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Focus Gorbaciov

  08/09/2022

Di Redazione

Focus+Gorbaciov

Riprendiamo questa rubrica, molto seguita non solo dai nostri lettori di “simpatie” socialiste, prendendo spunto da un accadimento che da qualche giorno focalizza l'attenzione mondiale: la scomparsa di Michail Gorbaciov. Un evento, data l'età, naturale e prevedibile, ma suscettibile di indurre a riprendere il filo dell'approfondimento storico e della correlazione tra il ciclo che il segretario generale del PCUS ha impersonato e gli scenari attuali.

In parte sta avvenendo; anche se meno di quanto si dovrebbe, soprattutto nel campo della sinistra postcomunista, sempre alle prese coll'irrisolta questione del cosa farà da grande nei contesti aperti da quell'ammaina-bandiera del Natale 1991. Dal forte significato simbolico, ma anche dalla forte discontinuità conseguita al fallimento del leader della glasnost e della perestrojka di riformare il sovietismo. Anche in termini di ricadute sulla cinghia di trasmissione dei partiti satelliti, situati entro ed al di fuori della “cortina”.

Che il fallimentare tentativo riformista di Gorby non fosse entrato nelle corde del popolo russo, sovietizzato e post sovietizzato, lo si evince dalle percezioni in corso d'opera ed in quelle successive della temperie compresa tra i primi anni 90 e il contesto attuale. Che è, con le drammatiche tensioni in corso, la continuazione in altre forme del mezzo secolo di guerra fredda. Il leader che in un quinquennio introdusse la Perestrojka, cioè la ristrutturazione economica e politica, e la Glasnost, ovvero la trasparenza dei processi decisionali in un Paese totalitario, come sottolinea in una recente intervista Claudio Martelli, in realtà avrebbe, partendo dalle migliori intenzioni di liberalizzare un regime totalitario ed autoritario, innescato un processo più che di discontinuità, di disgregazione.

Si sarebbe, già a partire dalla prima metà degli anni 90 del ventesimo secolo, ben presto compreso che l'intenzione prevalente di tutto quanto stava Oltrecortina non era l'approdo al liberalismo politico, ma tout court alla liberalizzazione del sistema economico. In ciò allineato, se non addirittura incoraggiato, dall'Occidente. Su cui incombe, relativamente all'establishment di quell'epoca, qualcosa di più della responsabilità di aver “mollato” il primo presidente eletto della Russa post-sovietica al proprio destino ed, in qualche modo, aver assecondato le vie spicce degli Eltsin e di un'oligarchia esclusivamente interessata a realizzare il comandamento “dell' andate ed arricchitevi”. Architrave (ma questo si sarebbe appurato dopo) dell'instaurazione di un regime nazionalista e non meno oppressive.

Il modello riformistico gorbacioviano, considerando la profondità delle controindicazione dal modello in uscita, postulava tempi lunghi e, soprattutto, l'accompagnamento del “mondo libero”, come si diceva un tempo.

Il combinato dell'ansia di disgregare e di “accontentarsi” del copia-incolla del mercato, avrebbe contribuito al fallimento dell'ultima chance, interpretata da Gorbaciov, del sovietismo di autoriformarsi.

D'altro lato, per la seconda metà degli anni 80 del 900 fu qualcosa di più di un'impressione che l'ultimo segretario Generale del PCUS fosse più apprezzato in Occidente che in URSS.

Lo dimostrarono, in tempo reale, i riscontri di popolarità sia negli establishments politici che a livello di rimbalzo mediatico.

Riandando a ritroso in quei tempi, ci sarebbe anche da sottolineare la particolare, reciproca intente cordiale tra quel leader (che ben presto sovvertì lo stereotipo dell'oligarca imbalsamato del Cremlino) e tutto l'ambiente politico istituzionale italiano. Lo ricorda, sempre nella citata intervista, Claudio Martelli, all'epoca vicepresidente del Consiglio, oltre che braccio destro e uomo di Bettino Craxi nel settimo governo Andreotti.

