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Focus Ponchielli/2

Al pettine i nodi di…

  13/09/2020

Di E.V.

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...trent'anni di reticenze e di insistite vaghezze, coltivate e praticate a servizio della pretesa che qualsiasi pur timido apporto discendente dal pensiero critico fosse incompatibile con l'aggregato ed il sedime di inoppugnabili postulati, circa il nucleo ispiratore e la linea-guida pratica del Teatro cittadino, approdato 35 anni fa al format municipale.

Tanto per non essere fraintesi, estendiamo tosto la scansione temporale di un lustro. Appunto, per non essere fraintesi e/o per non prestare il fianco alla facile ritorsione polemica di voler (noi) scaricare sugli scenari successivi (della seconda repubblica cremonese) le cattive posture di un nuovo corso, ispirato (come vedremo in un successivo approfondimento) da ben altre ambizioni.

Quelle cattive posture ed i nodi progressivamente accumulati che oggi vengono al pettine, ad insaputa degli addetti ai lavori, retrodatano, in realtà, ex cunabula.

Vale a dire, da quella culla di metà anni 80, che può essere assunta come convenzionale scansione temporale della transizione dei primi due secoli del teatro espressione elitaria al teatro di cittadinanza.

Giocarono forse nella radicazione delle cattive posture, risultate evidenti coram populo (anche se espunte dal radar ufficiale delle percezioni e delle consapevolezze) una sorta di work in progress, affidata ad una mission quasi salvifica (in più di un senso), una certa impreparazione di un ceto politico non esattamente impermeabile (allora come ora) alle lusinghe dello scambismo demagogico, all'intraprendenza di un coté, lato sensu, interessato, molto interessato, ad entrare negli interstizi di esitazioni e di falle, per trarne vantaggio.

Per trarre compensazioni (se non altro) “morali” dalla transizione del teatro dal quasi bisecolare ciclo di impronta aristocratico/castale all'appartenenza a tutti gli effetti all'ordinamento cittadino (lato et stricto sensu).

Prima di allora, il Concordia (poi Ponchielli) era stato (idealmente et de facto) percepito come struttura discendente da un ordinamento civile, in cui i ceti privilegiati mettevano in sinergia le loro aspirazioni elettive, fondando e gestendo per un rilevante periodo una benemerita struttura potenzialmente dispensatrice di crescita culturale.

A beneficio, ovviamente, dei ceti privilegiati che l'avevano realizzata e la gestivano; ma a vantaggio universale, per effetto di un ancestrale processo di trickle down, dell'intera comunità cittadina.

D'altro lato, tale ratio di elevazione spirituale era implicita e comune anche nell'edificazione dell'altro teatro cittadino, che è, come ha ricordato recentemente Arrigoni, il Filodrammatici, di dimensioni più contenute ma certamente non di minor prestigio (allor ed ancor oggi).

La sostenibilità di questo modello di servizio artistico-culturale, espressione di una testimonianza elitaria, ma in grado di garantire quote di fruizione popolare (magari dai loggioni), era destinata ad esaurirsi con l'esaurirsi (o al ridimensionarsi) dei ceti che l'avevano propugnata, da un lato, e, dall'altro,  da una progressione dei gusti e delle dinamiche dei costi in netto contrasto con gli scenari originari.

Anzi, bisognerebbe onestamente riconoscere al “Condominio Ponchielli”, espressione della gamma dei benemeriti teatri di tradizione, l‘appartenenza al rango degli Hiroo Onoda, capaci di tenere le posizioni ben oltre le possibilità.

Indubbiamente, con qualche “aiutino” pubblico (Comune Capoluogo e Provincia) e, come direbbe il papà geometra del Cavaliere per eccellenza, con qualche “drizzone” nelle congiunture eccezionali.

