Non ci sarebbe bisogno neanche del titolo, tanto è evidente il richiamo al film monicelliano, più di ogni altra opera cinematografica del periodo, evocativa (fino ad entrare irreversibilmente nel linguaggio e nelle suggestioni) del senso di fine ciclo. Con il che, tanto per essere chiari, dichiariamo di non voler affrontare hic et nunc una vasta disanima su una valenza ciclica (tanto è implicita nelle cose).
Anche se è evidente che il traguardo della crisi governativa attivata un mese fa non è da ascrivere ad una fattispecie ordinaria delle dinamiche politico-istituzionali. Ne parleremo più a lungo nel prosieguo. Ma già sin d'ora vogliamo evitare di assumere, pro bono pacis, la cattiva postura del medico pietoso (notoriamente artefice di deragliamenti clinici).
Come argomenta Mauro Del Bue, direttore dell'Avantionline, nell'articolo di apertura di questa rubrica, “si è fatta la migliore scelta possibile”. E su ciò è difficile non convenire. Ma esortiamo ad alzare lo sguardo e a cercare di percepire che il governo Draghi sancisce la conclusione di un percorso caricato di valenza sistemica. In quanto ha manifestamente coinvolto i perni identificativi della prassi costituzionale fin qui seguita, smottati sotto il peso dell'ormai evidente incapacità di assicurare all'ordinamento un funzionamento lineare ed efficiente. Può essere accettato come percorso fisiologico la sommatoria, nell'arco di un ventennio, di due o tre governi del presidente o di emergenza e di unità nazionale, intervallati da governi per i quali non c'è stato un preciso mandato del corpo elettorale?
Conveniamo con l'analisi di Del Bue: non c'erano alternative (che non integrassero un ulteriore degrado) all'approdo a questo governo panacea. Se fosse stato solo un problema di “governo migliore” (come aveva auspicato Antonio Polito sul Corsera) potremmo dichiarare raggiunto l'obiettivo. Anche se a minimo sindacale, anzi a minimassimo sindacale; se si considera il rating degli ultimi tre o quattro governi (in cui non parti sanamente includiamo anche quelli di centrosinistra).
È pur vero che modelli istituzionali, più collaudati di quello italiano, hanno mostrato, insieme alle vistose brecce nella tenuta dell'intelaiatura comunitaria, qualche impasse. Ma il default dell'impianto liberaldemocratico del nostro Paese ha messo a nudo vistosi elementi di disassamento. Quale l'ormai certificato disassamento dell'associazionismo politico di massa, che per mezzo secolo ne fu l'architrave (per di più aggravato dall'illiquidimento del pensiero politico), la rarefazione dell'etica civile, la crescita esponenziale del trasformismo (funzionale ai percorsi emergenziali), il quasi irreversibile declassamento della qualità della classe dirigente, il pervicace rifiuto di affrontare organicamente l'efficientamento dell'ordinamento istituzionale.
Chiudere questa fase con l'ingaggio di civils servants di indubbio maggior rango apre quanto meno una speranza. Impiccarsi ad aspettative miracolistiche, prive di un indispensabile aggancio alla realtà, non farebbe altro che avvitare la crisi sistemica.
Ma, come premesso, non vorremmo parlare di questi aspetti generali.
Ma quel tutti a casa ha una valenza più circoscritta. Riguardo lo stato dell'arte del socialismo italiano. Ne abbiamo già parlato in precedenti riflessioni. Con le quali, tra l'altro, abbiamo dato vita alla “lavagna”, concepita come una sorta di pannel espositivo, capace di attivare un accesso sinergico alle testimonianze socialiste, ancora attive.
Fino a qualche settimana fa avevamo accarezzato l'idea di uno sforzo di armonizzazione e convergenza. Per il quale controfattualmente era ed è auspicabile un'inversione nella tendenza che ha portato alla polverizzazione di testimonianze, minoritarie ma diffuse.
Neanche cuori indomiti e stomaci forti come quelli di cui disponiamo appaiono sufficienti ad avere reale contezza dell'indotto provocato dalle recenti opere dell'unico socialista presente nei consessi parlamentari. Si deve a lui se il piccolo, ma giustificato e dignitoso PSI è approdato al nulla ed alla perdita totale del diritto di tribuna.