Circostanza questa che rimanda i nostri ricordi alla riuscitissima visita di stato a Roma di Gorbaciov del novembre 1989. Una fortuita circostanza, legata alla verifica della progressione del progetto della Fondazione Po 2000, ci fece trovare nella mattinata del 29 novembre nell'ufficio del Vicepremier a Palazzo Chigi. Il colloquio di lavoro fu anzitempo concluso dalla scansione dell'agenda della giornata, che ne preveda un ruolo preminente, insieme al premier Andreotti, nel cerimoniale dell'incontro nei saloni d'onore, ubicati al piano di rappresentanza. Fu così che, ristretto nel palazzo diventato nel giro di un'ora impermeabile in entrata ed in uscita, avemmo l'insperata opportunità di vedere fisicamente (ovviamente a distanza) l'ospite d'onore.

Cui dedichiamo il presente focus. Che si avvale dei contributi dell'editorialista Domenico Cacopardo, del Direttore dell'Avantionline Mauro Del Bue e di Giuseppe Azzoni.

L'ultima lettera

Michail Gorbaciov
Michail Gorbaciov

Sono passati 25 anni – una generazione – dalla mia ultima presenza sulla scena politica. Quando, nel 1996, mi presentai alle elezioni presidenziali per raccogliere lo 0.2% dei suffragi.

Ho capito subito il senso di quel verdetto. Significava che l'azione di rinnovamento che avevo intrapreso e che aveva cambiato la faccia del mio paese e del mondo era percepita dai miei concittadini come una catastrofe di cui ero primo responsabile. E questo, badate, a metà degli anni novanta quando colui che avrebbe formalizzato questo concetto, Vladimir Putin, collaborava con il sindaco riformista di San Pietroburgo, Sobciak.

Da allora in poi sono rimasto silenzioso. Rispondendo al vuoto doloroso che sento intorno a me, dopo la scomparsa di mia moglie. Ma anche perché, pur non riconoscendomi nella Russia di oggi, considero insensata e pericolosa la russofobia isterica che monta, incontrastata, in occidente.

Oggi, però, sento il dovere di fare sentire la mia voce; nella convinzione, magari illusoria, che il richiamo agli eventi del passato possa evitare un nuovo ritorno alla guerra fredda.

Trent'anni fa, questa sembrava finita per sempre. E in modo pacifico e consensuale. Molti, allora, e soprattutto dopo, si contesero i meriti di averla vinta. Io vorrei ricordarvi i meriti di chi aveva contribuito a porvi fine.

Parlo di Solidarnosc (oggi diventava succursale del partito al potere ), di Walesa e di Havel e di Carta 77, allora esaltati oggi dimenticati o addirittura vilipesi. Di quanti hanno lottato e sofferto per ridare dignità e libertà ai “senza potere”, ma anche dei dirigenti comunisti che capirono che un regime basato sulla repressione e sulla menzogna non poteva durare. E di una dirigenza sovietica, la mia, che negò qualsiasi appoggio a quanti intendevano rispondere con i vecchi metodi a una protesta, insieme pacifica e generalizzata.

È il ricordo di movimenti venuti alla ribalta in virtù degli accordi di Helsinki considerati dagli stati Uniti (e non solo) come la premessa per la “finlandizzazione”dell'Europa mentre il loro esito fu esattamente opposto. Accordi che, lo dico per inciso, facevano parte della grande strategia della socialdemocrazia occidentale.

Se intervengo oggi, però, non è solo per ricordare un mondo che non esiste più. Ma per esprimere il mio stupore di fronte a una polemica che non ha proprio ragione di esistere. Quella sulle garanzie (non ingresso nella Nato dei paesi del patto di Varsavia) che Putin afferma di essere state date e che gli Stati Uniti negano di avere mai offerte.

Posso affermare, per esperienza diretta, che le assicurazioni ci furono. Ma che furono puramente verbali e quindi assolutamente non vincolanti. E che, soprattutto ci accontentammo di quelle. Perché nessuno di noi poteva lontanamente immaginare che, a trent'anni data, ci saremmo trovati davanti ad insieme di stati nemici lungo tutte le nostre frontiere; e alla sbarra degli imputati per un reato di invasione presunta.

Il tutto, in un clima di isterismo, di minacce, di inutili allarmismi, di richieste inaccettabili, da una parte e dall'altra, che rischia ogni momento di sfuggire di mano; e che porterà, nel migliore dei casi, ad un ritorno a un clima guerra fredda il cui prezzo, pesantissimo sarebbe pagato non dai governanti ma dai governati.

