francesco Forte con il consueto, acuto, realismo contestava l'idea che Draghi lasciasse la guida del governo che presiede per ascendere al Quirinale. A differenza di quel che il premier ha detto nella sua conferenza di fine anno, secondo Forte, gli obiettivi economici e di riforme che si era dato non sono stati tutti raggiunti e la pandemia non appare ancora domata. E dopo aver aggiunto che la situazione e le previsioni economiche troppo incerte, gli
allarmanti dati sull'inflazione, sulla penuria di materie prime (i microprocessori), sui
rincari dell'energia, sul debito pubblico, concludeva che in queste condizioni il capitano non può abbandonare la nave cioè la guida del governo. Non credo che
Francesco abbia scritto quel che ha scritto per solidarietà con Berlusconi candidato: le sue preoccupazioni erano giustificate e anch'io le condividevo ben prima che Berlusconi si candidasse. Tuttavia, più passa il tempo più la confusione e il subbuglio tra i partiti e nei partiti aumentano mentre il vincolo che doveva tenere uniti i partiti della maggioranza di governo si sta sfilacciando e traballano anche le alleanze di centro destra e di centro sinistra. Senza la bussola della responsabilità nazionale ciascun partito sembra perseguire un proprio sotto disegno e tra tanti piani B non emerge un piano A con il rischio di un logoramento delle istituzioni e anche dei partiti alla fine del quale ci sarebbero solo elezioni anticipate.
La preoccupazione che anch'io ho nutrito ruotava intorno a questo interrogativo: se
Draghi lascia Palazzo Chigi e va al Quirinale che ne sarà del governo del Paese?
Ormai però, di fronte ai crescenti segnali di frammentazione e di contrapposizione di velleità impotenti mi vengo convincendo che il miglior piano A è quello di cominciare col mettere in sicurezza l'Italia e la massima istituzione eleggendo Draghi al Quirinale.
A quel punto spetterà al presidente che ha già dato prova di saper promuovere l'unità nazionale e di disporre della massima credibilità internazionale di agire in coerenza per concludere al meglio la legislatura. Al meglio significa tante cose: un programma che consolide e completi quello in corso aggiornandolo ai mutamenti intervenuti e alle tendenze prevedibili nello scenario economico e internazionale. Significa incaricare un presidente del consiglio, preferibilmente un parlamentare, in grado di comporre una maggioranza solida; significa nominare su proposta dell'incaricato un governo di ministri - politici e tecnici - rinnovato nei dicasteri in cui è bene cambiare. Forse è l'ultima occasione per questi partiti e per questi politici di svolgere il loro ruolo che è quello costituzionale di “concorrere alla formazione della volontà popolare” nel solo modo giusto e degno: quello di farsi guidare dal dovere della responsabilità. Forse è l'ultima possibilità per le istituzioni per un rinnovamento pragmatico, senza traumi, senza rotture.
In questo frangente si è evocato il semipresidenzialismo: se con esso si intende il
modello francese di un presidente eletto dal popolo e con poteri di governo allora è
necessaria una grande riforma della Costituzione per la quale non c'è tempo. Se invece si intende che è il Presidente della Repubblica a scegliere il Presidente del Consiglio dando vita a un “governo del presidente” siamo perfettamente dentro i limiti, cioè alla lettera e allo spirito della Costituzione vigente e non c'è bisogno di cambiare nulla, semmai, appunto, di “tornare alla Carta”. In concreto si tratta di proseguire lungo la rotta tracciata da Mattarella quando ha dato l'incarico a Draghi e ha esercitato la sua moral suasion per convincere le forze politiche.
La Costituzione assegna poteri e indirizzi politici fondamentali al Presidente eletto per sette anni dall'assemblea congiunta di senatori, deputati e delegati regionali proprio perché disponga di un potere superiore, più largamente fondato e più duraturo di quello di qualunque governo. Questo potere superiore si manifesta per esempio con l'esercizio effettivo della presidenza del Consiglio Supremo di difesa e di sicurezza nazionale e quella del CSM; con il rigoroso esame di ratifica o di rinvio alle Camere delle leggi votate dal Parlamento e delle stesse proposte di nomina dei ministri. Su tutti questi poteri e prerogative si staglia la decisiva facoltà del Presidente di sciogliere le Camere.
Come detto, questo semipresidenzialismo a Costituzione invariata, deriva dall'assemblea congiunta dei due rami del Parlamento e dei delegati regionali e il suo esercizio può, in questa fase, mediare tra le spinte sempre più forti al presidenzialismo pieno e le opposte tendenze a tornare indietro al dominio pieno e incontrastato della partitocrazia ormai incapace di garantire tanto la rappresentanza (basti pensare ai mutamenti di casacca) quanto la stabilità politica. Se i partiti chiamati a questa prova d'appello fossero capaci di adottare e far proprio un simile progetto, se, contemporaneamente fossero capaci di una riforma costituzionale chiara, semplice, necessaria per fare di due spezzoni di Parlamento identici e perciò inutili un Parlamento unico, un'unica assemblea elettiva di 600 membri fondendo Camera e Senato, essi stessi ne guadagnerebbero in credibilità e il Parlamento in autorità e funzionalità. Ancor meglio se varassero una riforma elettorale decente e se, finalmente, attuassero l'obbligo costituzionale di dotarsi di statuti democratici compatibili con la Costituzione repubblicana.
15 mesi spesi bene, 15 mesi di buon governo e di buone riforme e l'Italia sarebbe rigenerata.
CHE PESO RIFARE L'ITALIA. AVANTI!