A distanza di quarant'anni, da quando cioè la rottura della sostenibilità del modello fu manifesta, si può dire (e qui temiamo di essere accusati di farla fuori dal vaso) che il Ponchielli, di cui il Notaio Foletti fu per una vita anima ed insostituibile artefice (per giunta a costo zero!), fu imparagonabile (per prestigio e per qualità del prodotto) al modello successivo?

Non ce ne intendiamo molto (per cui ci affidiamo alla clemenza degli "imparati"), ma azzardiamo che i modelli, sia pure ad un tanto al chilo, anche perchè non esattamente sovrapponibili, non mostreranno un divario vistoso.

Si può aggiungere, forse con una buona dose di sprezzo per le semplificazioni spericolate, che le stagioni erano ben articolate come adesso, che la massa critica della fruizione e del botteghino era su per giù equivalente, che, magari per ragioni di economia, alcuni ruoli artistici marginali potevano contare su volonterosi non professionalizzati (come nel caso del Coro).

Conclusivamente si può azzardare che, a parte la retorica auto encomiastica, i due modelli, si ripete non sovrapponibili, rivelerebbero, in teoria e grossolanamente, una certa equivalenza.

Cosa concorse ad accreditare l'opzione favorevole alla municipalizzazione?

Diciamo un complesso di circostanze, capaci, facendo astrazione dallo specifico cremonese, di accomunare non pochi teatri di tradizione.

Prevalente fu lo spirito del tempo, lo zeitgeist, che metteva vento nelle vele del pubblico interventista e dirigista. Un caposaldo questo delle teorie politiche di segno egualitario, ma anche un tormentone dogmatico destinato ad imbarazzanti smentite della storia.

Pochi anni prima, si era bruscamente interrotta una non banale collaborazione amministrativa (di centro-sinistra) sull'altare dell'intangibilità dell'approdo alla municipalizzazione del gas. Col senno di poi, considerando il poco onorevole crepuscolo delle aziende comunali di Cremona, ci sarebbe da interrogarsi sull'inderogabilità di tali opzioni.

Analogamente ci sarebbe da interrogarsi sull'avvedutezza della difesa del Piave del complesso del Vecchio Ospedale dalle spinte speculative, di fronte a quel cumulo di rottami sedimentato in mezzo secolo di incurie e di indecisione/impossibilità ad operare.

In qualche misura, si può sostenere che, senza che ciò precostituisca alibi ritorsivi, le vele del Ponchielli Comunale furono alimentate da questo spirito (come si direbbe con scarso rigore lessicale) “ideologico”.

Diciamo non un dogma assoluto, ma un percorso preferenziale suggerito dalla dottrina politica e supportato da una serie di circostanze.

Come abbiamo anticipato, i bilanci del teatro delle gestioni Foletti non erano mai stati corrazzati. Quelli degli ultimi anni erano addirittura gementi e superavano la prova contabile e formale, grazie all'aiutino comunale.

Tanto valeva, concludevano con crescente insistenza i promoter della municipalizzazione, buttare il cuore oltre l'ostacolo ed assumere direttamente la proprietà dell'edificio e la gestione, operativa ed artistica.

Perché, sia ben chiaro, volenti o nolenti, dobbiamo riandare (come al contrario ha fatto e sta facendo un confronto, più simile ad uno starnazzo, attizzato dalla lesa maestà del benservito ad una sovraintendenza incredibilmente durata con disprezzo del tempo e delle performances e rinfocolato dalle scelte conseguenti) alla fonte..

Già perché lo sgangherato duello alla "sfida all'O.K. Corral", alimentato sia dalla ferita della vergine violata sia dalla (in itinere) scelta del successore, si gioca tutto nella visione e nella logica ristretta di un mutatis mutandis, che non terrà minimamente conto delle lezioni (che, se ignorate, potrebbero riservare sanzioni severe) della storia.

