Quando ci si addentra nei territori del dolore si corre il rischio di sottoporre la testimonianza all’accusa di ricorrere alla retorica ed, ancor peggio, alla strumentalizzazione.
Pazienza! Ma abbiamo cuore e mente troppo gonfi di dolore e di risentimento per questa (ennesima) tragedia del lavoro; che induce a considerazioni un po’ più ampie dello spunto cronachistico.
Perché, va detto, diversamente dal solito, questa circostanza, non induce, almeno dalle battute iniziali con cui è stata presentata la ricostruzione dell’evento, ad agitare un caso di ordinaria trascuratezza.
È un evento tragico che, però, non è neanche conseguenza del fato o del taglio del filo delle Parche.
Le doverose investigazioni ne chiariranno puntualmente la dinamica; ma sin d’ora, sarà perché si può definire una tragedia a km 0, sarà perché la dirittura umana ed imprenditoriale del gruppo coinvolto sono cosa ben nota, appaiono universalmente escluse le circostanze dell’incuria con o senza dolo eventuale.
Ogni giorno la vita impartisce delle lezioni, in alcuni casi anche severe.
La tragica fine di Angelo e di Francesco è una di queste.
Due cittadini esemplari, ben inseriti nella comunità, due lavoratori senza mende, responsabili (come sempre dovrebbe essere) verso l’azienda. La congiuntura che se lo fossero stati un po’ di meno, ad esempio assumendo un atteggiamento neghittoso di fronte alle avvisaglie dell’anomalia causa del sinistro, oggi parleremmo di pesanti danni economici per un primario gruppo agro-industriale, non già di un grave infortunio sul lavoro con due decessi, dice inequivocabilmente della loro dedizione.
Si sarà fatto certamente caso al particolare che, quasi sempre, le morti sul lavoro si moltiplicano per effetto di gesti eroici di soccorso tra compagni di lavoro.
I due morti sul lavoro di Bonemerse rappresentano la media pro die dell’incidentalità, con conseguenze mortali, del trend infortunistico italiano; il più elevato, per inciso, a livello continentale. Esso rimane costante a prescindere dalla riduzione della base produttiva provocata dalla crisi economica.
Indubbiamente si muore di più sulle strade; si morirebbe di più in guerra. Già! Ma questo dato, di per se stesso, resta impressionante.
Le norme (eccessive e farraginose) non mancano. Un po’ meno l’assiduità, la sistematicità e la profondità dei controlli e una direttrice spontanea del management.
Ma questo tributo di vite strappate nell’esercizio dell’attività più rilevante e feconda per il consorzio umano dice ancora qualcosa alle nostre coscienze od è destinato a scivolare su di noi come l’olio sull’acqua?
Si è andata attenuando la percezione delle reali dimensioni degli apporti etici alla stabilità e alla coesione sociale, alla gerarchia dei valori, su cui regge l’intelaiatura della vita comunitaria e della civiltà.
A concorrere a ciò è la perdita di contatto delle cose che contano: il lavoro, la dedizione verso se stessi e gli altri, la solidarietà, la serietà.
Certo che si deve vivere! Ma per ciò, si trae sostentamento dal lavoro (dai lavori!), a prescindere dal ruolo e dalle funzioni.
Invece, il capolavoro del combinato tra globalizzazione/deregulation pilastro del turbo-capitalismo ha svuotato l’economia del perno manifatturiero, ha impancato la finanza, con cui dai soldi si traggono altri soldi, attraverso ovviamente trappole ed illusioni, ed ha travolto il perno etico-morale del sistema, il lavoro.
Lo si è messo in un recinto e svilito. Si sono messi sotto schiaffo diritti e regole, subordinati alla “flessibilità” (termine che mimetizza il mantra della pretesa di mani libere). In cui il tuo ruolo ed il tuo apporto all’organizzazione aziendale hanno lo stesso significato degli altri fattori produttivi: le materie prime, l’energia, il pakaging, lo stoccaggio/logistica, la trasportistica, il marketing.
E, come tutti gli altri fattori, quando servi meno o non più, vieni ridimensionato od espulso.
Vieni lasciato in balia di un welfare sempre più declinante e degradato; in barba alla vulgata dello stato etico, che ti coccolerebbe fino a rimboccarti le lenzuola..
Questa degradazione di ruolo sociale comincia già da come la tua vita viene preservata nei luoghi di lavoro. E vabbé, se ogni tanto ci scappa il morto; ma è ineluttabile: dicono.
Non v’è, in ogni caso, dubbio alcuno attorno al fatto che la resilienza dai presenti scenari di degrado e di declino non passi (e non debba passare) dalla riduzione dei diritti e dall’umiliazione del lavoro.
Né dal rifiuto a distribuire i sacrifici su una platea più vasta di quella che i sacrifici ha sempre subito.
Magris annotava ieri: “la crisi economica arrischia di provocare non tanto una lotta per la sopravvivenza quanto una fiacca rassegnazione. Ci sono individui che lottano con le unghie e con i denti per la loro esistenza e per la dignità della loro esistenza“.
Il fermo-immagine dei caduti sul lavoro di Bonemerse ci sprona a far sì che tutto ciò non accada più.
Sarebbe ciò un grave segnalatore dell’attenuazione delle capacità individuali e collettive di essere fedeli ai capisaldi etici su cui si fonda la comunità. Angelo e Francesco sono nostri figli. La campana della loro morte ci rende consapevoli che oggi la comunità è più povera. Ciò è dimostrato dalla folla che ha partecipato alla cerimonia di commiato.
L’Onnipotente? - «Il denaro, in quanto possiede la proprietà di comprar tutto, di appropriarsi di tutti gli oggetti, è dunque l'oggetto in senso eminente. L'universalità della sua proprietà costituisce l'onnipotenza del suo essere, esso è considerato, quindi, come ente onnipotente...» – Karl Marx
La Redazione de L'Eco del Popolo Cremona