E qui penso al popolo russo. E con forte senso di colpa. Il mio più grande errore fu quello di pensare che la rivoluzione pacifica che avevo contribuito ad avviare nell'allora Unione Sovietica fosse adeguatamente sostenuta dall'esterno; così da inserire, con piena dignità, il nostro paese nel nuovo ordine mondiale scaturito simbolicamente dalla caduta del Muro di Berlino. Questo era accaduto, del resto, alla Germania e al Giappone all'indomani di una guerra mondiale che avevano scatenato in nome dei loro “valori”; e che avevano perso. Per loro, un trattamento di favore: Perché non per noi?

E invece no. Perché, secondo voi noi la “guerra” l'avevamo persa due volte: come “impero del male” ( come siamo ridiventati oggi); e come sistema economico-sociale. Nel primo caso abbiamo avuto il ritorno in forze della Nato come baluardo contro nostre possibili aggressioni. Nel secondo, l'invasione del nostro paese da parte di una serie di esperti i cui consigli (privatizzazioni selvagge, decentramento del potere, riconoscimento a tutto campo del diritto di secessione) e i cui precetti (buttare alle ortiche e rinnegare settant'anni di storia, ivi, compresa, col tempo anche il contributo alla vittoria contro il nazifascismo) si sarebbero fatalmente tradotti in una generale reazione di rigetto.

Uso la poca voce che mi resta per dirvi un'ultima cosa. Contrariamente a quello che pensate, la Russia non vuole aggredire l'Europa; vuole allontanarsene sempre di più. Per solidificare definitivamente un sistema economico-sociale e una cultura che non mi piace e che considero esattamente opposta a quella che avevo sognato. Per voi, uno sbocco naturale per un paese che considerate semiasiatico. Per le giovani generazioni e per tante forze presenti nella nostra società una iattura da evitare ad ogni costo.

Evitate per favore di perorare la loro causa. Apparire come manovrati dall'esterno sarebbe, per loro, il bacio della morte. Ma cercate almeno di costruire un futuro di pace e di collaborazione tra le nazioni in cui abbiano lo spazio per fare valere le loro ragioni e le loro speranze.

GORBACIOV, GRANDE EUROPEO

di Domenico Cacopardo

La scomparsa di Michail Gorbaciov non è soltanto la fine di un uomo che, al tramonto dello scorso millennio, pose nella Storia una pietra miliare come la fine del comunismo in Russia e dell'impero sovietico. È anche uno spunto di riflessione sui nostri giorni. In particolare, offre la possibilità di un ripensamento sulla fine della guerra fredda e sulle sue conseguenze. La Russia di Breznev, burocratica e custode dei vecchi riti, compresa la persecuzione di intellettuali e dissidenti, cantò, come il cigno, il suo canto di morte con l'installazione dei primi missili da crociera, capaci in brevissimo tempo di colpire i punti di interesse strategico dell'Europa. La potenza militare sovietica aveva raggiunto il massimo storico e una serie di modernissimi armamenti di attacco, comprese moderne portaerei, erano in linea. Saliva in quei tempi al potere Ronald Reagan, detto Ronny, un ex-attore di Hollywood che rappresentava il corpo grosso di un establishment americano determinato a reagire ai fallimenti della presidenza Carter che, con le sue imperizie, aveva fatto tracollare l'immagine degli Usa nel mondo. La teoria strategica elaborata nei «think tank» vicini al partito prevedeva una ripresa dell'iniziativa strategica e un'«escalation» nella guerra fredda: in particolare l'installazione in Europa di un sistema di missili Cruise, capace di contrare quelli russi e di realizzare una vera, reale minaccia per l'impero dell'Est e, al contempo, la realizzazione di uno scudo spaziale (detto “Guerre stellari”) consistente in una rete di satelliti capaci di cogliere qualsiasi lancio di missili e, quindi, di attivare le innumerevoli batterie di missili antimissili disseminate nel territorio Usa a difesa di città, basi militari e impianti strategici, In questo modo, la Russia era contrata nella sua strategia di attacco missilistico all'Europa e veniva spuntata la sua arma più potente costituita dai missili intercontinentali che avrebbero potuto colpire con potenti bombe nucleari il territorio americano.