Che, in questo caso, avendo riguardo alla sostenibilità gestionale, oggetto di un severo (ma incontestato) report del Consiglio di Amministrazione e a minimo senso precauzionale rivolto al complesso di nubi all'orizzonte postpandemico, pone (diversamente da quanto passa il convento) moniti difficilmente eludibili. 

A dire il vero, ci sembra di cogliere una rarefazione delle consapevolezze attorno ai perni dell'istituzione teatrale e, soprattutto, degli snodi che, nel corso dell'ultimo mezzo secolo, l'hanno approdata all'attuale formato. Così come è del tutto scomparsa dagli orizzonti la scansione attraverso cui venne risolta l'opzione pubblico-privato. 

Per comodità di comprensione e nella speranza di far breccia in apparati cognitivi coriacei, la ritratteggiamo; perché si trattò e si tratta (dio non voglia) di una questione non del tutto scontata (allora) in quanto destinata a modificare sensibilmente  equilibri e poteri. Anche se le modalità di questi quasi quarant'anni di gestione comunale dovrebbero interrogare sulla loro effettiva aderenza ai propositi insiti nell'opzione pubblica.

Privato lo era stato fino agli anni settanta; cioè fino a quando il maggior e storico teatro della Città, nato in un contesto poco proclive all'esaltazione della mano pubblica e prevalentemente orientato dalle aspettative dei ceti privilegiati, non si trovò di fronte a gravi problemi di sostenibilità.

Privato aveva continuato a restare; ma nel senso che, pur nel mantenimento dell'ordinamento condominiale (che, ovviamente, determinava la gestione artistica, senza nulla concedere all'apertura alla socialità), ormai da anni, limitandosi al mero esercizio corrente, quadrava i conti con la massiccia immissione delle risorse pubbliche.

La vetustà della struttura fu posta di fronte all'ineluttabilità di un cambio di passo fondamentale, rappresentato sia dall'apertura dell'istituzione artistica alle sinergie con gli altri settori comunitari (visto, oltretutto, che le istituzioni vi contribuivano in modo determinante) sia dall'inderogabile necessità di impegnativi interventi di restauro e, soprattutto, di messa in sicurezza.

I “privati”, di fronte a tali evidenze ed all'insostenibilità di un bilancio, cui non sembravano determinati ad impiccarsi, passarono, come si suol dire, la mano.

Si parlò (per alcuni versi impropriamente) di municipalizzazione.

In verità la gestione ed il patrimonio passarono sotto la diretta gestione del Comune; che iniettò ben altre risorse; sia per la copertura delle falle finanziarie sia per la salvaguardia della struttura ed il ripristino del prestigio artistico monumentale della medesima.

Dal punto di vista degli investimenti necessari per il restauro (ingenti, va aggiunto) occorrerebbe precisare che, per quanto l'eccellenza dei risultati potrebbe far pensare ad una certa larghezza o, addirittura, ad un'inclinazione alla megalomania, la vastità dell'intervento fu anche determinata da un certo accanimento (da parte del Prefetto pro-tempore, titolare della sicurezza, probabilmente sollecitato dalla risonanza di eventi catastrofici) nella fissazione degli standards di sicurezza.

Cosa fatta, capo ha (come si suol dire). Vero è che Cremona, per sobbarcarsi il primo tassello del passaggio del Ponchielli dalla mano condominiale a quella municipale, mise, negli anni ottanta, sul piatto qualcosa, se non andiamo errando, come tredici miliardi di lire.

D'altro lato, le istituzioni comunali “sorelle” di terra lombarda e di area padana si stavano trovando nelle medesime acuzie.

Il Fraschini di Pavia, pressappoco negli stessi anni, era stato investito da una profonda e paralizzante crisi.

Il Sociale di Mantova, gemello di Cremona come ordinamento condominiale, ne avrebbe seguito la sorte; una sorte più pesante, in quanto destinata a mettere tra parentesi per molti anni l'attività artistica.