Non si può certo rampognare la liofilizzazione del PSI come partito di massa, senza tener conto del processo generale di polarizzazione dei contenitori associativi. Ma il PSI, prima di Boselli e poi di Nencini, era diventato sempre più piccolo nella logica di contrasto preventivo a qualsiasi, diciamo, OPA. Intendendosi qualsiasi, si sa mai, progetto volto ad ampliare la platea degli aventi causa nella definizione delle linee politiche e della selezione degli organi dirigenti, ad ogni livello.
Sia mai; è restato e doveva restare una piccola entità, impenetrabile all'allargamento della platea dei militanti ed impermeabile agli impulsi di ricerca di strade di resilienza.
Le recenti performances di un leader autoreferenziale, che lo hanno maldestramente visto inforcare (con gesti sconcertanti) la direzione opposta a quella che avrebbero preso gli eventi, hanno avuto la conseguenza non solo di privare il campo socialista di spartito e testo per affermare il proprio ruolo di testimone del pensiero liberalsocialista, ma, soprattutto, di confinarlo nella dimensione dell'impronunciabilità.
Destino strano questo. Proprio adesso che molti appiccicano sulla divisa del premier le mostrine di liberalsocialista e contemporaneamente scivola via l'unica testimonianza titolata a rappresentare questi valori!
Di positivo c'è che, in controtendenza con questa immane epilogo (che andrà rimosso) del “tutti a casa”, sopravvivono e si potenziano in una dimensione prevalentemente territoriale segnali di presenza socialista.
Ne sono una prova il nuovo Avanti! dell'edizione milanese diretta da Martelli e l'Avantionline diretto da Del Bue. In aggiunta ad altre testate e presenze associative di ispirazione socialista.
Occorre ripartire da qui. Per rispetto dei militanti la cui vita non traccheggia tra la prima e la seconda “chiama”. Nella consapevolezza che l'ideale socialista ha ancora qualcosa da dire alla società.
Ok. Abbiamo riproposto nel testo integrale (e non per amore di autocitazione) la riflessione (accorata? disperante? disperante ma consapevole?) discendente dalla rivisitazione delle “opere” del leader maximo di quel che resta della sopravvivenza socialista nella recente congiuntura di transizione dall'agonia del governo giallo-rosso alle terre sconosciute di quel che avverrà.
Riflessione in cui ci sta dentro la consapevolezza dello scivolamento del modello politico-istituzionale testato per oltre mezzo secolo (con luci prevalenti sulle ombre) e, dato che c'eravamo, della polverizzazione del campo della sinistra (lato sensu) e del fine corsa della testimonianza (organizzata) del socialismo italiano.
Ma, mentre tutti gli altri players politici continuano a stare sulla giostra o nel giardino dei balocchi nell'intento di spremere fino in fondo il limone dei benefits della gestione del potere e di poter “sfangare” il redde rationem di un'involuzione sistemica difficilmente irreversibile, i socialisti (ovviamente quelli che ancora credono nell'attualità dei cardini del pensiero) dimostrano di non lesinare nell'affrontare un'analisi (abbiamo detto dolorosa, ma, aggiungiamo, ineludibile per un dovere verso l'opinione pubblica e verso se stessi).
La cimasa iconografica dell'incipit richiama, diciamo, le “puntate” con cui la nostra testata ha scandito la ricerca teorica sul punto.
Diversamente dai personaggi del cinematografico “tutti a casa” (Sordi e Reggiani/Nencini), noi socialisti non scappiamo. Anche se corriamo il rischio di essere percepiti come una sorta di Hiroo Onoda (inconsapevole del fine match), noi non scendiamo dal quadrato. E continueremo fino in fondo quantomeno l'analisi e le ricerca sulla permanenza dei valori della teoria liberal socialista. Nell'aspettativa di collocarla al centro di un più vasto percorso di resilienza della sinistra e dell'intero sistema politico.
È una testimonianza questa che, in assenza di ottimali condizioni per un ampio confronto collettivo (in partecipazione fisica o in remoto che sia), non può comunque a modalità solitarie, suscettibili di deragliare sul terreno deleterio di un'autoreferenzialità priva di contraddittorio o, quanto meno, verifica critica.