Ovviamente, il Comitato centrale del PCUS e il governo decisero di stare al pari e di procedere anche loro in una escalation rapportabile a quella messa in campo da Reagan. Morto Breznev, il potere fu affidato a Jurij Andropov, ex capo del Kgb. Doveva essere la punta di diamante del nuovo riarmo e della riscossa dell'impero: invece, personalità dotata di estremo realismo (e di scetticismo), comprese rapidamente che la rincorsa agli Usa stava stressando il sistema economico russo e prosciugando le sue risorse. Insomma, si rese conto che, con la duplice mossa “Guerre stellari” e missili Cruise, gli Stati Uniti stavano vincendo la guerra fredda e che l'Urss non aveva i mezzi finanziari, industriali e scientifici per impedire la vittoria degli avversari.

Seriamente ammalato, durò solo 14 mesi e venne sostituito da Kostantin Cernenko, un burocrate grigio e piatto che dopo 13 mesi di mandato venne sostituito da Michail Gorbaciov, l'uomo del nuovo corso nel partito, il teorico dell'introduzione della tolleranza nel monolito del Pcus e nell'impero. Le sue proposizioni di avvio ricordarono agli appassionati di storia del Novecento le profetiche parole di Alexander Dubcek, il protagonista della sfortunata Primavera di Praga, il politico che sosteneva la generosa utopia che comunismo e democrazia potessero convivere con beneficio di entrambi.

Le parole d'ordine che Michail Gorbaciov lanciò dalle stanze di ciò che rimaneva del potere reale dei capi del Cremlino (un potere ancora ampio e pervasivo) furono «glasnost» e «perestrojka», cioè trasparenza, come attitudine a far conoscere ciò che maturava al governo del paese e del partito -concetto che comprendeva l'abolizione dei privilegi della nomenklatura e la lotta alla corruzione-, e ricostruzione della Russia e delle sue strutture politiche. L'uomo (un russo europeo a 360 gradi) e i suoi propositi ebbero un grande impatto in Oriente e in Occidente, dove divenne l'idolo di tutte le forze riformiste e socialdemocratiche. Con lui, la Guerra fredda ebbe fine e si procedette sulla strada della reale distensione che comportava e comportò una crescita esponenziale dei rapporti politici ed economici con l'Occidente.

La carriera politica di Gorbaciov termina nel 1991, dopo un fallito colpo di stato e l'assunzione legittima del potere da parte di Boris Eltsin, l'uomo della Russia de comunistizzata. Porta con sé, Eltsin, il complesso di interessi che faceva capo alla vecchia nomenklatura comunista, ai grandi manager e, soprattutto, al Kgb diventato FSE che riesce a collocare al suo fianco il più grigio e obbediente dei suoi ufficiali, Vladimir Putin. Con Eltsin, la Russia assiste alla più grande spoliazione che un ceto dirigente abbia mai compiuto nella storia a scapito del suo popolo. Nascono gli oligarchi, subito abituatisi agli sprechi di una ricchezza frutto non del sudore della fronte o dell'ingegno, ma a una felice combinazione di rapporti opachi. La «glasnost» è archiviata e per sempre. La lezione che possiamo trarre dal fallimento dell'operazione trasparenza e rilancio della Russia di Gorbaciov è che anche il riformista più illuminato deve accompagnare le riforme con la forza della legge. La forza delle idee, accompagnata dalla forza delle istituzioni. Infatti, il governo di Gorbaciov non toccò gerarchi e gerarchetti, tanto da subire l'onta di un golpe e di 3 giorni di detenzione da parte dei rivoltosi. Non mise in campo nessuna purga, nessuna rottamazione, nessuna pulizia reale, subì una magistratura da sempre prona al potere zarista prima e sovietico poi, di cui non s'era realizzato il rinnovamento né il conferimento di una specifica funzione di pulizia dei corrotti dal sistema. L'attuale dispotismo che regna a Mosca è l'opposto di ciò che Gorbaciov aveva sognato. La storia non torna indietro, ma rimane un fatto incontestabile che ciò che accadde dopo, accadde per le debolezze di un riformismo incompleto incapace di condurre le proprie scelte alle conseguenze finale ed estreme, quelle che avrebbero reso irreversibile il processo di democratizzazione. In ogni caso, togliamoci il cappello di fronte ai uno dei più grandi pensatori e politici della storia europea.