Archiviata (a caro prezzo, affrontato con impegnative appostazioni mutuatarie, destinate a ripercuotersi per lungo periodo nella gestione del bilancio) la pre-condizione strutturale, l'Amministrazione Zaffanella (già molto impegnata sul versante artistico-culturale, in dipendenza del massiccio intervento sul complesso museale) dovette reinventare il format gestionale e, soprattutto, progettare il futuro dell'istituzione teatrale, guardando un po' oltre, diciamolo senza malanimo, gli angusti confini della gestione condominiale.

Precisiamo che i modelli di riferimento, per giunta in un contesto di finanza pubblica, azzardiamo, “a pié di lista”, non erano poi molti.

In buona sostanza, l'unico riferimento capace di coniugare buona gestione e prestigio artistico non poteva che essere la Scala.

1981 - La Giunta Comunale col Sovrintendente Badini
1981 - La Giunta Comunale col Sovrintendente Badini

Accingendosi ad assumere il gravoso onere, la Giunta Comunale, dimostrando lungimiranza e modestia, guardò, infatti, a Milano (Sovrintendente Badini, da poco succeduto a Paolo Grassi) assumendo dal fratello maggiore meneghino un utile compendio di know-how.

Ma, tanto per non andare molto lontano, il format scaligero, le cui ali erano già allora gravate dal piombo di una certa inclinazione al gigantismo ed agli eccessi corporativi degli operatori artistici e non, avrebbe dovuto essere metabolizzato in dosi sapienti e realistiche.

D'altro lato, anche il comparto teatrale del contiguo territorio emiliano non forniva, ancorato com'era e resterà per molto tempo all'imperativo della cultura senza se e senza ma (per di più, s'intende a pié di lista), un buon esempio con cui coniugare prestigio artistico e conti in ordine.

Se ne sarebbe importato l'organigramma della struttura artistica ed operativa: sovrintendente, direttore artistico, ufficio per la comunicazione e generosa propensione verso un apparato che dire pletorico sarebbe onestamente eccessivo. Ma che, altrettanto onestamente, sarebbe risultato congruo a stazze diverse e, soprattutto, a progetti più vasti.

Nelle more dei provvedimenti, atti alla acquisizione pubblica del Teatro, giustamente, particolarmente presso le sensibilità propense a cogliere l'occasione della municipalizzazione per sviluppare sinergie tra attività artistica, comparto del sapere ed apertura alla socialità, erano venute, ad esempio, in emersione intuizioni e proposte come la promozione della più vasta accessibilità alla fruizione dell'attività artistica a favore dei ceti socio-economicamente meno favoriti, alle giovani generazioni, agli anziani.

O come la promozione in autonomia di parte della produzione artistica; attraverso la sinergia tra l'(allora) ipotizzato Conservatorio e la creazione di un'orchestra stabile (esperienza, non troppo originale, consolidata nelle realtà cittadini poco dissimili da Cremona e contigue a Cremona).

Risultato: "zero tituli", come suggerirebbe il commissario tecnico di origini portoghesi.

Anzi, l'unico segmento di auto-sufficienza, rappresentato dal più che decoroso coro del Ponchielli, diretto da un prestigioso professionista (approdato successivamente a ruoli di prestigio europeo), fu lestamente, in omaggio all'imperativo di troncare con il “dilettantismo”, smobilitato (e sostituito con l'out-sourcing della dipendenza da stagioni confezionati altrove “chiavi in mano”, che non infrequentemente, per quanto si riferisce almeno al coro, fecero rimpiangere i “dilettanti” del soppresso coro Ponchielli).

Ci sembra, a questo punto, doveroso fare quanto meno menzione dell'impegnativo dibattito che, nell'ambiente socialista (a quel tempo, esposte su responsabilità prevalenti nella vita istituzionale), influenzò l'opzione.

Ci avvarremo, in ciò degli stralci di testimonianze e contributi dedotti dalla nostra testata, che oggi si rivela una rimarchevole fonte di documentazione.