È per questo che stamani abbiamo promosso un giro di contatti per sponsorizzare l'invio di contributi sul tema.
Che, ad ora, è stato concretamente riscontrato dal portavoce della Rete delle Comunità Socialiste del territorio, Tommaso Anastasio, da Antonio Biffi (indimenticato Sindaco di Stagno Lombardo) e da un lettore che firma “A.D.”.
TOMMASO ANASTASIO (portavoce della Rete delle Comunità Socialiste del territorio)
Caro Direttore, condivido al 101% l'analisi e gli auspici. Sei stato fin troppo diplomatico, ma se vuoi essere letto e, soprattutto, compreso dai potenziali detrattori (anche in seno al partito) di Nencini, hai scelto il profilo giusto. Voglio però precisare che la mia (e, credo, la nostra) non è una battaglia contro la persona, di cui nutro un grande rispetto per l'alto profilo umano ed intellettuale; meno come leader di partito. È ormai ineludibile che il rinascimento socialista italiano debba passare dalle elaborazioni e dalle discussioni sviluppate attorno ai media socialisti per eccellenza tra i quali l'Avanti!, l'Avantionline e L'Eco del Popolo. L'unico mio dubbio è: ma, a parte L'Eco, le Testate in questione, hanno capito di quale responsabilità sono investite volenti o nolenti? Hanno compreso che in presenza di un Partito Socialista Italiano completamente sfatto, queste rimangono gli ultimi gangli pensanti che possono fungere da riferimento (per non dire da guida) ai socialisti sparsi per il Paese? Almeno fino a quando la "casa" bruciata non sarà ricostruita da una nuova Costituente.
ANTONIO BIFFI
Disamina corretta e condivisibile in toto. Credo che purtroppo la politica come l'abbiamo vissuta noi fino agli inizi degli anni 90 non potrà contare in futuro sull'interesse e il cuore che aveva. Oggi prevale la pancia, la diffusa ignoranza politica che si riconosce in certe manifestazioni di piazza che ha connotazioni di destra e di sinistra. Non ultimi gli accadimenti americani. Ho sentito ragazzi che protestavano davanti alle scuole senza cognizione di causa scimmiottando periodi 68ini in modo patetico. Che tristezza! Un futuro che chiede diritti e dimentica i doveri. Francamente, credo che pochi giovani raccoglieranno la gloriosa e ricca eredità del socialismo liberale e riformista. Tanti, purtroppo, seguiranno via via i predicatori di turno, i comici, i personaggi pubblici o dello spettacolo, che forti della visibilità sui media trovano terreno fertile nella nostra “società dell'apparire”. Triste da ammettere, ma anche partiti strutturati come il PD faticano a rinnovare la classe dirigente e, quando ci riescono, a volte partoriscono "soggetti" che frantumano il partito. Ormai siamo abituati a fuoriuscite e divisioni soprattutto nella sinistra, quasi potesse essere un vanto.... Quale futuro? Forse se si potessero mettere in disparte i personalismi, cosa poco probabile, e rifondare una sinistra unica, senza cespugli, potremo pensare a un futuro socialista. Servirebbe un vero leader, peccato che all'orizzonte non se ne veda uno degno di nota.
“A.D.”
Condivido in gran parte. Ma questa testimonianza di stampo sostanzialmente riformista trova quanto resta del postPCI pervicacemente impermeabile ed ostile. Ricordi Bersani che, qualche anno fa alle Colonie Padane, raccontò la favoletta della vecchia compagna, convinta che gli elettori di Grillo erano quasi tutti compagni del PCI?. Non so se come consenso elettorale, ma la lettura dei post comunisti mai diventati liberalsocialisti è questa. E tiene il PD in stand by a rimorchio di quel populismo di “sinistra” che è stato per decenni il sicurvia del massimalismo comunista e che ha continuato a guidare, fino allo sfinimento, il PDS, DS e PD. A questo punto dobbiamo dare per persa la nostra speranza di convertire questo PD. Conseguentemente lavorando per aggregare un campo di sinistra riformista. Avendo occhio alle convergenze locali.