* This is Europa's moment Stronger togheter Domenico Cacopardo (Kakoπ?ρδ?σ) www.cacopardo.it Presidente di s. del Consiglio di Stato r. strada N. Bixio 41  43125 Parma

Domenico Cacopardo
Domenico Cacopardo

La svolta di Gorbaciov

Mauro Del Bue del 31 Agosto 2022 L'editoriale

Gorbaciov ha cambiato la storia o la storia ha cambiato lui? Cosa sarebbe stato il 1989 senza Gorbaciov e cosa sarebbe stato Gorbaciov senza il 1989? Potevano reggere ancora quei sistemi comunisti autoritari e chiusi in loro stessi con economie allo sfascio e con quelle specie di marionette infagottate che sovraintendevano a una serie di ricorrenze e celebrazioni, anche dopo che si erano sfaldati i regimi fascisti? Un sistema autoritario può esistere nell'epoca di internet e del potere della comunicazione? Regge la Cina ma questo paese si è trasformato da statalista a capitalista. Ha cambiato le sue radici marxiste e leniniste interpretate da Mao. Ha messo insieme come in un ossimoro se stessa e il suo contrario: un comunismo autoritario e un'economia privata di stampo liberista. Gorbaciov invece ha tentato di tenere insieme alcuni principi marxisti nell'economia concedendo libertà e democrazia al suo popolo e ai paesi fratelli. Il muro cadde a Berlino e secondo un filosofo giapponese finì la storia. Quella storia, senza dubbio. Ma i nostri tempi sono migliori? Putin ha approfittato di un orgoglio ferito per un impero caduto in pochi giorni. Per lui il crollo dell'Unione sovietica è il peggior dramma del Novecento. E Gorbaciov il colpevole del grande misfatto, ad onta delle parole di circostanza pronunciate dopo la sua morte. Gorbaciov, premio Nobel per la pace, aveva avvertito negli anni novanta di non umiliare la Russia. Forse la comunità mondiale avrebbe dovuto ascoltarlo. Si sarebbe potuto evitare l'affermazione revanscista di Putin e i suoi crimini? Si sarebbero potute evitare le stragi in Cecenia, quella in Georgia e oggi quella in Ucraina? Nessuno può dirlo. Certo di fronte a Putin Gorbaciov ci appare nella statura dell'eroe e del profeta. E come tale credo vada oggi ricordato. Un uomo del Novecento protagonista con le sue azioni di quella fine del comunismo che i popoli che ne erano soggetti disperavano di veder realizzata. Il seguito della storia non l'ha scritta lui E non può esserne reso responsabile. Ho letto che il comunista Rizzo ha dichiarato che aspettava la notizia della morte di Giorbaciov dal 1991 e adesso brinda felice. Un motivo in più per rattristarcene.

Mauro Del Bue
Mauro Del Bue

Addio a Gorbachev che vinse la guerra fredda

(Avanti 31 Agosto 2022 )

Morto l'uomo che fu l'ultimo segretario del Partito comunista sovietico fino alla sua dissoluzione. Mikhail Gorbachev ricordato come il più grande riformatore dell'Unione Sovietica ci ha lasciato oggi all'età di 91 anni per problemi di salute diabetici e renali.

Nel 1985 anno del suo insediamento come segretario l'allora premier Bettino Craxi, fu il primo presidente del Consiglio occidentale ad essere ricevuto da Gorbachev. Il capo dell'Unione Sovietica maturava l'accentuazione europea della politica estera sovietica nella prospettiva di riportare la Russia nella “casa comune europea”; e proprio Craxi riscontrò l'impressione datagli da Willy Brandt, incontrato al suo arrivo a Mosca, riguardo il pensiero europeista del nuovo dirigente sovietico

Questo il saluto di Gorbaciov a Bettino Craxi, così come riportato da suo figlio Bobo sui social:

“Siamo lieti di salutarla a Mosca, egregio signor Craxi, tanto più che è la prima volta che Lei viene nel nostro paese in qualità di capo del governo italiano. La sua visita nell'Unione Sovietica è indubbiamente, un indicatore della volontà di ambedue le parti di ravvivare ulteriormente i contatti politici sovietici-italiani. Noi apprezziamo il fatto che tra l'URSS e l'Italia si sono stabiliti e vanno sviluppandosi discretamente rapporti reciprocamente vantaggiosi in diversi campi. Dalle nostre parti nessuno ignora il fatto che tra l'URSS e l'Italia esistono delle divergenze su alcuni problemi internazionali, compresi quelli di non poca importanza. È significativo però, che si è di fronte alla comune aspirazione ad avviare un dialogo costruttivo, a ricercare congiuntamente vie che conducano al rilassamento dell'attuale pericolosa tensione. Il mondo sta vivendo tempi difficili. Per motivi di cui abbiamo parlato più di una volta non si sono avverate quelle speranze che i popoli giustamente collegavano col processo dei mutamenti positivi dei rapporti internazionali, processo che ha preso corpo grazie agli sforzi di molti paesi negli anni '70. Gli è subentrato il confronto, la cui psicologia stimola la corsa agli armamenti che di per se ha già superato ogni limite. A sua volta l'ammassare degli armamenti allo scopo di spezzare la parità, formatasi nel campo strategico-militare, genera da qualche parte una pericolosa inclinazione ai metodi ed esercizi aggressivi nella politica estera. Tale circolo vizioso – confronto – corsa agli armamenti – confronto può e deve essere rotto. La civiltà umana semplicemente non ha un'altra via di scampo”.

MIKHAIL GORBACIOV

di Giuseppe Azzoni

Da vecchio militante del PCI conservo e terrò in animo un ricordo molto positivo di Mikhail Gorbaciov e provo dispiacere per la sua morte. Con umanità ed intelligenza egli ha scritto pagine di storia di massima rilevanza. Fu alla testa di una realtà sociale, economica, politica immensa nella quale i forti valori rivoluzionari del socialismo, del comunismo, del movimento operaio si erano man mano offuscati, avevano subito tratti di degenerazione, disperdendoli e contraddicendoli. Si spegneva la “spinta propulsiva” che era venuta da quei valori, dalla rivoluzione d'ottobre, dalla eroica vittoria sull'invasore nazista, da innegabili progressi sociali, dal sostegno a tante lotte di liberazione dal colonialismo. Per converso le rigidità autoritarie e l'imbavagliamento di legittime pulsioni popolari da parte del “socialismo reale” originavano tensioni e situazioni pronte ad esplodere, sempre più frequenti. In parallelo la “guerra fredda” si esacerbava e presentava pericoli sempre maggiori con una insostenibile corsa al riarmo. Gorbaciov operò per sminare il terreno, per ripristinare i nostri originari ideali di libertà, giustizia e pace con grande coraggio, coerenza, consapevolezza e responsabilità. Con ciò rimosse gravissimi pericoli, evitò esplosioni sociali eliminando antiche oppressioni sempre meno tollerate dai popoli interessati. Fu protagonista di una inversione di tendenza rispetto al riarmo ed al nucleare di guerra. In URSS nuovi processi positivi si rendevano possibili e naturalmente trovavano resistenze e reali difficoltà. In queste contraddizioni la direzione che Gorbaciov aveva impresso fu indebolita e poi sconfitta per i noti fatti in cui prevalsero, dopo la irresponsabile provocazione golpista, forze di un cambiamento in senso oligarchico e nazionalistico. Un difficilissimo cambiamento che era stato condotto in modo da evitare rovinosi disastri fu frenato, bloccato e deviato. Si scivolò verso un potere economico di ricchissimi oligarchi ed un potere politico sempre più autocratico, nostalgico di quella supremazia imperiale “grande russa” simboleggiata dall'Aquila bicefala che Lenin aveva fatto crollare.

Giuseppe Azzoni
Giuseppe Azzoni

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  sabato 26 giugno 2021

Eutanasia legale

Procede la raccolta firme

  giovedì 29 gennaio 2015

Da (questi) ‘antifascisti’ ci guardi iddio, che ai fascisti ci penso io

E la verità è che Cremona é stata messa a ferro e a fuoco per un’intera giornata e la sua vita ordinata è tuttora messa in sospensione da una “scazzottata"

  martedì 8 marzo 2022

Le due metà del cielo…insieme/2

Focus 8 marzo 2022

  domenica 29 gennaio 2017

AICS a Congresso Lo Sport sociale una risorsa per il paese Bandera passa a Vallara il testimone

Ci eravamo già occupati, come si ricorderà, delle feconde iniziative di uno tra i più attivi enti di promozione sportiva. Che fin dalle sue origini, pur occupandosi del prevalente core businnes, ha sempre coniugato la promozione sportiva con la crescita culturale e, da un po’ di tempo, della solidarietà sociale.

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