EdP.n.1-2- 8.3.1981- pag.4

In un documento della Commissione Cultura della Federazione Socialista veniva auspicata una razionalizzazione dei rapporti tra l'Amministrazione Provinciale il Teatro Ponchielli e la Società Concerti.

EdP.n.1-2- Gen-Feb-1984- pag.3

Nel contesto di un'ampia analisi (“Enti Locali: quale cultura”) veniva sottolineata la seguente riflessione: “ le stagioni di lirica e di prosa hanno luci ed ombre. Nonostante la collaborazione Enti Pubblici-Teatro Ponchielli, permane il “palchettismo“, nella versione dequalificante dell'assenteismo.

La rappresentazione dei “Lituani“, dall'ingente costo, rischia di essere fine a se stessa. Perché non cominciare a pensare più in grande? Perché non cominciare a stabilire rapporti diversi con le istituzioni teatrali che operano in altre province?

EdP.n.6-7-8- mag-giu-1984- pag.2

Il Consigliere Comunale indipendente, dott. Italo Bracchi, sollevava una questione di apparente profilo finanziario. Si riferiva infatti ad una garanzia, da parte del Comune di Cremona, di 150 milioni di lire a favore del condominio del Teatro Ponchielli impegnato nell'effettuazione di lavori di straordinaria manutenzione prescritti dalla Commissione Provinciale per la vigilanza degli spettacoli. Ciò in attesa che al momento dell'ottenimento delle sovvenzioni, il valore della garanzia venisse retrocesso. Argomenta il Consigliere Comunale che, nonostante le sovvenzioni fossero giunte, il mutuo non veniva ridotto e la somma oggetto della garanzia era stata impegnata per nuovi lavori.

Insomma, sottolineava il dott.Bracchi, il Comune, direttamente o indirettamente, aiuta il condominio del Teatro Ponchielli, in maniera piuttosto rilevante.

A fronte di questo non pare che nelle decisioni e nella gestione del Teatro vi sia un'altrettanto cospicua influenza del Comune. In altri termini, il ruolo del Comune pare ridotto alla sola funzione di aiuto e di supporto.

EdP.n,11-12-ott-nov-dic-1984- pag.3

In un'ampia analisi delle politiche culturali ed artistiche il dott.Felice Trojano all'epoca componente la Consulta Culturale ed in procinto di assumere la Presidenza dell'Ente Provinciale del Turismo, partiva da un caposaldo: un teatro non riesce a vivere senza sovvenzionamento pubblico.

Per questa ragione è ineludibile l'erogazione del contributo previsto dalla convenzione tra il Comune e la Provincia di Cremona ed il Condominio.

Non prima, tuttavia, di aver rilevato che il Teatro Ponchielli appariva come un'istituzione anacronistica piuttosto che quella struttura moderna ben presente e viva accanto alle altre realtà culturali del nostro territorio.

Il nostro Teatro è rimasto un Ente privato, con bilanci esigui, difficoltà nell'allestire programmi veramente interessanti, impossibilità di por mano a ristrutturazioni pure necessarie, mancanza di collegamenti con altri Teatri.

Con la sopravvivenza del “palchettismo“, il fenomeno cioè di persone e famiglie che esattamente come accadeva nell'Ottocento posseggono il loro bel palco a Teatro, così come altri posseggono una casa o una macchina. Ciò riflette una concezione elitaria della cultura.

Il Ponchielli non è una struttura moderna e aperta, come dovrebbe essere, come la cultura oggi richiede.

Se proprio non lo si vuole pubblicizzare, ci si metta d'accordo almeno tutti quanti su come si possano eliminare gli aspetti più anacronistici. O davvero c'è ancora gente che aspetta la prima per mostrare l'abito nuovo?