Stefano Carluccio
Nel dopoguerra sui socialisti la responsabilità della Repubblica. Oggi la responsabilità per la Nuova repubblica e per la sua riforma socialdemocratica
È in uscita il nuovo numero del nuovo anno. È un numero doppio, come annunciato per tempo, per osservare e riflettere sulle elezioni per il Quirinale che si preannunciavano, come sono effettivamente state, un finale traumatico del sistema politico: dei partiti, del maggioritario, del bipolarismo, ma anche della necessità di superare il ricorso alla supplenza - anche se competente - di leadership politiche che con il declino di questi 30 anni sono del tutto scomparse.
Ci si domanda, in sostanza, se un virus di "meningite politica" abbia colpito tutti i leaders di oggi. La spiegazione è più semplice e concreta. La riassumo in due parole: é un declino corporale. Mi spiego. I Padri fondatori hanno sofferto sul proprio corpo la lotta per la Libertà e una Repubblica
per la Nazione, con la prigione, le persecuzioni, l'esilio, la morte, la fame. Dopo la Liberazione, al di là delle battaglie ideologiche e politiche, un sentimento di quanto fosse prezioso il radicamento sociale per le nuove istituzioni repubblicane era un sentimento comune e condiviso, persino fisicamente, prima ancora che politicamente, da tutti al di là delle ideologie.
La seconda generazione è stata quella dei discepoli, i giovani cresciuti con tali ascendenti e maestri di vita, prima ancora che di politica, essendo le due cose una cosa sola. Esistenzialmente e moralmente. Via via le generazioni si sono succedute e dopo la fine dalla prima repubblica e la secessione tra istituzioni rappresentative e sovranità popolare, la giovane classe ha fatto un testa-coda, cresciuta in ufficio ha guardato più al capo che nomina e non all'elettore, ormai allontanato dalla partecipazione. Di qui la crisi finale dei partiti come assi verticalizzati e impenetrabili. Nelle istituzioni ciò ha comportato una loro privatizzazione: la frattura tra rappresentanza e società si è progressivamente allargata a vantaggio di una autonomia del ceto politico che è diventato infine un "ceto sociale" autoreferenziale, "dominante" come previde Carlo Rosselli.
Questo non è populismo, ma descrive la causa del populismo. il quale non sa governare poiché si alimenta a sua volta di un ulteriore declino di cultura politica avvenuto anche dalla parte opposta, nell'elettorato. Che come se niente fosse, esso considera il non voto una scelta come un'altra, nemmeno di protesta ma di pura inutilità. Un classismo del "nuovo ceto dominante" che ha privatizzato le istituzioni pubbliche ha determinato un generale qualunquismo verso la coscienza della "Repubblica come cosa propria" (Mazzini) perché cosa propria non è, privata di fisiologia vitale tra stato e società dove lo Stato dovrebbe essere lo strumento maggiore dell'autogoverno.
La politica repubblicana rinascerà dalla questione sociale e da una nuova generazione di istituzioni sociali che daranno agibilità ad un ritorno dell'esercizio dal basso della rappresentanza di interessi da parte dei cittadini. Sarà compito di una nuova élite democratica trasferire questa rinnovata buona abitudine a "votare per decidere", nel campo delle istituzioni politiche, oggi svuotate di un legame sociale concreto e attivo, non liturgico, con il radicamento sociale indispensabile alla loro stessa legittimazione. (In proposito, bene e meglio questo afferma Sabino Cassese).
I partiti non si autoriformeranno. La volontà del Presidente Giuliano Amato di stabilire una collaborazione tra Corte Costituzionale e Parlamento (vedi la Stampa del 31 gennaio), è un metodo che può portare frutto anche con stimoli vincolanti ad un ritorno, in qualunque modo, alla rappresentanza sociale delle istituzioni politiche. Solo così, col tempo, rinascerà una classe politica radicalmente nuova. Facendo i compiti.
Tertium non datur, scorciatoie non esistono.
Dalla questione sociale si risolve la crisi istituzionale.
È diritto alla rivoluzione socialdemocratica per la ricostruzione della repubblica.
Questione sociale e crisi politica delle istituzioni
PIERPAOLO BOMBARDIERI - Il riformismo allarga i diritti sociali, non li stringe
CLAUDIO MARTELLI - Vittoria del buon senso e del Parlamento
RINO FORMICA - L'asse Mattarella-Amato per salvare la Democrazia
GIANSTEFANO MILANI - Svolta socialdemocratica per un quadro politico europeo
Le proteste degli studenti contro la falsa Alternanza Scuola-lavoro dopo la morte in un cantiere di Udine del giovane Lorenzo Parelli (di Riccardo Imperiosi - GiovaneAvanti)
"FRANCESCO FORTE E L'ULTIMO VOLO DEL GABBIANO"
Un ricordo di Nicola Scalzini, già consigliere economico del governo Craxi
UN PROGETTO UMANO
Interventi di Tommaso Nannicini e Michele Drosi sul Manifesto dell'Avanti!
LIBERALISMO ALL'ITALIANA
di Alberto Mingardi
POLITICAMENTE SCORRETTO
di Luca Josi
USA, DEMOCRAZIA BICEFALA
di Spencer di Scala
INCHIESTA, LE SOMMOSSE NEL MONDO
di Dario Rivolta
SOCIALDEMOCRAZIA IN GERMANIA
di Lia Quartapelle
LE MENZOGNE DI TRUMP
di Francesco Ruvinetti
KAZAKISTAN, SFIDA TRA POTENZE
di Luisa D'amico
RESTAURAZIONE SOVIETICA
di Anna Zafesova
In uscita il nuovo numero dopo le Presidenziali Prenotalo qui: https://avanti.centrobrera.it