EdP.n.1-2-3-gen-feb-mar-1985. pag.8

Nel corpo del programma amministrativo per il successivo mandato consigliare 1985-1990 l'ampio settore dedicato alle politiche culturali confluiva verso una conclusione. Vale a dire che il P.S.I riteneva ampiamente chiuso il capitolo di una prassi all'insegna della “pubblicizzazione delle perdite e della privatizzazione del potere“.

I socialisti impegnavano le proprie rappresentanze negli Enti Locali, già all'indomani del'apertura del nuovo mandato amministrativo a porre con fermezza l'esigenza di una riforma non più procrastinabile e a collocare l'attività del Ponchielli nel segno di un'apertura alla collaborazione con le istituzioni teatrali di altre province.

I socialisti, tuttavia, consideravano non indispensabile e non pregiudiziale la scelta di un assetto gestionario pubblico, pur tuttavia ritenendo fondamentale che si operasse nella direzione di una qualificazione dell'attività del Teatro e di una maggior influenza delle amministrazioni locali nel governo del Teatro e nella direzione artistica, secondo gli interessi generali già richiamati.

EdP.n.3-4-apr-mag-giu-lug-88. pag.2

Quell'edizione della testata socialista dava ampio spazio all'analisi di metà mandato da parte del Sindaco.

Nel capitolo “proseguono i lavori di restauro del Ponchielli” veniva sottolineato che da due anni il maggior teatro della provincia e uno dei più importanti dell'intero Paese (è il terzo per anzianità dopo il S.Carlo di Napoli e il Regio di Torino ) è tornato da due anni ad essere il centro di manifestazioni liriche, di prosa, del balletto e della musica sinfonica e da camera, nonché dei recital dei più importanti divi dello spettacolo nazionale ed internazionale.

Centinaia di cremonesi per la prima volta si sono avvicinati al teatro ed hanno applaudito le rappresentazioni che hanno visto il quasi sempre tutto esaurito; fatto questo non solo culturalmente ma anche economicamente importante ai fini di un alleggerimento finanziario del Comune.

Nel frattempo i lavori per il completo recupero del Teatro proseguono anche grazie ai contributi a totale carico dello Stato reperiti dall'Amministrazione Comunale per il rinnovo degli arredi a norma delle recenti disposizioni di legge sulla sicurezza dei locali adibiti a pubblico spettacolo.

Entro il 1989 i lavori di recupero si concluderanno ed il Ponchielli diventerà, non solo uno fra i più antichi teatri d'Italia, ma anche fra i più moderni e funzionali.

La capienza passerà, inoltre, da 950 a 1200 posti.

EdP.n.3- apr.1990- pag.5

Nel contesto del programma amministrativo del mandato 1990-1995 un capitolo a parte veniva dedicato a “Ponchielli e altre strutture teatrali“.

Per quel che riguarda il Teatro Ponchielli il P.S.I ribadisce il carattere positivo della sua pubblicizzazione, disponibile a ricercare la forma di gestione che meglio risponda alle esigenze di efficienza e di qualità di una moderna organizzazione. Sono inoltre da avviare momenti di fattiva collaborazione con i teatri di Casalmaggiore e di Soresina, affinché possa affermarsi una tendenza a formare un sistema teatrale a livello provinciale.

Abbiamo preferito, prima di addentrarci in un più ampio ed impegnativo excursus analitico del percorso approdato ai fatti più recenti, fornire un quadro di premesse che potrebbero essere utili a sintesi confluenti a determinazioni più coerenti e congrue allo stato dell'arte.

In realtà e diversamente, la partita che è in corso viene giocata a prescindere da una doverosa consapevolezza dei precedenti.

Si pensa, diciamo, alla formazione; come se il cambio del goleador potesse prescinderne. Soprattutto, in materia di regole d'ingaggio e di progetto.

Temiamo di finire nella fattispecie della vox clamantis in deserto. Ma sentiamo il dovere di non disertare da questa testimonianza. Sul che saremo più espliciti nel prosieguo.

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